C’è un filo conduttore che ha legato gli interventi sulla stampa dell’assessora Capuzzi pubblicati in questa settimana.
Temi diversi, ma uniti da uno stesso metodo, uno stesso stile, da un’idea che produce separazione e conflitto.
La sufficienza con cui ha liquidato le richieste legittime delle insegnanti dei bimbi rom sgomberati dalla Bigattiera, vanno di pari passo con la presa di posizione sulla chiusura della casa “L’isola che c’è”. Gli operatori del servizio di accoglienza per le mamme dei bimbi nati pretermine hanno portato avanti una articolata campagna per chiedere i finanziamenti necessari per continuare ad esistere: la Regione Toscana è intervenuta – seppur in Zona Cesarini – e la chiusura è stata scongiurata. Non dobbiamo ringraziare quest’Amministrazione per il salvataggio.
Prima della felice risoluzione, l’assessora aveva infatti già fatto sapere alla città che non gliene importa. Non aveva voluto sapere dove andranno a scuola i bimbi buttati fuori dalle ruspe democratiche della Bigattiera, non aveva voluto neppure sapere che fine avrebbero potuto fare le mamme che affrontano il doloroso cammino dei loro bimbi ricoverati in neonatologia.
Ci ha sostanzialmente detto che non è un problema suo, devono risolverlo le associazioni, se proprio ci tengono. L’assessora si è posta solo come garante della legalità e della difesa dei diritti di una sola parte della cittadinanza.
Con queste premesse, la responsabilità pubblica di chi avrebbe, tra i propri compiti, la tutela e la promozione dell’intera salute collettiva non esiste più. Noi pensiamo che questo atteggiamento sia una pietra tombale sul welfare locale, un deciso passo in avanti rispetto a un sistema già troppo esternalizzato, troppo privatizzato.
Qui non si tratta di ragionare soltanto dei gravi tagli alle risorse destinate alle politiche di salute, che pure sono stati accettati da questa amministrazione senza battere ciglio, ma del taglio, altrettanto grave, al dialogo con le associazioni, alla partecipazione, al pensare alla comunità come formata da bisogni ed istanze che devono trovare risposta in chi governa la cittadinanza.
Noi pensiamo che la sordità dimostrata in queste vicende debba risvegliare le energie solidali di questa città; dobbiamo rifiutare le logiche che portano all’esclusione, alla separazione e alla negazione del dialogo.
Una Ciità in Comune