Inizierà oggi in Commissione bilancio l’illustrazione del bilancio preventivo per il 2023, e ancora una volta il tratto distintivo della Giunta Conti è la mancanza di qualsiasi partecipazione della cittadinanza. In questi anni la destra ha cancellato sistematicamente ogni forma di coinvolgimento dei cittadini e della cittadine.
Partecipare veramente alle decisioni che riguardano la nostra vita quotidiana – in tema di servizi pubblici, pianificazione urbanistica, mobilità, qualità dell’ambiente, bilancio comunale – è fondamentale per garantire la giustizia sociale e il benessere di tutte e tutti, sia di chi vive in centro che di chi vive nelle periferie, sia di chi si sposta in città per lavorare o studiare.
Ma cosa vuol dire partecipare veramente? L’esercizio periodico del voto per eleggere rappresentanti nelle istituzioni locali non esaurisce lo spazio della partecipazione democratica, anche perché lascia fuori quegli abitanti che non hanno la cittadinanza o non risiedono nel territorio comunale. Partecipare significa poter prendere parola e intervenire direttamente nello spazio pubblico, denunciando problemi, avanzando soluzioni, costruendo alternative, promuovendo discussioni aperte su quali siano i bisogni della collettività, i beni comuni da curare, i diritti fondamentali da garantire, le diseguaglianze e le ingiustizie da correggere. Questa partecipazione diretta non deve essere l’eccezione, ma la regola: deve attraversare tutta l’azione di governo della città, a partire dagli atti di natura economico-finanziaria e urbanistica, e deve dare voce alle diverse componenti del territorio comunale.
Ma come si può garantire che la partecipazione locale sia reale e inclusiva? Innanzitutto, occorre garantire la sua autonomia dai centri del potere politico ed economico: la cittadinanza attiva deve poter andare contro le decisioni di chi governa, e contro gli interessi dei privati, tutte le volte che ciò è necessario per difendere il bene pubblico. Se, invece, la partecipazione civica è controllata dalla politica o dall’economia, se le decisioni sono state già prese e ci si rivolge alla cittadinanza solo per riceverne conferma, partecipare è solo un’illusione: serve a manipolare l’opinione pubblica, favorendo ancora una volta gli interessi di pochi.
È quello che è avvenuto con la modifica dei Consigli Territoriali di Partecipazione (CTP) approvata dalla destra quasi un anno fa e che ancora non è stata applicata vista l’assenza del regolamento di funzionamento di questi organismi. Questo progetto ha peggiorato ulteriormente, se possibile, la già scarsa qualità democratica dei CTP che, dal 2009, avevano sostituito le vecchie Circoscrizioni e i loro Consigli elettivi.
E’ stato ridotto il numero degli organismi territoriali da 6 a 4: sono stati messi insieme quartieri molto eterogenei tra loro e si accresce la distanza tra i cittadini e gli organismi.
Invece di ripristinare qualche forma di elezione diretta degli organismi da parte della cittadinanza, è stato rilanciato il sistema della cooptazione, con una quota maggioritaria di membri nominati dalle forze politiche (non su un criterio proporzionale in base al risultato elettorale ma su un criterio maggioritario) cui si aggiunge una quota minoritaria di membri, nominati anche questi dal Consiglio comunale, scelti tra comitati, associazioni, e persino associazioni di categoria e ordini professionali, rischiando di andare incontro ai peggiori interessi corporativi.
In questo nuovo assetto, ancor più antidemocratico e meno trasparente del precedente, gli organismi territoriali continueranno a essere soltanto consultivi, privi di autonomia e di potere decisionale, diventando uno strumento di campagna elettorale con il rischio di essere solo un luogo dove si scambiano favori e interessi.
Si tratta dell’esito finale di una progressiva degenerazione che ha colpito le forme di partecipazione locale e di decentramento affermatesi, nello spirito della Costituzione, dagli anni Settanta in poi con la nascita dei Consigli di Circoscrizione. Tale degenerazione rispecchia un più vasto processo di arretramento della democrazia italiana, segnato dall’involuzione maggioritaria e plebiscitaria delle leggi elettorali a livello comunale, regionale e nazionale, dall’eliminazione dell’elezione diretta dei Consigli provinciali, ridotti a organismi di secondo livello eletti dai Consigli comunali, dalla riduzione del numero dei Consiglieri comunali e dei Parlamentari, dal trasferimento dallo Stato all’Unione Europea di poteri vitali ad esempio in materia di bilancio.
I Consigli di Circoscrizione erano stati introdotti a livello nazionale dalla legge n. 278/1976, per rispondere al forte bisogno di partecipazione proveniente allora dalla società italiana, espresso in molti territori dalla nascita spontanea di “Consigli di quartiere”. La legge n. 142/1990 ha poi reso obbligatoria e non più facoltativa l’elezione diretta dei consiglieri circoscrizionali, adottando il sistema elettorale proporzionale allora vigente per i Consigli comunali.
Per tutti gli anni in cui hanno funzionato su base elettiva diretta, le Circoscrizioni hanno svolto a Pisa un’importante funzione di collegamento tra i bisogni della cittadinanza e le istituzioni: esse hanno costituito, nelle esperienze più avanzate come il CEP, spazi di discussione e partecipazione reali che hanno migliorato la qualità della vita e ridotto le diseguaglianze con gli altri quartieri, in termini di servizi e investimenti pubblici. Sulla base di esperienze di questo genere, sosteniamo che non ci può essere giustizia sociale senza una reale partecipazione locale, a livello di quartiere.
La legge finanziaria del 24 dicembre 2007, n. 244 ha abolito le Circoscrizioni e i Consigli circoscrizionali eletti dai cittadini nei Comuni sotto i 100.000 abitanti, come Pisa; questo taglio alla democrazia è stato condotto in nome di una pretesa “riduzione dei costi della politica”. Nel 2010 la soppressione è stata estesa ai Comuni con una popolazione sotto i 250.000 abitanti.
Le periferie di Pisa, come di tanti altri centri urbani, vivono da troppi anni una situazione di sostanziale abbandono: gli investimenti in servizi e infrastrutture pubbliche sono diminuiti, così come gli spazi di socialità e di aggregazione; là dove insistono alloggi popolari, non si provvede alla manutenzione e di lasciano molti alloggi vuoti. Occorre invertire decisamente rotta, fermando la desertificazione dei nostri quartieri e la crescita delle diseguaglianze tra i diversi territori che compongono il Comune. Una partecipazione locale autentica ed efficace è lo strumento essenziale per cambiare lo stato di cose presenti.
Una città in comune – Rifondazione Comunista