Ormai cinquantadue anni fa Franco moriva solo nel carcere Don Bosco mentre era in custodia dello Stato che lo aveva ingabbiato e negato le cure che gli sarebbero state necessarie per salvarlo.
Il 5 maggio aveva partecipato alle proteste contro il dispiegamento di forze di polizia che avevano blindato la città a difesa del comizio elettorale di Giuseppe Niccolai, deputato del Movimento Sociale Italiano. Era stato bastonato selvaggiamente da un reparto della celere, all’angolo tra il lungarno Gambacorti e via Mazzini e portato in carcere dove, nonostante i dolori lamentati, non venne soccorso.
È una storia che conosciamo bene, che la città di Pisa conosce bene, perché per la città di Pisa Franco Serantini è stato un figlio e un fratello. Serantini era orfano, un bambino e poi un adolescente sardo che aveva vissuto una storia molto complicata e difficile di affidi, abbandoni, violenza e incurie. A Pisa invece aveva trovato amici e passione. Qui stava per terminare il suo percorso formativo in una struttura semi-detentiva, presto avrebbe potuto vivere in piena autonomia la propria esistenza, per la prima volta.
Dopo la mattina del 7 maggio lo Stato tentò invece, ancora una volta, di relegarlo nel buio della storia, le istituzioni carcerarie provarono a procedere con una sepoltura rapida e furtiva.
La città di Pisa si rifiutò, non volle accettare che il silenzio calasse sulla vita di Serantini: lo fecero sia le istituzioni municipali che la società. Dal Comune venne negato il permesso a una procedura sommaria e illegale, dalla società civile venne richiesta l’adozione post-mortem di Serantini, in modo da pretendere una perizia medico-legale e risalire alle cause della morte ed eventualmente ai responsabili.
In questo passaggio a Pisa si è compiuto uno straordinario atto di conquista democratica. Si è riconosciuto il diritto inalienabile di ogni persona alla giustizia, si è affermata che la forza di un singolo si può fare più grande di quella dello Stato, là dove lo Stato aveva agito con violenza, al di fuori della legalità e soprattutto contro ogni tipo di umanità e di giustizia. Dopo poco però lo Stato era tornato ad affermare la propria forza e la propria impunità, affossando ogni tentativo di trovare la verità e individuare i colpevoli di quella morte. Ma almeno questa storia non era passata sotto silenzio.
Oggi – come ogni anno – crediamo sia necessario ricordare la storia di Serantini. È una vicenda che non può essere ridotta a uno tra i tanti episodi degli anni Settanta, che non può essere liquidata sotto le etichette di “anni di piombo” e di “opposti estremismi”. Non c’entra niente questo con Serantini e chi continua a sostenerlo dimostra di non rispettare la storia di questa città.
Come non ci siamo mai stancati di fare insieme alla @bibliotecafrancoserantini, continuiamo a chiedere che gli venga resa memoria con un atto minimo di giustizia ad anni di distanza: l’approvazione della nostra mozione con cui si delibera la nuova intitolazione dell’attuale piazza San Silvestro in Franco Serantini. Si tratterebbe solo di certificare ciò che la città attende da anni e un dato da tempo di fatto acquisito perché la cittadinanza già identifica la piazza con il nome di Serantini.
Da parte nostra rinnoviamo l’invito a partecipare all’iniziativa di commemorazione che la Biblioteca Franco Serantini ha organizzato nella sua sede oggi alle 18.