Giovedì 25 Febbraio su nostra proposta si discuterà in consiglio comunale dell’argomento relativo all’accoglienza e a quella che impropriamente viene definita “emergenza profughi”. Diffondiamo la breve traccia che presenteremo giovedì in consiglio per inquadrare la discussione.
***
L’argomento che affrontiamo oggi è particolarmente delicato, e di stringente attualità, non solo locale. Come noto, le coste meridionali del nostro paese sono, ormai da alcuni anni, investite da nuovi e considerevoli flussi di migranti, che provengono dalle aree di conflitto e di instabilità politica nella sponda Sud del Mediterraneo. Il fenomeno, che ha senza dubbio assunto dimensioni inedite per il nostro paese, è tuttavia oggetto di errate interpretazioni, e a volte di deliberata e consapevole disinformazione. Converrà dunque, in primo luogo, spendere due parole per dare un quadro realistico della situazione.
I migranti sbarcati sulle nostre coste, nell’anno 2014, sono poco più di 170mila: un numero senza dubbio considerevole, quasi quattro volte superiore a quello del 2013 (42.925). Nel solo mese di Gennaio 2015, gli sbarchi sono stati 3.528, il 63% in più rispetto allo stesso periodo del 2014 e oltre 10 volte il dato del 2013 [si vedano i dati della Fondazione Leone Moressa in http://rs.gs/uBD].
Inutile negarlo, dunque: i numeri sono molto rilevanti, e ci restituiscono un fenomeno per molti aspetti inedito nel nostro paese. Ciò significa che siamo di fronte a una «invasione insostenibile», come è stato scritto?
No, le cose non stanno così. I sociologi e i demografi che studiano il mondo dell’immigrazione si sforzano di spiegare che la «sindrome da invasione» è del tutto infondata: questo perché, contrariamente a un diffuso luogo comune, il fenomeno migratorio non si identifica affatto con gli «sbarchi», ma è una realtà ben più complessa, articolata e multidimensionale.
Alcuni anni fa, uno dei massimi esperti di immigrazione, il sociologo Enrico Pugliese, spiegò questo punto con un aneddoto semplice e molto efficace: chi teme l’invasione di migranti – diceva – non dovrebbe pattugliare le coste di Lampedusa o della Sicilia, perché non è in quelle aree costiere che il fenomeno assume le dimensioni più rilevanti. Chi volesse bloccare l’immigrazione – diceva ancora il professor Pugliese – dovrebbe piuttosto «militarizzare» il terminal degli autobus della Stazione Tiburtina, a Roma (ovviamente il discorso era ironico…). Perché è da lì – non dal mare, ma da una frontiera di terra, per così dire – che arrivano i migranti veri e propri: è lì che «sbarcano» le cittadine dell’Est Europa (Romania, Ucraina, Polonia) che svolgono preziosi compiti di assistenza agli anziani, i lavoratori che operano nei cantieri dell’edilizia, gli operai impiegati nelle fabbriche del Nord-Est e anche della Toscana, gli agricoltori e i braccianti del Tavoliere pugliese, e così via. Figure preziose per il nostro apparato produttivo, che con il loro lavoro, con le tasse e i contributi che forniscono allo Stato, fanno guadagnare al nostro paese – ce lo dicono le stime dell’Unar – quasi cinque miliardi di euro l’anno netti. Gli immigrati, sempre secondo i dati Unar, generano infatti un introito fiscale di 7,6 miliardi l’anno, mentre la spesa pubblica loro destinata è pari a 2,8 miliardi l’anno: il saldo è quindi largamente positivo. E lo dico per sfatare il facile discorso «con la crisi non ci possiamo permettere l’accoglienza» [i dati sono tratti da Unar – Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali, Dossier Statistico Immigrazione 2014. Dalle discriminazioni ai diritti, Idos, Roma 2014, pag. 315].
Ecco, questa immigrazione – l’immigrazione che arriva alla Stazione Tiburtina, per seguire la metafora di Pugliese – è in calo costante dal 2007. I flussi annuali di cittadini stranieri, ci dice l’Istat, calano dai 321mila nel 2012 ai 279mila nel 2013. Il saldo migratorio netto con l’estero (cioè la differenza tra coloro che arrivano in Italia e coloro che se ne vanno) è pari a 182mila unità nel 2013, un valore in forte diminuzione rispetto all’anno precedente (-25,7%), e il più basso registrato dal 2007 [si veda Istat, Migrazioni internazionali e interne della popolazione residente, Dicembre 2014, in http://rs.gs/Cu5].
Dunque, cosa sta accadendo? Sta accadendo che, in tempi di crisi, l’immigrazione è in forte calo in tutti i paesi OCSE, e in particolare in Italia. Ma mentre diminuiscono i flussi “tradizionali” – quelli che riguardano i cosiddetti migranti economici – aumentano i profughi, i richiedenti asilo e i rifugiati. Non siamo di fronte, dunque, ad alcuna «invasione», ma solo al cambiamento della composizione dei flussi.
Chi sono, allora, coloro che sbarcano? Si tratta, lo dicevo un attimo fa, di richiedenti asilo, apolidi, rifugiati, profughi: persone in fuga da guerre, conflitti, violenze, persecuzioni etniche o religiose. Persone che l’Italia ha l’obbligo – giuridicamente sancito dalla Convenzione di Ginevra del 1951 – di accogliere e di ospitare.
In questi giorni si è detto di tutto, a proposito di questi nuovi flussi migratori. Si è parlato di terroristi dell’Isis pronti a nascondersi nei barconi: un’eventualità del tutto inverosimile, priva di fondamento e utile solo a diffondere ingiustificati allarmismi.
Si è parlato di mezzo milione di profughi, che verrebbero inviati in Italia proprio con la regia dell’Isis. Un altro dato irreale, anzi direi surreale: mezzo milione di persone inviate nel Mediterraneo equivale ad almeno 5.000 barconi, una flotta impensabile…
Quindi, torniamo ai dati di realtà. Siamo di fronte a un flusso migratorio di rilevanti dimensioni, e a un’emergenza umanitaria che richiede un impegno di tutto il paese. Non siamo di fronte a un’invasione, e nemmeno a un fenomeno «insostenibile», come è stato scritto.
E questa vicenda chiama in causa il nostro territorio. Anche qui, è bene sfatare qualche mito: voglio ricordare che la Toscana ha finora accolto appena il 3,7% dei profughi arrivati in Italia [si vedano ancora i dati della Fondazione Leone Moressa in http://rs.gs/uBD]. Quindi i discorsi del tipo «abbiamo già fatto la nostra parte» mi paiono decisamente fuori luogo.
Sulla stampa locale [Michele Bulzomì, L’arrivo a Pisa dei profughi. Mobilitazioni e proteste, in «La Nazione», cronaca di Pisa, 19-02-2015] abbiamo letto la dichiarazione dell’assessore Serfogli secondo cui «l’amministrazione non ha edifici da mettere a disposizione». E abbiamo letto le proteste di alcune come forza politiche, come la Lega Nord e di Noi Adesso Pisa, che come al solito invocano lo slogan «prima gli italiani». Come se il problema fosse quello di mettere gli uni contro gli altri, e non piuttosto quello di garantire i diritti di tutti.
La nostra città – diciamolo sinceramente – non ha finora brillato per spirito di accoglienza. Vorrei ricordare i gravissimi fatti di Calambrone, nel 2011, quando un violento attacco a una struttura di accoglienza impedì di ospitare i profughi. Vorrei ricordare la vergognosa vicenda del Centro di Via Pietrasantina, una vera e propria baraccopoli, un luogo del tutto improprio per dare rifugio a chi fugge da guerre e persecuzioni: se ne è parlato in tutta Italia ed è diventato un esempio negativo, il paradigma di cosa non si deve fare per accogliere i richiedenti asilo. E vorrei ricordare le più recenti vicende dei profughi accolti a Piaggerta, in un luogo isolato e marginale, pensato come luogo di accoglienza per un breve periodo e che invece è ad oggi ancora attivo senza che le criticità già evidenziate un anno fa siano mai state risolte.
Ecco, di fronte a questa storia recente, che decisamente non fa onore alla nostra città, credo che si debba una volta per tutte voltare pagina.
Dovremmo ricordare che un richiedente asilo marginalizzato e isolato diventa un peso, anche economico, per la città. E che al contrario un migrante ben inserito, che riesce a trovare un lavoro, si trasforma in una risorsa, anche economica (basti ricordare i dati sull’impatto fiscale dell’immigrazione che citavo prima).
Noi chiediamo che queste persone vengano accolte in condizioni dignitose, e che magari si individuino strutture di accoglienza non temporanee, ma permanenti: luoghi che oggi possano servire ai rifugiati, e che domani possano essere impiegati per l’emergenza freddo, o per fronteggiare gli sfratti, per dare riparo a famiglie senza casa, italiane o straniere che siano. Solo così possiamo sconfiggere la logica velenosa del «o noi o loro».
Chiediamo che le strutture rispettino gli standard di accoglienza previsti per i rifugiati (di cui al Manuale Operativo SPRAR), che prevedono «percorsi di inserimento sociale, abitativo e lavorativo», e raccomandano di «favorire i beneficiari nella (ri)acquisizione della propria autonomia», intesa come «capacità di interazione con il territorio» [citato da Servizio Centrale SPRAR, Manuale operativo per l’attivazione e la gestione di servizi di accoglienza e integrazione per richiedenti e titolari di protezione internazionale, Roma 2013, pag. 27, in http://rs.gs/H9z].
In questo senso, le strutture di accoglienza non devono essere isolate dal contesto, ma devono favorire il pieno inserimento dei migranti sul territorio.
Francesco Auletta e Marco Ricci
Una Città in Comune – Rifondazione Comunista