La vivibilità nel carcere, la condizione di chi vi è recluso e chi ci lavora, continua a peggiorare: si susseguono sulla stampa interventi di denuncia provenienti da una sola fonte, quella dei sindacati di polizia. Colpevolmente, secondo noi, la politica tace ma anche gran parte della società civile. Eppure è la dura verità: il carcere è sempre più luogo di sofferenza e segregazione, in cui si esercita una vendetta collettiva ma non si preparano le persone a rientrare in società, come prescrive la nostra Costituzione.
Diritti in Comune, nel vuoto del dibattito cittadino, periodicamente elenca criticità e avanza proposte per restituire senso e umanità alla detenzione, a beneficio dell’intera comunità, non solo di chi vive e lavora in carcere. Ci auguriamo che il 2023 sia un anno in cui anche l’amministrazione comunale faccia la sua parte, insieme alla Direzione della casa circondariale, per migliorare decisamente la situazione.
In primo luogo c’è un problema di vivibilità di base. Nonostante alcuni interventi di recupero, il carcere ha molte criticità strutturali e il tasso di sovraffollamento resta alto. Gli interventi educativi e formativi sono ridotti al minimo: le funzionarie giuridico-pedagogiche sono attualmente dimezzate. Molti detenuti con dipendenze non hanno accesso a veri percorsi di recupero: per loro, come per tanti, l’accesso alle cure resta problematico. I luoghi con maggiori criticità sono i reparti giudiziari, nei quali la presenza di persone straniere, molte senza permesso di soggiorno, è alta ma sono assenti forme di mediazione socio-culturale e sono molto carenti i percorsi di socializzazione e di preparazione all’uscita dal carcere. A tutto questo si aggiunge, dai tempi della pandemia, una contrazione dei progetti e della presenza del volontariato che, in altre fasi, ha costituito una risorsa preziosa.
La situazione è destinata a peggiorare proprio in questi giorni: a fine anno rientrano le persone in semilibertà che, grazie alle licenze straordinarie durante la pandemia, hanno avuto la possibilità di trascorrere la notte presso la propria abitazione e svolgere durante il giorno le attività previste dai programmi di trattamento. Rientreranno tutte insieme il 31 dicembre, in una struttura assai precaria che da tempo dovrebbe essere stata trasformata, con il contributo del Comune, in un edificio separato.
Se non vogliamo che il carcere continui a essere un buco nero della società, luogo di pena fine a se stessa, fonte di futuro disagio e di recidiva, occorre intervenire – oltre che con un piano strutturale di recupero dell’intero edificio – con veri progetti di formazione e di avviamento al lavoro, con progetti di inserimento abitativo, con servizi dedicati di mediazione e di recupero, con un aumento del ricorso alla semilibertà e alla possibilità di scontare parte della pena fuori dal carcere, avviando collaborazioni stabili con le associazioni di volontariato e con il Comune. Anche nel prossimo anno, su questo delicatissimo fronte, il nostro impegno non verrà meno.
Una città in comune, Rifondazione Comunista