La bellezza tradita dei Parchi natura usata come bancomat

venerdì 28 marzo 2014, REPUBBLICA FIRENZE Pagina:I
La bellezza tradita dei Parchi natura usata come bancomat

MARIO NERI

NEL cuore della tenuta famosaperipini marittimi e le dune spinose, volevano piantare canne di bambù. Migliaia. Come tapparelle sui fossi. Agli esperti del Parco di San Rossore era sembrata una “ideona”. E l’intuizione aveva perfino trovato una sponda in Regione: 400milaeuro difinanziamentoperunprogetto di ricerca che verificasse la possibilità di seminare di stuoie asiatiche la macchia mediterranea. Ovvio, fra i destinatari delsoldi-a stare alle indagini della Guardia di Finanza -ci sarebbe stata anche la figlia del dirigente che aveva gestito l’assegnazione delle risorse. Oggi quel dirigente, Simone Sorbi, 65enne grossetano in pensione dal 2009, è uno dei sette indagati nell’inchiesta con cui da un mese la procura di Pisa accusa i vertici della passata governance di aver utilizzato l’immagine e i bilanci del Parco come un bancomat.
ACCUSATI dal pm Flavia Alemi di peculato, truffa, abuso d’ufficio e falso ideologico oltre ad alcuni liberi professionisti – ci sono l’ex direttore Sergio Paglialunga, Massimo De Prosperis, oggi rimosso dall’ufficio “Ripristino del territorio”, e l’ex ragioniere capo dell’organismo, Vittorio Monni. Il contabile pare utilizzasse i fondi del Parco per offrire prestiti ai dipendenti. Questo è solo l’apice, però, il prodotto amaro di una serie di anomalie nella gestione delle risorse con cui la Regione, lo Stato e gli enti locali hanno foraggiato i Parchi regionali in questi anni. Spesso caricandoli di mansioni burocratiche ridondanti e secondarie alla loro missione originaria. In realtà questi enti sono creature istituzionali mai nate davvero. O create come cinture di sicurezza per la politica e gli interessi del territorio. La loro storiaè la cronaca di una catena di sprechi e fallimenti gestionali annunciati. Perché altrimenti un parco come quello di San Rossore, con 23 mila ettari fra pioppete, pinete, oasi protette, 30 chilometri di spiagge, di cui 6 ancora incontaminate, ha guadagnato finora appena il 3% delle proprie entrate dalle visite guidate? Perché in giro sulle Apuane ci sono soltanto 4guardieparco su 2 3 dipendenti? Perché qualche mese fa la Regione richiamava la Maremma a non ostinarsi a sforare il tetto del 50% della spesa sul personale? Sono le cartoline tradite della Toscana, gioielli dove nessuno ha mai pensato di affiancare ai compiti di salvaguardia uno sviluppo sostenibile legato al turismo verde. Così finisce che a San Rossore si tirano su appena 86 mila euro dalle escursioni dando in concessione il servizio a tre guide private: una conduce i turisti alla scoperta della tenuta in carrozza, un’altra a cavallo, un’altra a piedi. Il resto degli 80 mila visitatori annui paga il biglietto a Legambiente, Lipu e Wwf. «Gestiscono villa Borbone e due casi – spiega il neo direttore Andrea Gennai – solo in minima parte ci stornano i loro introiti, è vero, ma non possiamo ricondurre la nostra funzione a una logica di marketing, siamo enti pubblici senza scopodi lucro. E il contributo delle associazioni, sia sul fronte dell’educazione ambientale per le scuole che su quello degli interventi di tutela, è prezioso».
Eppurepersalvaguardareepromuovere le bellezze di San Rossore, Migliarino e Massaciuccoli la Regione gira ogni anno circa 2 milioni. Servono quasi tutti a pagare i 69 dipendenti. Fra questi ci sono 20 guardie parco, 10 operai destinati alla azienda agricola e zootecnica. Il resto è in ufficio. Fino a due anni fa, poi, venivano destinati a villa Il Gondo 2,2 milioni di euro di «trasferimenti di capitale». Una dotazione della presidenza della Repubblica per la tenuta. Obiettivo: manutenzione e valorizzazione dei 50 mila metri cubi delpatrimonio immobiliare. Ville, poderi, vecchie cascine, borghi rurali, un fortino, una torre: c’è di tutto dentro il parco. «Ecco, io sono arrivato e ho trovato 8 milioni mai spesi in cassa», dice Gennai, «sono destinati a progetti di restauro mai realizzati, così oggi molti beni storici vincolati cadono a pezzi o sono inutilizzati». Quindici appartamenti sono affittati a ex dipendenti o a uomini delle forze dell’ordine a canoni mensili che variano dai 100 ai 300 euro. Altri 15 sono disabitati, e ora che Gennai vorrebbe ristrutturarli, laRegionehachiuso ilrubinetto. Dell’eredità presidenziale ha versato 800 mila euro nel 2012 e poi più niente. San Rossore si rimetta in riga e poi si vedrà. «Non sono pochi i nervi scoperti», conclude Gennai, che un’idea di rilancio ce l’avrebbe (vedi l’articolo accanto). E pensare che a San Rossore, quantomeno, funziona la fattoria. L’attività forestale e agricola, come il taglio degli alberi e lavendita di bovini e cavalli, sforna 800 mila euro all’anno. Sulle Apuane l’ultimo consuntivo invece metteva a bilancio 1,7 milioni di entrate, appena 100 mila (più o meno il 6%) derivanti da attività di autofinanziamento. Ammonta a poco più di mille euro il ricavato proveniente dal turismo. Come è possibile, visto che sulle Apuane c’è il complesso carsico più grande d’Europa, l’Antro delCorchia, eogni anno sui suoi sentieri fanno capolino 500 mila escursionisti? Semplicemente perché il parco è stato concepitocomeunacinturaprotettiva per le cave. Così l’hanno voluto la politica e gli amministratori. Lo dicono i numeri. L’ente spende appena il 15% del suo bilancio per la salvaguardia di caprioli e daini che corrono all’ombra della Pania, per le aquile che volteggiano sul Pizzo D’Uccello o la salvezza delle faggete secolari, gli scoiattoli e falchi minacciati dai bracconieri. Le 35 ditte o cooperative che gestiscono i 40 bacini marmiferi in un decennio hanno pagato una media di 31 mila euro annui per le autorizzazioni estrattive. «Pareri sulle valutazioni ambientali. Scartoffie!», si inalbera il direttore delle Apuane Antonio Bartelletti, in carica dal ’93. «Siamo costretti a impiegare tempo, personale e mezzi in maniera abnorme per la burocrazia, ho calcolato che solo questa attività erode alle nostre casse 171 mila euro. Se la Regione vuole che facciamo altro ci liberi da compiti che sono specifici dei Comuni e ci dia la possibilità di cambiare passo. Nel 2003 avevo chiesto una dotazione organica con 27 guardie parco, me l’hanno negata. Che senso ha continuare a produrre montagne di carta?». Non sono solo le pastoie burocratiche ad azzoppare le Apuane. Il Parco, infatti, non guadagna un euro dalle migliaia di biglietti che ogni anno si strappano all’ingresso delle grotte carsiche. Dopo un primo annodi gestionediretta, è stata creata la società “Antro del Corchia”, partecipata dello stesso Ente e dal Comune di Stazzema. «Avrebbe dovuto girarci una quota dei ricavi ogni anno – dice Bartelletti – ma fra il 2004 e il 2006 chi l’ha guidata ha prodotto un buco di 300 mila euro». Deve rendere al Parco oltre 60 milaeuro, ma per ripianare il deficit si è indebitata fino ad ipotecare le passerelle e le strutture del percorso turistico allestito fra stalagmiti e stalattiti. Ed ora rischia di vedersele pignorare dalle banche. Un consiglio di amministrazione che ha dato poltrone alla politica rischia di mandare così all’aria la cooperativa e i posti di lavoro (sani) a cui la società ha appaltato la gestione. Non ci sono esempi di “purezza”, dato che «in America, ma anche in Europa- confessa Bartelletti- i parchi utilizzano solo il 20% delle risorse per il loro funzionamento e non il contrario come da noi». Ma c’è chi fa meno peggio di altri. In Maremma, ad esempio, l’anno scorso sono riusciti guadagnare 283 mila euro dai 37 mila visitatori. «Facciamo pagare il biglietto, sì – dice la presidente Lucia Venturi ma quantomeno è qualcosa. Potremmo fare meglio, ma almeno ci proviamo».

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