Quelle campagne devastate dalla pioggia ultimo avvertimento a un paese fragile

REPUBBLICA Pagina: 16

Quelle campagne devastate dalla pioggia ultimo avvertimento a un paese fragile

Trovarsi di fronte al crescendo di alluvioni, frane, allagamenti, disastri dovuti a eventi atmosferici fuori dell’ordinario e cercare di capirne le cause è affare molto complesso perché i fattoridaconsiderareelerealtàcoinvolte sono numerosi. L’agricoltura è sicuramente uno dei settori più colpiti, legata com’è a doppia mandata agli umori del tempo. Molte produzioni sono messe in ginocchio, terreni che devono essere risistemati, allevamenti in difficoltà, tutto questo in un anno in cui le avversità climatiche si sono manifestate più volte e in forma diversa (gelo, pioggia, grandine…) in ogni stagione. L’agricoltura in queste situazioni è vittima e, allo stesso tempo, anche una delle possibili realtà che possono concorrere ad alleviare questi danni. Ma l’analisi è molto più complessa e per districarsi è utile una metafora: è come se ci trovassimo di fronte a un piatto di cattivo gusto e facessimo fatica a ricostruire le quantità d’ingredienti che sono state utilizzate.
Sgombriamo subito il campo: tra i tanti ingredienti di questi eventi catastrofici quello presente in quantità maggiore, la base, il 70% del tutto, in Italia è l’accresciuta fragilità dei suoli. I fenomeni che distruggono pezzi di città, fanno franare colline, privano molti nostri connazionali di tutto quello che hanno, si moltiplicano perché abbiamo cementificato come pazzi senza criterio: i terreni così sacrificati in maniera matematica perdono capacità di assorbirel’acquae nevelocizzano lo scorrimento. L’Italia, per conformazione e per posizione, è soggetta ad alluvioni ed esondazioni fin da quando se ne può aver memoria scritta. E vero che queste piogge non ci sembrano più quelle di una volta, cosa che nelle mie Langhe si comincia a sostenere con forza, ma se poi proprio nelle mie Langhe, che i locali sanno essere dotate da sempre di un territorio “ballerino”, ci ostiniamo a progettare un faraonico ospedale sul crinale di una collina – a Verduno-definitainstabile anche dalle perizie, allora poi non possiamo tanto lamentarci con gli dei delle piogge. E soprattutto colpa nostra.
Da questo punto di vista ritenere, come fanno alcuni, il decreto “Sblocca Italia” utile alla messa in sicurezza del territorio e per contro non vedere quanto implementi pratiche di cementificazione è assolutamente miope. Bisogna dire stop al consumo di suolo in maniera incondizionata e orientare le risorse in altro senso
Ma per evitare catastrofi bisogna ripartire da lì: la messa in sicurezza professionale del sistema idrico italiano, lavera protezione civile, quella che previene. Un lavoro che va risistematizzato e rinvigorito dopo anni di tagli anche in questo settore, un’operazione che molti paventano ma poi non si mette mai in moto. È vero che anche l’agricoltura, colei che subisce danni ingentissimi dagli eventi atmosferici fuori dell’ordinario, sarebbe un’ottima custode del territorio, ma da sola non basta: ci vogliono i professionisti, persone che lo fanno di mestiere. Anche perché proprio all’agricoltura diventa difficile in questa fase chiedere di sobbarcarsi tutto il lavoro.
E veniamo quindi al terzo ingrediente, che però è quasi fosse un condimento del nostro piatto, in quantità sufficiente ma non preponderante. In molte zone del Paese, quelle pianeggianti e pedemontane soprattutto, l’avvento dell’agricoltura industriale monocolturale e meccanizzata, che fa ampio uso di fertilizzanti e
prodotti chimici ha avuto il duplice effetto di impoverire i suoli e disboscare, nonché la conseguenza di estromettere le persone dalle campagne. Finché le campagne italiane erano presidiate da tanti contadini che svolgevano piccole opere di cura del territorio eravamo più protetti. Oggi invece mancano e paradossalmente il modello di un’ agric oltur a c henon hapiù bisogno di loro è causa dei propri mali quando poi si trova impreparata di fronte ai danni del clima.
Se analizziamo i tre ingredienti che abbiamo elencato sin qui, vediamo che tanto l’invadenza dellacementificazione-lacausa principale – quanto la non cura del territorio, professionale e agricola, sono conseguenze di un’idea di sviluppo che abbiamo sposato senza remore e che nemmeno di fronte alle catastrofi umane che sta provocando siamo in grado di abbandonare. Veraresponsabilità dei governi sarebbe quella di orientare un cambiamento in questo senso, e non in quello che insegue la positività di stantii indicatori economici. Purtroppo il Pil aumenta dopo un’alluvione, visti i lavori che questa comporta per ricostruire.
Infine, come dice il mio amico Luca Mercalli, tra gli ingredienti c’è la speziafinale, lacilieginasulla torta. E ciò che completa il piatto ma più che altro ci deve orientare ulteriormente sulle prospettive future: si chiama cambiamento climatico. Un dato incontrovertibile perché le temperature stanno aumentando in tutto il globo. Questo influisce sulle piogge, certo, ma sarebbe sbagliato imputare il grosso delle responsabilità al fenomeno. Aparte il fatto che anche il cambiamento climatico è una nostra responsabilità, ecco, cerchiamo di capire cosa possiamo fare da subito per arginare, nel vero senso della parola, questi diluvi. Stop alla cementificazioneealconsumodisuolo, riorganizzazione e risorse per i professionisti che si occupano della messa in sicurezza del nostro territorio, un modello agricolo che prediliga la fertilità dei suoli, la presenza di persone nelle campagne e la tutela della biodiversità. Non cambiamo verso quindi, cambiamo modello di sviluppo e curiamo davvero il corpo -terre, laghi, montagne, fiumi, collinedella nostra povera e, nonostante tutto, ancora bellissima Italia.
Lo ha salvato il gatto Pepe, miagolando e saltando sul letto in piena notte. Merito del suo sesto senso, che gli ha permesso di avvertire il pericolo prima che la frana si portasse via la casa in via Montecucco, sulle alture di Genova-Prà. Domenico Priano, 38 anni, quando si è svegliato e ha acceso la luce, ha visto che le crepe avevano tagliato in due la stanza. Con la compagna Orietta è salito in macchina sotto il diluvio e insieme sono scappati tenendosi in braccio Pepe. Erano le 5.30 di mattina. Appena in tempo: dopo 10 minuti la casetta, aggrappata alla collina, è implosa davanti ai loro occhi, risucchiata dalla frana che si è “mangiata” cinquanta metri di versante. (s.or.)

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