PREMESSO CHE:
Il decreto legge n. 4 del 2019 ha introdotto il Reddito e la Pensione di cittadinanza quali misure di politica attiva del lavoro e di contrasto alla povertà, alla disuguaglianza e all’esclusione sociale.
La legge finanziaria (L. 197/2022) ha disposto alcune modifiche alla disciplina del reddito dicittadinanza applicabili già nel 2023, in vista della soppressione di tale istituto e della pensione di cittadinanza dal 2024, nell’ambito di una più ampia riforma delle misure di sostegno alla povertà.
RILEVATO CHE:
Con la Legge di Bilancio 2023, legge 197 del 29 dicembre 2022, il Governo ha abolito il reddito di cittadinanza a partire al 1° gennaio 2024, deliberando inoltre una serie di limitazioni già per l’anno corrente, tra cui la riduzione a soli sette mesi del periodo di erogazione dell’assegno per i c.d. occupabili, una decisione che appare preoccupante, soprattutto a fronte del mancato corrispondente potenziamento delle politiche attive in ambito di formazione e impiego;
Stando a quanto posto in essere finora, il Governo intende procedere secondo una logica di restrizione dei sussidi contro la povertà, soprattutto nei confronti degli “occupabili”, ai quali, inoltre, continuerebbero ad essere offerti dei percorsi di inclusione lavorativa assolutamente inadeguati;
in particolare, la riforma si baserebbe, appunto, su una serie di arbitrari tagli all’attuale sistema di sostegno, il quale verrebbe depotenziato nelle sue componenti cruciali, come ad esempio: la soglia ISEE con cui si accede alla misura, la drastica riduzione dell’ammontare dell’assegno mensile, quasi dimezzato per i c.d. occupabili; la limitazione del numero di rinnovi, ovvero dei loro periodi di durata; la perdita del diritto al sostegno dopo il rifiuto di un’unica offerta di lavoro; sparisce inoltre ogni riferimento alla congruità dell’offerta di lavoro, che quindi non deve presentare alcun elemento di natura contrattuale che assicuri alla persona l’uscita permanente dalla povertà.
OSSERVATO CHE:
Con il D.L. 48/2023 (c.d. Decreto Lavoro) “Misure urgenti per l’inclusione sociale e l’accesso al mondo del lavoro” viene ridotta drasticamente la platea dei beneficiari delle misure con strumenti inefficaci per importo e durata nel sostenere la totalità delle persone in povertà assoluta.
La nuova misura di contrasto alla povertà, denominata Assegno di inclusione, è infatti destinata ai soli nuclei familiari con individui in condizioni di fragilità al proprio interno (minorenni, persone con disabilità, persone di almeno 60 anni di età). Chi è in condizione di povertà, ma non ha nel suo nucleo soggetti con tali caratteristiche, è escluso dalla misura. Non è quindi una misura di contrasto alla povertà, ma un sostegno ad alcune categorie di fragili.
La misura appare inoltre discriminatoria nei confronti dei cittadini stranieri, nonostante le raccomandazioni europee e della giurisprudenza in senso contrario, con la previsione del requisito della residenza in Italia da almeno 5 anni di cui almeno gli ultimi 2 continuativi.
La misura è inoltre erogata ad intermittenza, con la sospensione di un mese dopo i primi 18 mesi, quindi ogni 12 mesi.
Per i soggetti ritenuti occupabili all’interno dei nuclei che hanno accesso alla misura, è determinato l’obbligo di adesione ad un percorso di inclusione lavorativa. La distinzione tra chi è attivabile al lavoro e chi non lo è definita sostanzialmente dall’età anagrafica e dall’assenza di carichi di cura e non tiene conto dell’effettiva immediata occupabilità (sussistenza di altre fragilità, grado di istruzione, eventuale formazione lavorativa, esperienze lavorative pregresse).
I soggetti occupabili sono tenuti ad accettare la prima offerta di lavoro congrua che, in caso di contratti a tempo indeterminato, non prevede alcun limite di distanza sul territorio nazionale.
L’approccio nei confronti dei beneficiari è inoltre di controllo: è previsto che i beneficiari si rechino ogni 90 giorni presso i servizi sociali/agenzia del lavoro, pena la decadenza del beneficio. Inoltre l’assegno è erogato tramite una “Carta di inclusione” vincolata al soddisfacimento di specifici bisogni e con limiti stringenti al prelievo di contante.
Per le famiglie in condizione di povertà che non hanno al proprio interno minorenni, persone con disabilità o persone di almeno 60 anni di età, il decreto non prevede una effettiva misura di sostegno al reddito, ma una misura di attivazione al lavoro, il c.d. “Strumento di attivazione”. La soglia ISEE di accesso alla misura è escludente, pari a soli 6.000 euro. Il valore del beneficio economico appare inoltre assolutamente insufficiente nell’importo e nella durata, posto che è pari ad euro 350 euro/mese per la durata della formazione fino a un massimo di 12 mesi. Inoltre la sua erogazione è vincolata alla partecipazione a programmi formativi. A fronte di una durata così breve del beneficio e del vincolo alla formazione per la sua erogazione, il decreto desta perplessità circa la capacità del sistema previsto di fornire possibilità formative a tutti i potenziali richiedenti. Infine – e ciò rappresenta un ulteriore ostacolo nell’accesso alla misura – per poter farne richiesta, l’interessato deve dimostrare di essersi prima rivolto ad almeno tre agenzie per il lavoro o enti autorizzati all’attività di intermediazione.
Tutto ciò si inserisce in un provvedimento normativo che rischia in realtà di contribuire proprio alla creazione di nuove fasce di povertà, favorendo il lavoro povero e la precarizzazione dei rapporti di lavoro, posto il decreto interviene inoltre sulla disciplina dei contratto di lavoro a termine, aumentando le casistiche nelle quali tali contratti possano superare la scadenza ordinaria di 12 mesi.
RILEVATO CHE:
Secondo le ultime stime di Eurostat, in Italia il rischio di povertà è crescente e di particolare gravità. Attualmente ci sono circa 14.9 milioni di individui che si trovano in una situazione di esclusione sociale, ovvero che hanno difficoltà ad accedere all’acquisto di beni primari, tra cui un’abitazione adeguatamente riscaldata e una dieta bilanciata, e tra questi sono 5.6 milioni i poveri assoluti;
la povertà è un fenomeno complesso e multidimensionale che necessita di un approccio olistico, il quale tenga in considerazione, appunto, che alla situazione del singolo individuo possono concorrere una serie di elementi diversi, tra cui: la situazione personale, come il grado di istruzione, l’età o la durata del periodo di disoccupazione; le criticità del mercato del lavoro, particolarmente aggravatesi negli ultimi anni, tra cui l’assenza del salario minimo, il precariato e il part-time involontario; l’assenza di alcuni servizi, come i sistemi di conciliazione famiglia- lavoro, dai quali deriva, in particolare, il basso tasso di occupazione femminile; il costante aumento del costo della vita, il quale, soprattutto a causa della crisi energetica, nell’ultimo anno ha riguardato nello specifico i beni primari;
le misure adottate dal Governo, che ha già tagliato con la legge di bilancio 2023 i sostegni per l’accesso alla casa, sono destinate a condurre ad un ulteriore e preoccupante aggravarsi della povertà nel nostro Paese nel breve e nel lungo termine, sia perché si vanno a strutturare delle politiche attive inevitabilmente inadeguate, sia perchè non si investe nel sistema di welfare, sul quale si agisce piuttosto depotenziando gli strumenti di protezione attualmente in vigore e riducendo il numero degli aventi diritto.
CONSIDERATO CHE:
Nella cornice del 14esimo principio del Pilastro europeo dei diritti sociali, il quale stabilisce che “chiunque non disponga di risorse sufficienti ha diritto a un adeguato reddito minimo che garantisca una vita dignitosa in tutte le fasi della vita”, quest’anno il Consiglio (30 gennaio 2023) e il Parlamento (15 marzo 2023) dell’Unione Europea hanno adottato delle raccomandazioni con cui sollecitano gli Stati membri ad istituire tale strumento come “parte integrante di sistemi nazionali di protezione sociale completi e basati sui diritti”, prevedendo, tra gli altri: i) che il reddito minimo sia adeguato sia nel suo ammontare che nella platea di beneficiari raggiunta; ii) che i criteri di ammissibilità siano trasparenti e non discriminatori; iii) che sia garantita la continuità dell’accesso al reddito minimo fintanto che sussiste la condizione di necessità che ha dato diritto al beneficio;
a difesa del reddito come strumento di protezione sociale e del suo potenziamento si sta mobilitando anche la società civile, oggi convogliata nella campagna “Ci vuole un reddito”, di cui fanno parte attualmente circa 120 realtà tra cui organizzazioni di volontariato, associazioni cattoliche, organizzazioni sindacali, studentesche, e comitati di quartiere, le quali hanno deciso di riunirsi per chiedere una riforma che istituisca un reddito inclusivo ed universale.
RITENUTO PERTANTO CHE:
Il reddito di cittadinanza abbia rappresentato un cruciale strumento per la lotta contro la povertà nelle sue diverse forme, senza il quale, come attestato da ISTAT, in Italia ci sarebbero stati circa 1 milione di poveri in più;
nell’ottica di una riforma migliorativa dello strumento attuale, è quindi necessario potenziare la misura, garantendo che l’accesso al reddito sia universale, effettivo ed equo per tutte le persone prive di risorse sufficienti per condurre una vita dignitosa, come richiesto anche dalle realtà associative di “Ci vuole un reddito”, e non invece ridurre drasticamente la misura come previsto dal D.L. 48/2023.
Il consiglio comunale impegna il Sindaco e la Giunta:
ad attivarsi, anche in sede ANCI, per opporsi al depotenziamento del Reddito di Cittadinanza, a partire dalla legge di conversione del D.L. 48/2023;
a sostenere, per quanto di propria competenza, ogni iniziativa che possa promuovere una riforma avente come obiettivo l’istituzione di un reddito minimo universale ed inclusivo, conforme alle raccomandazioni del Consiglio e del Parlamento UE;
a supportare la campagna “Ci vuole un reddito”, sostenendo attivamente le iniziative della campagna.
Francesco Auletta – Diritti in comune: Una città in comune – Unione Popolare