Il feroce pressing della Lega porta alla fine a casa la legge sull’autonomia differenziata, un provvedimento chiesto a gran voce da anni da tre regioni “forti”: Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna.
Le conseguenze della legge del Governo Meloni legge sono chiarissime: al posto del Paese che conosciamo da centosessanta anni avremo uno spezzatino di venti mini-repubbliche sostanzialmente indipendenti, ognuna con la sua scuola, con la sua sanità, con le sue leggi ambientali, col suo fisco, ognuna col suo rapporto con l’Europa e il mondo.
Addio sistema sanitario nazionale, dopo il disastro combinato dalle Regioni col Covid, addio laicità e universalità del sistema scolastico, addio solidarietà tra territori. Campo libero invece per le tante lobbies locali fatte di imprenditori e amministratori compiacenti per spartirsi le spoglie del sistema pubblico e per creare dei mostri propagandistici al posto dei luoghi di formazione collettiva.
Ognuno per sé, e a modo suo, e Dio per tutti.
Sin da quando cinque anni fa, con le richieste dei presidenti di Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna Fontana, Zaia e Bonaccini, si è profilato il rischio di questa catastrofe Una città in comune ha portato a Pisa in solitudine quasi totale la battaglia contro il provvedimento e l’ha messa sempre al centro della propria azione. C’è voluta l’approvazione del provvedimento perché i grandi partiti nazionali di opposizione, le Regioni meridionali che ne sarebbero devastate per sempre si mobilitassero per bloccarlo.
Una mobilitazione colpevolmente tardiva, ma che ha i numeri per scongiurare il peggio. I mezzi ci sono: ricorsi delle Regioni, il referendum nazionale.
Come c’è sempre stata, Una città in comune ci sarà: col movimento, nel movimento, sostenendo tutte le iniziative urgenti e necessarie per bloccare questo provvedimento eversivo. Perché la ragione e la giustizia prevalgano contro l’egoismo e le conseguenze devastanti dell’autonomia differenziata.