Quando Pisa cambiò colore politico: i ribaltoni del 1951 e del ’71

martedì
26 giugno 2018
Testata:
NAZIONE PISA
Pagina:
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I PRECEDENTI NEL PRIMO CASO IL PCI PERSE LA CITTA’. VENT’ANNI DOPO LA RIPRESE GRAZIE ANCHE A UN GIOVANISSIMO D’ALEMA

Quando Pisa cambiò colore politico: i ribaltoni del 1951 e del ’71

di GIUSEPPE MEUCCI

NON C’È DUBBIO che stavolta la botta sia stata forte, di quelle capaci di stendere un gigante, figuriamoci un partito di carta velina com’e ormai divenuto il Pd. Eppure altre volte a Pisa abbiamo assistito a veri e propri ribaltoni che dall’oggi al domani hanno mutato il colore politico della città. Il primo è datato 1951, quando il Pci perse la guida del Comune fino ad allora esercitata con il sindaco Italo Bargagna, nominato dal Cln nel ’44 e poi confermato dal consiglio comunale scaturito dalle amministrative del ’46.

FU BARGAGNA che iniziò e guidò la ricostruzione della città, ma quando si arrivò alle nuove elezioni per il rinnovo del consiglio comunale, convocate nel giugno del 1951, il clima politico nel frattempo era cambiato. In Italia e a Pisa. C’erano state le elezioni politiche del’48 con la famosa «diga» democristiana schierata compatta contro il blocco socialcomunista e sappiamo come andò a finire, anche grazie al massiccio intervento della Chiesa che mise in campo le Madonne miracolose e piangenti, la minaccia dei cosacchi pronti ad abbeverare i cavalli in piazza San Pietro e la terribile «notizia» dei russi che mangiavano i bambini.

L’ONDA lunga del’48 si fece sentire anche alle amministrative del ’51 e sulla scena pisana, un po’ come nei giorni scorsi, arrivarono i big dei due schieramenti, da Giovanni Gronchi e Giuseppe Saragat per il Blocco Democratico, che riuniva sotto l’ala della Dc repubblicani, socialdemocratici e liberali, fino a Palmiro Togliatti e Pietro Nenni. In più l’arcivescovo Ugo Camozzo rese pubblica una «notificazione» con la quale annunciava che chi avrebbe votato per i partiti che minacciavano i «diritti di Dio, della Chiesa e della Famiglia» (in poche parole i comunisti) era in peccato mortale. Il Blocco Democratico vinse alla grande e sindaco fu Renato Pagni, professore di scienze naturali e notabile democristiano. Ritenne che suo compito principale fosse completare la ricostruzione di Pisa avviata da Bargagna e lo fece, garantendo una continuità amministrativa a tutto vantaggio del bene comune.

BEN PIÙ TRAUMATICO l’altro ribaltone che portò la sinistra pisana, 47 anni fa, a riconquistare il governo della città. Accadde non proprio all’indomani delle elezioni che si tennero il 7 giugno 1970, ma più di un anno dopo, al termine di una girandola di sindaci che duravano in carica pochi giorni o, nei casi più fortunati, pochi mesi. Poi tutto si risolse con un «golpe» nell’estate del 1971, che portò alla elezione a sindaco del democristiano Elia Lazzari, che insieme ad altri tre consiglieri del suo partito (Roberto Misuri, Mario Ispani e Giancarlo Costagli) abbandonò lo scudocrociato per entrare a far parte di una maggioranza organica di sinistra formata da comunisti e socialisti. Ma ai nomi appena citati quali protagonisti di quella svolta della politica cittadina se ne debbono per completezza aggiungere altri due, appartenenti a personaggi che guidarono le trattative e resero fattibile la maggioranza di sinistra. SONO Giugi De Felice, storico segretario della federazione pisana del Pci che ha lasciato una traccia forte nella politica pisana del dopoguerra, e Massimo D’Alema. Quest’ultimo, appena ventunenne, aveva da poco abbandonato le suggestioni sessantottesche ed era approdato nella sala delle Baleari divenendo capogruppo. Ma quella volta, come in altre occasioni nei suoi anni pisani, D’Alema fu istruito e guidato da quella vecchia «volpe» della politica che era Giugi De Felice, che fu il vero «cervello» dell’intera operazione che assegnò alla sinistra pisana quel governo della città che oggi il Pd renziano ha clamorosamente perduto dopo quasi mezzo secolo.

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