Il tempo è adesso

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Il tempo è adesso

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La forma attuale del dominio costringe le persone, salvo pochissimi eletti, a vivere un evento inedito: la desolazione, l’estraniazione dal mondo, un’esperienza che provoca la sensazione di non sentirsi più parte del luogo in cui si abita. Muore la politica e muoiono le relazioni sociali. Muore la capacità di agire in comune. Nonostante il diffuso malessere sociale, anche chi è oppresso rimane ancorato al modello del self-made-man ed è innegabile come oggi sia davvero molto difficile ricostruire comunità e legami di solidarietà sociale. Lo sciopero sociale, convocato il 14 novembre in tutte le città italiane, nell’analisi del Municipio dei Beni Comuni di Pisa, è un passo che serve a ricostruire la possibilità di una comune capacità di agire interrogandosi sulle pratiche di lotta e di conflitto. Sarebbe miope non renderci conto che le pratiche devono mutarsi e rimodellarsi per coinvolgere ed aggregare soggettività fluide e frammentate. Serve un agire politico adeguato all’attacco ai diritti, alla democrazia e al welfare che è cominciato da tempo ma viene ora portato a compimento con straordinaria intensità dal governo Renzi

del Municipio dei Beni Comuni
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“La democrazia non è né la forma di governo che permette all’oligarchia di regnare in nome del popolo né la forma di società regolata dal potere della merce. E’ l’azione che strappa continuamente ai governi oligarchici il monopolio della vita pubblica e alla ricchezza l’onnipotenza sulle vite. E’ la potenza che deve, oggi più che mai, battersi contro la confusione di quei poteri in un’unica legge di dominio.”
(Jacques Rancière, L’odio per la democrazia, Napoli, Cronopio, 2007)

Siamo giunti ormai al sesto anno di questa crisi finanziaria. Una crisi che modella le nostre vite – le stritola come una morsa – caratterizzandosi fortemente per uno stato di incertezza permanente. Riduzione dei salari, precarizzazione di massa, distruzione sistematica del welfare e disoccupazione generalizzata. Nel ventunesimo secolo ormai ogni persona è atomizzata e si proietta nel modello antropologico individualista, nel successo economico facile, nell’edonistica società dei consumi e dello spettacolo. Il capitalismo rimane il modello di società più desiderato, nonostante quel successo proposto sia solo per pochi eletti. Questa particolare forma di dominio – dove non porta ricchezza e successo economico – costringe l’essere umano a vivere un evento inedito, la desolazione, l’estraniazione dal mondo, quell’esperienza che provoca nell’uomo la sensazione di non sentirsi più parte del luogo in cui abita. Muore la politica e muoiono le relazioni umane. Muore la capacità di agire in comune. Nonostante il diffuso malessere sociale anche l’oppresso rimane ancorato al modello del self-made-man ed è innegabile come oggi sia davvero molto difficile ricostruire comunità e legami di solidarietà sociale.
Lo sciopero sociale del 14 novembre, ha trovato fin da subito la convergenza del mondo del lavoro e del sindacalismo conflittuale (COBAS, CUB, USI, USB e pezzi della CGIL), e in questo momento si trova rafforzato dall’indizione dello sciopero dei metalmeccanici al Centro-Nord da parte della FIOM, che si va ad aggiungere allo sciopero generale indetto fin da subito dai sindacati di base per quella giornata, contro il Governo Renzi e le sue politiche. Guardiamo inoltre, con interesse critico, all’annunciato sciopero generale della CGIL, che è stato convocato dal direttivo nazionale del 12 novembre.
Questo sciopero sociale, convocato in tutte le città del nostro Paese vuole essere un ulteriore passo, per ricostruire la possibilità di una comune capacità di agire interrogandosi sulle pratiche di lotta e di conflitto. Sarebbe miope non renderci conto che, in questa fase politica, le pratiche devono mutarsi e rimodellarsi per coinvolgere ed aggregare soggettività fluide e frammentate. Un agire politico adeguato all’attacco ai diritti, alla democrazia e al welfare iniziato da molti anni a questa parte, ma portato a compimento dal Governo Renzi. Il radicale interrogativo che ci poniamo nell’organizzazione di questa giornata riguarda la possibilità di costruire un’opposizione sociale e un’alternativa alle politiche neoliberali, compito ancora più urgente in un paese segnato dal declino e dalla marginalità. Un piccolo tassello viene posto per costruire un’agenda di lotta che sappia connettere i soggetti sociali più deboli, rinchiusi nell’invisibilità e nella solitudine dell’impotenza inerte. La sofferenza della crisi deve diventare atto politico di liberazione. La politica deve modellare la sofferenza in una “degna rabbia”, che ci permetta di incrociare le braccia contro un modello economico iniquo. Ecco, dobbiamo tentare di riconoscerci, organizzarci e contarci per vincere.
Vorremmo promuovere uno spazio pubblico e comune per lottare contro il più violento attacco ai diritti dei lavoratori e delle lavoratrici degli ultimi anni, realizzato attraverso la “riforma” del mercato del lavoro del governo Renzi: il “Jobs Act”. Questo provvedimento, in linea con le misure chieste dalla Banca Centrale Europea fin dal 2011 attuate in altri paesi europei, sancisce la licenziabilità senza giusta causa e dunque la precarietà e lo sfruttamento come condizione standard normale di vita, istituzionalizzando il lavoro servile, sottopagato o gratuito. La condizione generale di precarietà e sfruttamento assume spesso anche la forma della discriminazione razzista e di genere, che colpisce anche più duramente sia la forza lavoro migrante, sottoposta all’odioso ricatto del permesso di soggiorno legato al contratto di lavoro e ad un percorso impervio di accesso dell’accesso (negato) alla cittadinanza, che le donne, oggetto di un’ulteriore penalizzazione in tema di salario, welfare e diritti, dentro e fuori il rapporto di lavoro.
Quello del governo Renzi è un attacco generale e generalizzato ai diritti e alle condizioni sociali di vita nel nostro paese. La recente approvazione del nuovo Piano Casa del ministro Lupi sancisce la fine di qualsiasi politica di intervento pubblico contro l’emergenza abitativa che dilaga nelle nostre città. Un provvedimento disegnato su misura per la speculazione e la rendita, che annuncia la vendita all’asta del patrimonio di edilizia popolare e si tradurrà in migliaia di sfratti. In particolare, l’art. 5 del provvedimento arriva a negare la residenza agli occupanti di case, cioè la possibilità stessa di usufruire dei più elementari diritti di cittadinanza. Il decreto Sblocca-Italia perpetua gli affari del mattone e dei costruttori continuando a consumare ulteriore suolo, accomunando a questo dispositivo la svendita dei beni demaniali, ormai vero e proprio “sacco” dei Lanzichenecchi del ventunesimo secolo: banche, istituti finanziari e immobiliaristi, i quali hanno la possibilità di determinare piani regolatori e progetti di “riqualificazione urbana” in nome del profitto.
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A fronte di questo rivendichiamo l’esigenza di spazi di aggregazione sociale nati dal passo e autogestiti che possano essere luogo di reale confronto democratico e di mutua solidarietà tra le classi più colpite dalla crisi. Il sociologo David Harvey ha chiamato questo processo “accumulazione per spossessamento”, e il Governo-Renzi non sta facendo altro che partecipare a questi dispositivi di dominio dettati dal neoliberismo. Il ruolo del “pubblico” e dello Stato non solo è in crisi ma si sta comprimendo drasticamente a favore della rendita e della proprietà privata diventando il suo vero e proprio “Cane da guardia”. Gli unici interventi seri da parte dello Stato – declinati con una precisa chirurgia repressiva – sono quelli fatti per la tutela della sacralità della proprietà e dei poteri economici finanziari.
Infine, non dimentichiamo il Piano Scuola, un progetto che ha come slogan “l’assunzione dei precari” e “la meritocrazia”, ma che in realtà continuerà ad inasprire la guerra fra “l’ultimo e il penultimo” distruggendo definitivamente il concetto di “pubblico” nel campo dei saperi e della formazione; il Piano Scuola, infatti, non si occupa minimamente del diritto allo studio, non garantisce, soprattutto, un modello di welfare studentesco e universale per tutti gli studenti che oggi, ad esempio, sono costretti ad abbandonare gli studi perché non possono permettersi i libri di scuola, svilendo la loro condizione e piegandola al mercato del lavoro, ovviamente precario, costringendoli a lavorare nelle aziende che finanzieranno le scuole, in una condizione di sfruttamento totale, in quanto non esiste uno statuto delle studentesse e degli studenti in stage. Lo smantellamento della scuola pubblica, che è in linea con le politiche gelminiane, non si ferma qui: nel campo, così delicato e sensibile, dell’accesso all’insegnamento, l’ultimo progetto firmato Renzi-Giannini prevede l’introduzione delle magistrali abilitanti, provvedimento che non solo, ad oggi, non è sostenibile in termini reali dagli Atenei stessi, ma che va a divaricare due campi, quello della didattica e della ricerca, che per un modello universitario credibile e di massa non possono stare disgiunti. Tutto ciò nell’ottica onnipresente dello SbloccaItalia, approvato anche al Senato e quindi in via di conversione in legge, quella che è la svalutazione del patrimonio pubblico diviene svilimento dei saperi e del mondo della formazione, con l’ingresso dei finanziamenti privati all’interno della scuola pubblica -legittimato dal Piano scuola stesso-. Si è cambiato verso? Si, in un solco tracciato da 10 anni di politiche che andavano nella direzione dello smantellamento del welfare, dello svilimento del ruolo del pubblico, del depauperamento dell’istruzione, a tutti i livelli, pubblica, laica, di massa e di qualità.
Fino al 14 novembre il Municipio dei Beni Comuni renderà evidente quanto i provvedimenti di questo governo strangoleranno ancora di più un Paese in profonda crisi. Inizieremo con il piano nazionale di vendita all’asta delle case popolari. In modo particolare continueremo a ricordare al Comune di Pisa come non sia possibile mercanteggiare sulla Mattonaia, uno spazio adibito ad edilizia popolare e da anni sotto attacco di diversi progetti di speculazione; l’ultimo prevede una vendita che baratta l’immobile con un pacchetto di lavori pubblici. L’edilizia popolare non può essere merce di scambio per mettere mano alla sistemazione delle strade. E poi ancora contro la precarietà e il lavoro gratuito che a Pisa è il modello dominante dei grandi eventi. Continueremo poi il 13 novembre con la presentazione dell’ultimo Libro Bianco sul razzismo in Italia a cura di Lunaria.
Infine, incroceremo le braccia il 14 novembre con lo Sciopero Sociale.
E’ tempo di rialzare la testa! E’ tempo di sciopero sociale!
Stay Rebel!
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* Municipio dei Beni Comuni di Pisa

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