mercoledì 18 aprile 2018 |
Testata: REPUBBLICA FIRENZE |
Pagina: VII |
L’intervista
MARIA CRISTINA CARRATÙ
Un uomo (presumibilmente del ceto medio), seduto dentro una bara, alza il pugno e grida: « È l’ultima battaglia!». E l’immagine di copertina diLagauche va-t-elle disparaître? l’ultimo saggio dello storico e politologo francese André Burguière che l’autore presenterà oggi all’Istituto Francese (ore 18, piazza Ognissanti 2) con il politologo dell’Istituto universitario europeo Elias Dinas. Tema di fondo, il futuro (se ce l’avrà) della sinistra europea, con un piede nella fossa, immersa in una crisi politica epocale, ma (si direbbe) per niente rassegnata.
Burguière, l’interrogativo nel titolo del suo libro lascia aperti più scenari. Lei per quale propende?
«E un titolo volutamente provocatorio. Sviluppa l’idea che la divisione destra-sinistra mantenga una sostanziale realtà ideologica, anche se i partiti e altri movimenti che reclamano `l’etichetta’ di destra odi sinistra, possono anche evolversi e `tradirle’. Del resto, anche gli individui possono cambiare e non riconoscersi in questa divisione. In Francia, come in Italia, le differenze sembrano offuscarsi, ma credo si tratti di un punto di svolta nella ridefinizione della divisione di destra e sinistra, non della sua definitiva scomparsa. I valori di sinistra possono sopravvivere a
lungo nella mente delle persone, in certe scelte etiche, per esempio, senza emergere nella sfera politica stabilita e senza accesso al potere centrale. Questo potrebbe essere ciò che ci aspetta».
Secondo lei, cosa ha inciso di più nella crisi della sinistra europea: il consumismo e l’individualismo, la frammentazione culturale, la digitalizzazione, la la paura della povertà, l’immigrazione, la globalizzazione…?
«I cambiamenti di atteggiamento (individualismo, consumismo, ecc.) non sono mai univoci, e possono anche dare luogo a nuove mobilitazioni. I movimenti dei consumatori, le mobilitazioni ambientaliste o di tipo morale,
ad esempio quelle sull’immigrazione, hanno dimostrato come il ripiegamento individualista o consumistico, in realtà, non sia fine a se stesso, e alla fin fine non soddisfi nessuno».
Dunque, esistono ancora margini per un rilancio della sinistra in Europa? Ma prima ancora: che cosa dovrebbe significare, oggi e magari anche domani, essere di sinistra nel vecchio continente?
«Come il completo fallimento del comunismo ha rimosso la speranza rivoluzionaria, cioè l’idea che la società possa essere radicalmente trasformata da un violento sequestro di potere, e costruire un mondo senza un’economia di mercato e senza proprietà privata, così il Dna di una sinistra che possa definirsi europea mi sembra stia in una autentica democrazia sociale, che associ partiti socialisti di sinistra e/o ecologisti, e sindacati di salariati, per imporre una ripartizione del potere e del reddito di impresa più equi. Siamo molto lontani da una situazione del genere oggi, ma credo che le cose possano cambiare rapidamente».
Mentre ovunque in Europa nazionalismi e populismi alzano la voce soprattutto in chiave identitaria e anti migratoria, in che modo, su questi temi, dovrebbe basare il suo messaggio la `voce’ della sinistra?
«Il dominio della destra in Europa non è un’ineluttuabilità. La reazione identitaria o anti-immigrazione manifesta indubbiamente una crisi dello stato sociale, che non sembra più proteggere, o piuttosto proteggere gli `altri’. E la sinistra deve combatterli, non ha alternativa. È possibile un riavvicinamento tra le nuove classi popolari, la sinistra socialista e il centro riformista, per i quali l’obiettivo principale sia un’Europa riorganizzata, attraverso un rafforzamento del Parlamento di Strasburgo e una più precisa delegazione di poteri esercitata da un esecutivo europeo eletto a suffragio universale. E a soddisfare questo requisito potrebbe essere un primo cerchio europeo che accetti l’unificazione fiscale e la messa in comune di forze militari, probabilmente derivanti da coalizioni
social-democratiche che combinano partiti di sinistra e sindacati dei lavoratori».