CROLLATO IL POTERE ROSSO

martedì
26 giugno 2018
Testata:
TIRRENO
Pagina:
1

di LUIGI VICINANZA

E’ finita un’epoca. Durata settant’anni, sopravvissuta alla caduta del muro di Berlino, al collasso della prima Repubblica e alle contorsioni della seconda. Con il netto successo del centrodestra egemonizzato da Matteo Salvini il risultato dei ballottaggi in Toscana ha un valore ancora più determinante, se possibile, rispetto al voto – altrettanto chiaro – espresso dai cittadini lo scorso 4 marzo. E mutata la geografia politica di una regione un tempo mitizzata come riserva assoluta del potere rosso. Non c’è trincea, non c’è roccaforte che resista al giudizio negativo dell’elettorato. La voglia di cambiare è prevalente: tutto fuorché il Partito democratico. Il radicamento territoriale, punto di forza di quel che fu il “partitone” comunista e dei suoi successivi derivati, è venuto meno in Toscana, in Umbria, in Emilia Romagna.

Uno choc peri vertici di un Pd confinato nel recinto dell’irrilevanza politica: fuori gioco dalla partita nazionale, estromesso anche dalle città dove ha prosperato il “socialismo municipale”. E’ saltato un modello, quello stesso modello che comunque nei decenni passati ha consentito a questo meraviglioso angolo d’Italia di godere un’invidiabile qualità della vita e di garantire una capillare rete di sostegno sociale. Le cause sono riconducibili a fattori sia interni che esterni alla realtà toscana.

La Grande Crisi innanzitutto; da dieci anni chi lavora soffre perché rischia di continuo di perdere il posto e in tanti lo hanno perso, perché è meno tutelato, perché la dignità è mortificata e le proposte dei cosiddetti lavoretti sono indecenti (quan te ne abbiano raccontante in questi mesi sul nostro giornale e continueremo a raccontarle…). La difesa e la creazione di nuova occupazione sono lentamente scomparse dagli orizzonti di quella forza politica che nel mondo del lavoro aveva per storia e per cultura la sua base sociale di riferimento. Un tradimento politico pagato con il crollo del consenso tra le fasce popolari, tra il ceto medio impoverito e impaurito dal declassamento sociale, trai giovani senza prospettiva. Il tutto l’Occidente, non solo in Italia, la globalizzazione dei mercati e l’internazionalizzazione della finanza ha ammutolito la sinistra, incapace di dare risposte a processi complessi in cui le diseguaglianze sono aumentate insieme all’ingiustizia sociale. La Toscananon è stata risparmiata.

Tutti i fattori della sconfitta dem nelle politiche si sono ritrovati ancora una volta nel voto per i capoluoghi. Ma con un’aggravante: l’insofferenza verso un sistema di potere locale chiuso e bloccato. Gli elettori a Pisa, a Siena, a Massa hanno proseguito sulla strada aperta in an ni recenti negli altri capoluoghi toscani: al ballottaggio ci si coalizza per troncare l’egemonia del Pd e dei suoi alleati vissuta dalla maggioran za dei cittadini come spregiudicato esercizio del potere, senza più gli ancoraggi ai valori della solidarietà, della difesa dei più deboli, dell’ascolto verso chi patisce il disagio delle periferie urbane e sociali.

L’anno scorso, dopo la sconfitta secca del Pd nelle comunali di Pistoia e Carrara, scrissi che ogni città toscana era diventata contendibile. Se ne è avuta la riprova. In tutto questo tempo il gruppo dirigente di quel partito si è impegnato molto nella propria autotutela ma poco nell’analisi della realtà circostante. L’impreparazione e la confusione con cui è arrivato alla selezione delle candidature ne è la riprova, non senza però aver sottoposto i due sindaci uscenti di Siena e Massa e lo stesso prescelto a Pisa alla masochisticaprova del fuoco amico.

Ogni insuccesso collezionato in anni recenti è stato minimizzato e relegato a fenomeno locale. A partire dalla madre di tutte le sconfitte, la batosta di Livorno nel 2014. In quello stesso giorno il Pd, mentre perdeva il Municipio, volava alle europee con inebrianti percentuali. La lettura, sbagliata appunto, fu che si trattava solo di un incidente domestico. Rimediabile con il tempo. C’era invece già lì tutto quel che sarebbe accaduto dopo: il rifiuto di un sistema arrogante, in rotta con il suo popolo. Al Renzi rottamatore veniva invece concesso un credito enorme, poi rapidamente sperperato, come si è visto. Né il vecchio usurato modello né l’evanescente nuovismo renziano hanno retto la sfida posta dai tempi: costruire insieme a chi vive una condizione di sofferenza sociale una credibile prospettiva riformista. E poiché in politica il vuoto non è concesso, inutile meravigliarsi del successo di Salvini e dei suoi anche in Toscana: è un risultato perseguito con pervicacia.

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