domenica 10 giugno 2018 |
Testata: REPUBBLICA FIRENZE |
Pagina: I-V |
Massimo Morisi
Quando cambia un regime, ci ha insegnato “Il Pianista” di Manuel Vázquez Montalbán, bisogna festeggiare. Vale anche per la Toscana? Forse si, forse no. Si, se una intera classe politica e “dirigente” – nei tanti meandri del sottogoverno regionale e locale, e nella tante reti degli “addetti ai lavori” tra imprese pubbliche, semi pubbliche e private ma “amiche” che in tempi dorati affollavano le feste dell’Unità e i convegni a sponsorizzazione “doc” – dismette l’arroganza dei “ben inseriti” e si interroga su una sconfitta che è anche e molto loro, e che sancisce l’inadeguatezza del loro senso critico.
Quando cambia un regime, ci ha insegnato “Il Pianista” di Manuel Vázquez Montalbán, bisogna festeggiare. Vale anche per la Toscana? Forse si, forse no. Si, se una intera classe politica e “dirigente” – nei tanti meandri del sottogoverno regionale e locale, e nella tante reti degli “addetti ai lavori” tra imprese pubbliche, semi pubbliche e private ma “amiche” che in tempi dorati affollavano le feste dell’Unità e i convegni a sponsorizzazione “doc” dismette l’arroganza dei “ben inseriti” e si interroga su una sconfitta che è anche e molto loro, e che sancisce l’inadeguatezza del loro senso critico. “Clientela e parentela” è un grande classico della letteratura della scienza politica italiana e internazionale (e mai basterà la gratitudine degli storici per Joseph La Palombara che ne scrisse negli anni Cinquanta del `900) e spiega meglio di qualunque “se” odi qualunque “ma” perché la Toscana e il suo centrosinistra abbiano perso le loro fondamenta e abbiano smarrito per sempre la loro incontendibilità. Anche in Toscana la Lega e il suo alleato 5 stelle possono vincere, specie se il “contratto” diventa un’alleanza e se qualche provvedimento del governo nazionale saprà esprimere una funzionalità simbolica rassicurante. Ha ragione Matteo Renzi quando dice che il messaggio di Giuseppe Conte “può piacere”.
La Pira, Bargellini, Bartolini, Don Milani: la Toscana deve riaggrapparsi a quei giganti perché le ricette saranno anche miopi ma, almeno nell’immediato, danno voce a sentimenti largamente diffusi. E ben presenti sotto le ipocrite coltri toscane di una sinistra di maniera che coltiva gli stessi timori e le stesse angustie di chi teme la moschea di Piazza de’ Ciompi. E non sopporta il ponte di Rialto o le colline di Capri che tappezzano l’offerta commerciale tra Santa Maria del Fiore e il Battistero ad opera di spesso aggressivi venditori di ignobili paccottiglie (…a cui nessun Imam sembra in grado di fornire un qualche indirizzo).
Solidarietà e visione del mondo e della sua complessità vengono mandati, da questo governo, al macero etico prima ancora che culturale). Ma c’è anche, e molto, di cui preoccuparsi. Di cui non festeggiare. Solidarietà e visione del mondo e della sua complessità vengono mandati, da questo governo, semplicemente al macero. Tutto diventa “ordine pubblico”. Tutto diventa fortezza e ponti levatoi che si chiudono. Nulla si apre all’innovazione sociale, a generazioni che possono “fertilizzare” un continente stanco, vecchio ed egoista, tutto viene giocato sul codice penale e sui suoi derivati. Come se La Pira, Bargellini, Bartolini, Don Milani li avessimo mandati al macero. Se la sinistra vuole darsi un futuro a Firenze e in Toscana deve uscire dalla propria plumbea mediocrità e riaggrapparsi a quei giganti che ne hanno fatto la storia recente e che anche oggi ci danno lenti preziose.