Pisa, Massa, Siena: così le città rosse hanno voltato le spalle ai democrat

lunedì
25 giugno 2018
Testata:
MATTINO
Pagina:
6

L’ANALISI

R 0 M A. Sinistra e popolo pareva un sodalizio indissolubile nell’Italia di mezzo. Nella rossa Toscana, anzitutto. Un sistema imperniato su sindaci amati, sempre di marca Pci e derivati, sulle cooperative e sulle banche (il Monte dei Paschi su tutte), sul solidarismo e sul catto-comunismo versione Arci, Acli, case del popolo, su quel senso di appartenenza a un partito madre che il Pd, nel fragore delle guerre di potere, non ha saputo più interpretare. Dunque, tutto finito. L’Italia rossa non c’è più. Cadono fragorosamente Pisa, Siena, Massa. In Umbria, crolla Terni, cuore antico dell’operaismo modello Cipputi. Per non dire di Imola, la città di Andrea Costa, il primo deputato socialista della storia italiana, e qui i voti del centrodestra sono confluiti sui grillini, pur di annientare questo piccolo grande muro della sinistra di sempre tra Emilia e Romagna. E a Siena, altro travaso che cambia la storia e che spiega, in questa città ma anche nelle altre ex rosse, lo tsunami: parte del blocco sociale tipico della sinistra o non è andato a votare al secondo turno o ha scelto il centrodestra. Che a Pisa o a Terni, ma non solo, è a forte trazione leghista: e i paragoni tra vecchio Pci e nuova Lega, entrambi aderenti ai problemi territoriali e – nelle loro ovvie differenze storiche e ideologiche sensibili alla domanda di protezione sociale, non sono del tutto incongrui.

Rispetto al leggendario crollo di Bologna, per mano di Guazzaloca, stavolta la sconfitta appare irreversibile, se il Pd non trova un ubi consistam anche a livello nazionale e se non riattiva una buona selezione delle classi dirigenti locali, che nel `900 esisteva ma s’è poi inceppata, producendo più che altro auto-referenzialità di casta. Il Pd sei mesi ha impiegato per scegliere il proprio candidato a Pisa. A Siena la sinistra si è presentata divisa in due. E il risultato eccolo qui. Ma quello che è successo davvero, in questa rivoluzione geopolitica, è che nelle elezioni politiche del 2013 lo scontento degli elettori di sinistra si riversò sui 5 stelle. Poi il 4 marzo scorso quei voti in uscita, in Emilia, in Toscana e nelle regioni vicine, hanno cominciato a prendere la strada della Lega. E ora, nel primo e nel secondo turno di queste amministrative, sono rimasti fedeli all’ultima scelta. E ai nuovi bisogni. Gli ex elettori di sinistra non sono affatto diventati razzisti o bifolchi. Chiedono, come tanti altri, sicurezza civica (la bomba immigratoria spiega molto del grande ribaltone) e protezione sociale e perciò si rivolgono al centrodestra a trazione Carroccio. Salvini, che nell’Italia centrale ha messo le tende, e ha riempito le piazze che gli chiedono concretezza, sa benissimo qual è la portata della sfida. Che egli, in queste ore, non fa che definire un «antipasto». Perché? L’obiettivo finale, nello sbriciolamento dell’Italia rossa, è quello di espugnare nel voto del 2020 la presidenza regionale della Toscana e quella dell’Umbria. Due leghiste, fedelissime di Salvini, sono già in pista per questo ruolo ormai a portata di mano: Susanna Ceccardi, sindaca di Cascina, stratega del successo toscano, e Donatella Tesei, sindaca di Montefalco e senatrice presidente della Commissione Difesa. Andrà come andrà, intanto un fatto epico è già accaduto.

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