Crollo del tetto della chiesa di Santa Marta: ancora sul degrado del patrimonio culturale pisano

Dopo le più celebri architetture di San Francesco e di San Paolo a Ripa d’Arno, giunge la notizia del cedimento strutturale del tetto della chiesa di Santa Marta. Fondata per volontà del frate domenicano Domenico Cavalca nella prima metà del Trecento e ricostruita tra il 1760 ed il 1767, la chiesa conserva al suo interno, tra le altre, opere dello scultore di Giuseppe Vaccà e un’importante Croce dipinta del XIII secolo. Tetto e facciata erano stati da poco restaurati, eppure due giorni fa è avvenuto il crollo.

Lo stesso arcivescovo di Pisa lancia l’allarme e riassume così la situazione: “La Conferenza Episcopale, a fronte di un piano di interventi strutturato, permette 3-4 lavori l’anno e copre fino ad un massimo del 60% delle spese. Il resto lo dobbiamo mettere noi. Nessuna istituzione ci aiuta: soltanto la Fondazione Pisa”. Così la nostra città chiude i suoi preziosi monumenti ai turisti e vive sempre più della sua gallina dalle uova d’oro, la pur splendida Torre pendente. E la “pisanità” non ha niente da dire? Non si indigna più nel vedere la chiesa di san Francesco chiusa da tempo immemore? E nel sapere i continui problemi della chiesa di Santo Stefano dei Cavalieri, in una delle piazze più note della città?

Le opere d’arte, gli edifici – soprattutto quelli storici – hanno bisogno di manutenzione. Fino a circa due decenni fa lo stato faceva la sua parte e attraverso i suoi uffici territoriali, vale a dire le Soprintendenze, stilava un piano annuale di intervento per stabilire quali cantieri finanziare, gestendo un patrimonio consistente stanziato dal Ministero dei Beni Culturali. Questo purtroppo non accade più. I restauri affidati allo Stato sono fermi da anni e, ad esempio, la chiesa di San Paolo a Ripa d’Arno è stata messa in sicurezza anche con l’aiuto dell’Unicoop. L’arcivescovo Benotto lancia il suo grido d’allarme: “il nostro territorio gode di beni culturali meravigliosi, anzi straordinari: ma non abbiamo più i mezzi economici per mantenerli”. In realtà i mezzi e i fondi ci sono per Santa Marta e San Francesco, ci sarebbero anche per ristrutturare l’ex monastero di San Matteo, in cui da settimane un’ala del museo è chiusa per infiltrazioni d’acqua; e così per tenere aperta al pubblico dalle 9 alle 19 quella collezione straordinaria d’arte medievale, come accade a qualsiasi museo degno di questo nome; e ugualmente per aprire le porte sei giorni su sette al pur nuovo Museo delle Navi romane. I fondi ci sarebbero pure per trovare una collocazione al patrimonio librario della Biblioteca Universitaria – l’ex Clinica Ortopedica o l’ex Dipartimento di Chimica in via Risorgimento? – e per riaprire finalmente, dopo dieci anni, l’aula studio e le altre aule storiche nel Palazzo della Sapienza.

Oggi, che il governo investe 190 milioni di euro per la costruzione di una nuova base militare nel territorio del nostro comune, sappiamo che a chi governa a livello locale e nazionale non interessa proprio nulla del nostro patrimonio culturale. Fuori da qualsiasi ipocrisia, si preferiscono le armi alla cultura.

Una città in comune

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