10 aprile 1991: sono trascorsi 22 anni da quando 140 persone persero la vita a bordo del Moby Prince dopo lo scontro con la petroliera Agip Abruzzo, a poche miglia dal porto e dagli scogli di Livorno. Un “mistero italiano” per il quale manca ancora una verità processuale. Oltre ad aver segnato uno dei lutti più cupi della storia della Repubblica, quella del Moby è stata una delle più gravi tragedie della marineria e del lavoro, in gran parte rimossa dalla memoria collettiva.
A distanza di tanto tempo non è stata fatta nessuna chiarezza né giustizia su una vicenda che qualcuno ha definito “l’Ustica del mare” per il parallelismo – a tratti inquietante – con la tragedia del Dc9 dell’Itavia del 1980.
La lista “una città in comune” non vuole arrendersi all’oblio indotto da una regia che vorrebbe seppellire il caso del Moby sotto una coltre spessa di silenzi, e in occasione del 22° anniversario della strage del Moby esprime il suo pieno appoggio e la sua solidarietà a chi ancora resiste a tutto questo. Come Loris Rispoli, il presidente del Comitato 140, il quale nel giorno precedente l’anniversario della strage ha ribadito: «Chiediamo che si apra una nuova pagina giudiziaria, anche con il supporto esplicito delle istituzioni. Un processo condotto senza paraocchi, nel corso del quale emerga con forza un punto troppo spesso colpevolmente trascurato: prima di tutto, il Moby era un luogo di lavoro dove hanno perso la vita 70 marittimi. Quando vi fu la strage della Thyssen, sul banco degli imputati salirono i responsabili dello stabilimento torinese. Perché non può accadere la stessa cosa per il Moby? Noi continueremo a chiedere sempre verità e giustizia».
Ricostruire la vicenda del Moby non è operazione semplice, anche se in questi giorni un altro tassello – per quanto piccolo – sembrerebbe essersi collocato al suo posto. Theresa – la nave che in tutta fretta, mezzora dopo la collisione, si allontanò dalla rada del porto di Livorno – ha un’identità. Una perizia ha dimostrato come Theresa sia il Gallant 2, una delle navi militarizzate che quella notte erano impegnate nel trasporto di armi presso la base militare americana di Camp Darby, la più grande base logistica USA del Mar Mediterraneo.
La presenza di un presidio militare di quelle dimensioni condiziona fortemente la vita delle comunità che risiedono nell’area: la tragedia del Moby impone un cambio di passo nella trasparenza della gestione dei territori militarizzati. I cittadini hanno il diritto di sapere quanto accade a pochi chilometri dalle loro case, così che eventi come quello del 10 aprile 1991 non abbiano più a ripetersi.
Al di là di una verità difficile da raggiungere, e contro la quale ancora ci si trincera dietro un ostinato muro di gomma, “una città in comune” oggi, 10 aprile, è insieme a quanti a Livorno ricorderanno quei 140 morti rimasti senza giustizia, lì sulla banchina del porto da dove il Moby salpò per l’ultima volta.
una città in comune