F35: una questione “tecnica” fuori dalle competenze del Parlamento

Una settimana fa il Parlamento ha votato una mozione che prevedeva una breve sospensione per il programma di acquisto degli F35. Una maggioranza divisa, incalzata da una campagna contro le spese militari condivisa dalla stragrande maggioranza degli italiani, aveva infatti deciso che il Governo non potesse acquistare gli aerei da guerra senza approvazione del Parlamento.

Era una presa di posizione insufficiente, dato che era evidente che dopo la pausa estiva il programma di acquisto armi sarebbe andato avanti, ma aveva comunque un grave difetto. Diceva agli italiani (che non sanno se la cassa integrazione sarà finanziata nei prossimi mesi, che non sanno quante persone si troveranno senza stipendio e senza pensione, che telefonano ai centri di prenotazione delle asl e scoprono che grazie ai tagli la prima data utile per un esame urgente è a gennaio 2014) che alcune petizioni di elementare buon senso come quella che chiede di non acquistare i costosissimi (e mortali) giocattoloni militari possono trovare la strada per l’aula parlamentare, e che la pressione dell’opinione pubblica può portare a qualche minimo e temporaneo risultato.

E’ evidente che anche questa debole manifestazione di sovranità popolare viene ritenuta eccessiva. Ieri, 3 luglio, il Consiglio Supremo di Difesa (composto da Giorgio Napolitano, Presidente della Repubblica, Enrico Letta, presidente del Consiglio, Emma Bonino, ministra degli Esteri, Angelino Alfano, vicepresidente del Consiglio, Fabrizio Saccomanni, ministro dell’economia, Mario Mauro, ministro della Difesa, Flavio Zanonato, ministro per lo sviluppo economico, Luigi Binelli Mantelli, ammiraglio Nato) ha stabilito che la spesa per gli F35 (14 miliardi, al netto della manutenzione) è una questione “tecnica” che spetta al Governo e che il Parlamento non ha potere in proposito.

Una decisione gravissima, che sfida la Costituzione non più ormai solo sul vilipeso articolo 11, ma proprio sul nodo fondamentale della centralità del Parlamento. E non pare che i rappresentanti dei cittadini che pure hanno votato la mozione qualche giorno fa stiano protestando vigorosamente: è anzi probabile che stiano tirando un sospiro di sollievo alla prospettiva di non trovarsi più a dover prendere decisioni che possono provocare dissenso e (ulteriore) calo di popolarità.

Che poi qualcuno osi ancora pronunciare la parola pace per giustificare l’acquisto e il ricorso alle armi rasenta ormai il ridicolo. Basta ricordare l’articolo 48 del tanto osannato “decreto del fare” del governo Letta, in cui si prevede “attività di promozione e intermediazione per la vendita di armamenti italiani” da parte del ministero della Difesa, presieduto appunto da quel ministro Mauro che ha pronunciato la stomachevole frase “armare la pace per amare la pace”. Vendere armi in modo indiscriminato, e poi dire che occorre armarsi per affrontare l’instabilità dovuta a regimi bellicosi e militaristi. Il tutto, ovviamente, senza controllo del Parlamento.

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