Quando abbiamo letto l’ultimo decreto Bonafede, con le sue dannose ambiguità, in molti abbiamo pensato che avrebbe avuto un effetto deflagrante nei nostri istituti penitenziari. Infatti, le uniche misure previste dal decreto hanno riguardato la restrizione di diritti fondamentali delle persone (il diritto al colloquio con le famiglie, gli ingressi dei volontari, il diritto ad uscire dal carcere per fruire della misura alternativa della semilibertà).
Soprattutto, sono state condizionate alla volontà dei dirigenti dell’amministrazione e dei presidenti dei Tribunali di Sorveglianza: un quadro che ha suonato come un invito alla rivolta.
Il carattere draconicano delle misure, riguardanti solo restrizioni delle libertà dei detenuti, la loro discrezionalità, la totale assenza di una campagna di sensibilizzazione e di comunicazione hanno fomentato la paura. E i fatti sociali determinati dalla paura sono quelli che abbiamo visto in questi giorni, dall’esodo dalle regioni del nord all’assalto ai supermercati di ieri: in una istituzione totale, la paura assume le forme della rivolta violenta.
Noi conosciamo l’Istituto di Pisa, in cronico sovraffollamento, una struttura obsoleta e in alcune parti inagibile: anche a Pisa ieri i detenuti hanno protestato, contro il pericolo di una restrizione dei loro diritti e, forse, per opporsi a trasferimenti da altre carceri a rischio.
Lanciamo dunque un appello al Governo, alle forze democratiche e all’associazionismo: pensiamo che la bomba a orologeria si disinneschi solo con la ragionevolezza, il rispetto e la concretezza. Se amnistia e indulto richiedono procedimenti lunghi e complessi, tante sono le proposte alterative subito attuabili.
Nelle carceri, al dicembre 2019, risultavano esserci 60.769 detenuti, contro la capienza regolamentare di 50.688 posti. Di questi, circa 17.000 ha una fine della pena inferiore ai due anni.
La prima delle proposte che lanciamo è di prevedere la detenzione domiciliare per il residuo pena inferiore ai due anni. Questo consentirebbe alle persone di poter ritornare presso le proprie famiglie e farebbe scendere l’Italia sotto le soglie del sovraffollamento.
La seconda è quella di concedere benefici, quali i permessi premio e le licenze a chi già ne fruisce al fine di trascorrere presso il proprio domicilio il periodo dell’attuale periodo di protezione e sorveglianza.
Per chi rimane in carcere, è necessario attrezzare locali adatti e sicuri per l’incontro con le famiglie e prevedere l’adeguamento degli istituti per collegamenti skype.
Cosa deve ancora accadere prima di intervenire dopo i morti nelle carceri di Modena e Rieti, sulle quali chiediamo che venga fatta piena luce.
Diritti in comune: Una città in comune – Rifondazione Comunista – Pisa Possibile