La spesa statale italiana per i per i beni e le attività culturali rimane fra le più basse d’Europa: un terzo di quella francese, metà di quella spagnola. Sono cose note, tanto quanto gli effetti della nefasta Riforma Franceschini del 2014, che ha creato una separazione netta tra valorizzazione e tutela del patrimonio culturale, premiando la prima e svuotando la seconda. Da una parte ha dato totale autonomia a venti grandi musei – tra cui Uffizi, Accademia e Bargello per stare a Firenze – per i quali ha nominato direttori con mega-stipendi che spesso pensano a far cassa; dall’altra ha abbandonato a se stessi i piccoli musei nazionali, tra cui il San Matteo a Pisa e la Certosa di Calci, sempre più svincolati dal territorio, senza finanziamenti né personale.
I Musei nazionali pisani dipendono dal Polo Museale della Toscana e da qualche mese il loro direttore pro tempore è lo stesso Soprintendente regionale, che assai di rado raggiunge la città della torre perché, comprensibilmente, deve seguire le vicende di altri quarantuno musei. Intanto, anno dopo anno diminuisce il personale di custodia e così pure i visitatori: nel 2017, secondo i dati del Ministero dei Beni Culturali, il San Matteo ne ha raggiunti 12.277, di cui 7.004 paganti, Palazzo Reale 13.584 di cui 1.427 paganti. Eppure nessuno ne parla, tantomeno in tempo di elezioni. Si discute di sicurezza e decoro, non delle sorti di una delle principali istituzioni culturali cittadine che – con la sua collezione di bacini ceramici arabi, le croci dipinte e le icone bizantine del XII-XIII secolo, i capolavori di Giunta di Capitino, Francesco Traini e i maestri senesi del Trecento, la scultura lignea e le opere di Andrea e Nino Pisano, Masaccio e Donatello, nonché dei pittori fiamminghi – costituisce una delle più potenti armi per sconfiggere il degrado.
In quest’ultimo decennio le amministrazioni hanno dimenticato il San Matteo, che non è segnalato ai turisti da alcun cartello stradale e non ha collegamento con la Piazza del Duomo. Peggio andrà se i razzisti di governo, che rivendicano l’ignoranza come un valore, conquisteranno il comune: in campagna elettorale hanno proposto di ricostruire in stile i principali ponti della città ed hanno minacciato di riappropriarsi del Teatro Rossi, e magari di rilanciare il folle progetto degli Uffizi Pisani, secondo un modello di gestione sempre più privatistica dei luoghi della cultura.
Si è parlato e si parla tanto di identità locale e di pisanità, ma nessuno si cura del fatto che una delle anime della città si stia lentamente spegnendo.
Una città in comune
Partito della Rifondazione Comunista
Possibile