Una città in comune saluta la liberazione di Palazzo Boyl dalla speculazione immobiliare

Ci sono eventi che a volte appaiono emblematici dei valori di un’epoca. Un antico palazzo (Palazzo Grassi – Boyl) riccamente istoriato da affreschi bellissimi, eseguiti da artisti importanti, ereditato per generazioni da una casata nobiliare (la famiglia Agostini Venerosi della Seta) che ha dato lustro ad intellettuali rimasti nella storia italiana come Domenico Guerrazzi, viene venduto venduto ad un’impresa immobiliare (la Tognozzi Group) per trasformarlo nell’ennesimo palazzo-contenitore di appartamenti di lusso da vendere a quei pochi ricchi in grado di permettersi un appartamento su uno dei più bei lungarni di Pisa. I lavori iniziano nel 2008 con tanto di impalcature a coprire la bellezza della facciata. Sei anni, in attesa di risorgere a nuova vita.
Succede che nel frattempo l’impresa fallisce, le impalcature se ne vanno e si scopre che in sei anni nessun lavoro è stato fatto mentre questo bellissimo palazzo e le sue opere d’arte venivano sottratte allo sguardo dei cittadini pisani e dei tanti turisti attratti dalla città-d’arte, dalla città-vetrina candidata un po’ presuntuosamente a capitale della cultura europea.

Oltre a non fare nessun lavoro di abbellimento, di consolidamento o comunque di trasformazione, si scopre che l’impresa titolare dei lavori non ha nemmeno pagato le tasse dovute al Comune di Pisa per l’occupazione del suolo pubblico da parte dell’impalcatura.
A questo disastro hanno meritoriamente posto rimedio gli attivisti del Municipio dei Beni Comuni che hanno restituito generosamente alla città di Pisa ed ai suoi cittadini il palazzo e tutte le opere d’arte che contiene.

Siamo sempre più sconcertati dalle politiche culturali della giunta Filippeschi, basate sulla valorizzazione della cultura-immagine, della cultura-evento e della cultura-profitto, senza però avere la capacità di dedicare la giusta attenzione al decoro e prestigio alla città nel suo complesso e alla divulgazione culturale di base slegata da logiche partitiche o di mercato. Questo purtroppop non fa che confermare quello che abbiamo denunciato da tempo, pubblicando anche un Libro bianco sui beni culturali aggiornato e ristampato proprio in questi giorni e liberamente scaricabile sul nostro sito a questo link.

Una città in comune plaude perciò all’iniziativa del Municipio dei Beni Comuni sperando che l’azione degli attivisti sia utile a una riflessione complessiva sullo stato del patrimonio culturale della città e sulle politiche culturali messe in atto dalla giunta Filippeschi che nella loro accettazione supina delle logiche di mercato rischiano di sgretolare la tradizione storica e culturale della città di Pisa.

Una città in comune

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