Diritti in Comune per rafforzare il municipalismo e contrastare le politiche liberiste

Un contributo di Valerio Cerretano, Lecturer in Management, Adam Smith Business School
University of Glasgow

 

La prossima tornata elettorale coinvolge poche ma importanti città della penisola e avrà per questo dei riflessi sul dibattito politico nazionale. Questo vale in particolare per Pisa. È una città di medie dimensioni. Non ha più una industria manifatturiera all’avanguardia e di grandi dimensioni. E tuttavia resta una delle città simbolo della cultura e della sinistra, o di entrambe. A Pisa ci sono tra i più importanti centri culturali e di ricerca d’Italia e d’Europa. A Pisa la sinistra ha avuto una presenza storica radicatissima. Immagino già la tracotanza di Salvini nella malaugurata ipotesi in cui la Lega possa arrivare a governare la città.

Il dibattito nazionale, dicevamo. Questo si è giocoforza concentrato sul futuro della sinistra. Non mancano in quel dibattito molta confusione e molti equivoci. Per cominciare, non si capisce se con il termine sinistra ci si riferisca al socialcomunismo italiano oppure a una sinistra di regime, intesa come variante più illuminata dello stesso progetto. È difficile o triste ammetterlo ma sembra che il PD e i partiti che l’hanno costituito si siano fatti interpreti di una versione del ritorno all’ordine (quello neo-liberista ma c’è molto peggio sotto il tappeto) speculare e complementare alla destra berlusconiana, ritorno che in Italia ha assunto i connotati di un disegno eversivo di lungo corso, illegittimo, illegale e anticostituzionale nella sostanza (e spesso anche nella forma). I regimi del resto non si fanno in un giorno: lo sappiamo benissimo noi italiani: il fascismo venne costruito nell’arco di poco meno un decennio dopo il 1922. La crisi ha messo a nudo le ambiguità di una sinistra ormai avulsa dalla realtà storica del paese. Con l’alta marea tutte le barche galleggiano. Con la crisi economica  (che in Italia si è innestata a una stagnazione iniziata perlomeno nel 2001) e l’arrivo della bassa marea, le barche pesanti, come le bugie, si arenano. Sottolineare la contiguità tra destra e sinistra (nel senso che avevano lo stesso progetto di fondo) era anatema nel’Italia di fine secolo; nel 2018 l’ipotesi di una identità di vedute e di interessi, al contrario, ha fatto breccia in ampi settori dell’opinione pubblica.  Nel frattempo si è verificato ciò che si prefigura essere, polaneyniamente e schumpeterianamente, un passaggio epocale e di trasformazione. Come negli anni 30, siamo di fronte a un nuovo perdurante fallimento del sistema di mercato, ma la sinistra fa finta di non accorgersene. Sotto la spinta dei giovani, dei lavoratori e dei sindacati, Corbyn è riuscito ad epurare il suo partito dai blairiani e dal blairismo, facendo marcia indietro e propugnando, chiamiamolo così, un socialismo più tradizionale. In Italia, invece, il trasformismo è andato troppo oltre (si dimentica troppo spesso che l’ex PCI è uno dei fondatori del renzismo) trasfigurando le istituzioni tradizionali (partiti e sindacati) del movimento operaio. Queste sono ormai inservibili e, al più, rappresentano dei simulacri di democrazia.  In un quadro di compromissione, trasformismo e confusione non sorprende affatto che le masse stiano di nuovo seguendo le sirene di una destra eversiva, razzista e xenofoba, che si sta facendo interprete di un rigetto generale (sebbene contraddittorio e superficiale) del mercato e dell’ordine neo-liberale. A sorprendere sono invece i tempi di realizzazione dei fenomeni, molto più veloci di quanto si potesse immaginare fino a qualche anno fa.

È vero che una sinistra di classe e popolare è necessaria per contrastare la deriva xenofoba e per rimettere in carreggiata la democrazia italiana. Ma pensare di farlo partendo da ipotesi frontiste e considerando il PD renziano come interlocutore privilegiato è un po’ come riabilitare l’alchimia. Si può veramente trasformare il piombo in oro? Gli alchimisti propugnano l’Aventino a livello nazionale, regalando così ulteriori spazi alla destra xenofoba e fascista di Salvini. A livello locale e a Pisa però invocano un fronte comune per bloccarne l’avanzata. La cosa sarebbe forse meno contraddittoria se l’amministrazione uscente non avesse già attuato, con un linguaggio certo più pulito e politicamente più corretto, molte delle iniziative (demagogiche e al limite del criminale) tanto care alla Lega – dagli sgomberi con ruspe, alle misure antiborsoni, ai Daspo urbani. Se passiamo poi a considerare la sfera del non fatto, possiamo citare due esempi che mi sembra appartengano più alle corde di Salvini che alla tradizione della sinistra cittadina e toscana: la mancata difesa degli sfrattati e, perchè no, la noncuranza per la ricerca e per la cultura (simboleggiata dalla chiusura o mancata riapertura della Sapienza, luogo importantissimo per studiosi di tutto il mondo) che resta la prima ‘industria’ a Pisa.‘Se la torre pende a destra’: questo era il titolo di un articolo de Il Fatto Quotidiano del 2010 che descriveva la giunta Filippeschi. Un titolo sarcastico forse, ma che colpiva nel segno. Ai frontisti andrebbe infine ricordato che la legge elettorale consente di creare delle coalizioni più vaste al secondo turno, per cui possono anche esimersi (e forse sarebbe financo anche più intelligente farlo in termini di politica politicante) da scelte avventate fin dall’inizio.

Più interessante sarebbe invece capire come poter chiamare a raccolta e mobilitare donne e uomini, le lavoratrici e i lavoratori in carne ed ossa sui valori della nostra Costituzione e capire come le città, e Pisa, possano rappresentarne interessi e aspirazioni. E soprattutto farlo senza ambiguità o in negativo, cioè usando la paura come collante. Qualcuno ha recentemente accennato al ‘socialismo municipale,’ formula cara, si badi bene, al socialismo riformista e fabiano inglese. È una ipotesi tornata in voga nell’Europa settentrionale e prefigura la possibilità per le città (municipi) di contrastare gli effetti deleteri del liberismo che proviene dal centro (sia esso nazionale o transnazionale). L’Europa e il governo nazionale spingono per la  privatizzazione dell’acqua e dei servizi elettrici a favore dei monopoli privati? La città o le città attuano, in vari modi e con varie iniziative, una concreta ripubblicizzazione con investimenti, proprietà pubblica e sconti in bolletta. Le città insomma diventano il nucleo di un progetto civico e socialista (inteso in senso ampio) più ambizioso e a più largo raggio, e soprattutto un’occasione di rilancio per gli interessi dei lavoratori e dei ceti popolari. Lo sanno bene Corbyn o anche Iglesias che non sognerebbero neanche per un minuto, al contrario dei loro estimatori ed epigoni nostrani, di intralciare progetti innovativi, siano essi a Preston o a Barcellona, che vanno in quella direzione.

E si perché per chi non se fosse accorto a Pisa è in atto un importante esperimento democratico, di sinistra e popolare, che va sotto il nome della coalizione Diritti in Comune (Una città in comune, Rifondazione Comunista, Possibile). I due consiglieri che hanno rappresentato questa coalizione negli ultimi cinque anni trascorsi all’opposizione, conti alla mano (cioè numero di interrogazioni iniziative ecc.), hanno fatto un lavoro straordinario; lavoro che renderebbe molto efficace, anche sul piano tecnico, una futura azione di governo della città o anche il lancio di nuove forme di mutualismo. Tanto per intenderci, per esempio, sulla questione dell’ evasione fiscale ad opera di alcune aziende edili hanno addirittura mostrato di saperne di più della giunta uscente, a cui, pare, erano sfuggiti alcuni dettagli importanti. Chi tra gli alchimisti della politica e tra i governisti senza governo crede che quella dei Diritti in Comune sia una esperienza velleitaria e minoritaria prende un grosso abbaglio.

Condividi questo articolo

Lascia un commento