«Prima gli italiani», «prima i toscani», «prima i pisani», «prima i residenti»… Le destre, si sa, agitano da sempre slogan di questo tipo, per conquistare consensi nei settori più popolari. L’obiettivo è chiaro: chi non ha una casa e vive di lavori precari dovrebbe cullarsi nell’illusione di poter godere di qualche piccolo privilegio riservato, appunto, agli «autoctoni».
Eppure, basta guardare qualche dato per rendersi conto che si tratta di una colossale mistificazione. Prendiamo ad esempio il tema della casa: si stima che in Italia solo il 3,7% degli alloggi sia adibito a edilizia sociale (tanto per fare un confronto, in Inghilterra la percentuale è del 17,6%, in Francia del 16,8%). E allora, il problema è davvero quello di «dare la precedenza agli italiani» (o ai toscani, o ai residenti etc.)? Non si tratta invece di potenziare l’edilizia pubblica, mettendo a disposizione nuovi alloggi per chi ne ha bisogno?
O ancora, pensiamo al diritto alla salute, tema drammaticamente attuale in periodo di emergenza Covid. Negli ultimi dieci anni, il finanziamento pubblico al settore sanitario ha subito tagli per oltre 37 miliardi: si sono persi oltre 70.000 posti letto negli ospedali, con 359 reparti chiusi. Anche in questo caso, il problema è quello di favorire i pazienti italiani, o quello di potenziare la sanità pubblica per tutti e tutte?
La verità è che lo slogan «prima gli italiani» è servito troppo spesso per legittimare il drastico ridimensionamento del welfare: e a farne le spese non sono stati esclusivamente gli immigrati stranieri. Con un paradosso solo apparente, le politiche «sovraniste» hanno colpito duramente tutti i settori sociali più deboli, italiani compresi. In questi anni, potremmo dire, non c’è stata alcuna «guerra tra poveri»: abbiamo assistito piuttosto a una «guerra contro i poveri».
Troppo spesso, le forze di centro-sinistra sono state subalterne a queste logiche, e la Regione Toscana non ha fatto eccezione. Nella legge sulle case popolari, approvata nel 2019, sono stati previsti ad esempio dei punteggi che «premiano» le famiglie residenti sul territorio toscano da più di dieci anni. In questo modo, però, non si sono affatto tutelati gli italiani o i toscani: norme di questo tipo finiscono per penalizzare i lavoratori precari («autoctoni» o stranieri che siano), che sono costretti a spostarsi per seguire le opportunità lavorative disponibili. Ecco un esempio di come la politica del «prima gli italiani» può diventare uno strumento di discriminazione contro le fasce più deboli.
È necessario quindi pensare a un welfare universalista e non discriminatorio: è il solo modo per tutelare davvero i gruppi sociali più vulnerabili.
Anche la sfida dell’accoglienza ai migranti va collocata in questo contesto: garantire ospitalità e percorsi di inserimento ai richiedenti asilo e ai rifugiati non significa sottrarre risorse agli autoctoni, ma costruire un welfare più ricco e inclusivo, capace di diversificare le proprie prestazioni a seconda delle esigenze. A patto, naturalmente, di non trasformare l’accoglienza in un business per affaristi senza scrupoli, e in un umiliante «parcheggio» per i migranti appena arrivati. In questo senso, la Regione dovrebbe farsi protagonista di un nuovo modello di accoglienza, diametralmente opposto a quello disegnato dai decreti Salvini, e più vicino allo spirito che aveva animato il sistema Sprar.
Allo stesso modo, va ripensato un programma di superamento dei campi rom, vera e propria segregazione su base etnica. La Toscana, pur tra mille contraddizioni, aveva avviato in passato percorsi significativi di inclusione, che oggi sono stati quasi totalmente abbandonati. È tempo di tornare a discutere di inserimento abitativo dei rom e dei sinti, oltre la logica segregante dei campi e quella repressiva degli sgomberi.
Sergio Bontempelli
Candidato al Consiglio Regionale per Toscana a Sinistra