Con la scomparsa di Lorenza Carlassare subiamo nuovamente, dopo l’addio a Stefano Rodotà, la perdita di un’altra grande figura di custode vigile e rigorosa della nostra Costituzione.
Una Costituzione che la Professoressa Carlassare, prima donna in Italia a vincere una cattedra di Diritto costituzionale, non si limitava a spiegare nelle aule dell’Università, ma si impegnava a far conoscere anche al di fuori dei circuiti accademici, con la Scuola di cultura costituzionale da lei ispirata e diretta a Padova. Tutte le cittadine e i cittadini potevano partecipare, assistendo alle lezioni di altri grandi costituzionalisti come Rodotà, Zagrebelski, Azzariti. Guidata dalla convinzione che “non c’è libertà senza conoscenza. Non c’è democrazia senza partecipazione informata e consapevole”, Carlassare presentava corsi nei quali i principi della nostra Carta costituzionale acquisivano concretezza, perché non presentati nell’astrattezza di una dottrina formale, ma calati sempre nel contesto politico, economico e sociale della storia passata e presente.
Mai affiliata a consorterie politiche, si esprimeva con chiarezza e immediatezza, senza filtri, fedele a una passione civica ed etica che la portòò, nel corso della XVII legislatura (governi Letta, Renzi, Gentiloni), a dimettersi dalla Commissione per le riforme costituzionali, per l’intimidazione di cui riteneva fosse stata vittima la Cassazione, e, nel 2016, a schierarsi con il Comitato del no in vista del referendum confermativo della riforma costituzionale Boschi-Renzi.
Fino alla fine la sua è stata una voce libera, davvero rara ormai in Italia, dove la sempre più grave deriva antidemocratica è resa evidente dall’avvio di una politica di guerra deciso dal potere esecutivo senza neppure un dibattito in Parlamento.
Come ultimo ricordo, riportiamo alcune delle sue parole nette e autorevoli, eco di civiltà in un paese che precipita quasi senza freno nella barbarie e che indicano senza possibilità di dubbio quale orientamento debba seguire chi vuole una politica al servizio del bene comune (tratte da questo articolo su ilfattoquotidiano.it).
“La Costituzione italiana è pacifista”.
“La retorica bellicista, a giornali e reti unificati, è insopportabile. Quando non si parla della guerra ‘santa’, c’è il telefilm che santifica Zelensky”.
“L’Italia ripudia la guerra: il verbo ‘ripudia’, che nella prima bozza era ‘rinuncia’, è stato voluto dai Costituenti perché esprime un rifiuto assoluto della guerra, anche con un valore morale, non solo politico. C’è stata, nella votazione, quasi l’unanimità. L’ispirazione pacifista della Costituzione dunque è nettissima”.
“In definitiva: la guerra difensiva è l’unica consentita, le controversie internazionali vanno risolte per via negoziale, una via in questo momento completamente assente; non esistono ragioni diverse dalla necessità di rispondere a un attacco armato sul proprio territorio che possano legittimare la guerra”.
“In Italia ci sono 5 milioni e mezzo di famiglie in povertà assoluta”. “Prima di spendere soldi in armi dovremmo assicurarci di non venire meno agli obblighi di solidarietà sociale che impone la Costituzione”.
“In passato, i giuristi “giustificazionisti” hanno tentato di salvare la partecipazione ai vari interventi armati travestiti da missioni di pace (per non dire della guerra nei Balcani in cui siamo intervenuti direttamente) come adempimento di obblighi derivanti dalla adesione a “organizzazioni internazionali” con le “limitazioni” conseguenti, usando la seconda parte dell’art. 11 contro la prima. Ma non ci sono due parti divise: l’art. 11 è una disposizione unitaria che va letta nella sua unità. Aggiungo che i trattati sono subordinati all’art. 11, non viceversa.
“Il ripudio della guerra non vieta solo la partecipazione a conflitti armati ma pure l’aiuto ai paesi in guerra: il commercio di armi con tali paesi è illegittimo. Ora tra l’altro non si tratta nemmeno più di armi per difendersi, ma armi, come ha detto Boris Johnson, “anche per colpire in territorio russo”.
“La lista delle armi non è pubblica per ragioni di sicurezza, ma non ci sarà nemmeno una discussione sulle scelte del governo, sull’opportunità di partecipare all’escalation bellica. Gli italiani non sono favorevoli a una partecipazione dell’Italia alla guerra, e questo ce lo dicono i sondaggi. Non solo la posizione pacifista e costituzionale non ha spazio nel dibattito pubblico, ma il popolo non può nemmeno esprimersi attraverso i suoi rappresentanti. L’opacità delle scelte su un tema così importante è preoccupante, perché non è trasparente la linea del governo. In questa fase rispetto alle decisioni non è irrilevante nemmeno l’interesse dell’industria bellica, che fa soldi e trionfa in Borsa vendendo morte”.
Una città in comune