Ricorre oggi il 77° anniversario della Liberazione, con l’insurrezione finale della guerra partigiana che portò alla conclusione della guerra sul nostro territorio, la sconfitta del fascismo e dell’invasore nazista. Questa data oggi rappresenta simbolicamente coloro che con e senza le armi si opposero al nazifascismo.
Coloro che nel contesto del 1943 attuarono questa scelta lo fecero per costruire un avvenire più libero, giusto, democratico e pacifico; sulla base di questi elementi vogliamo festeggiare questa giornata, per collegare la volontà di ieri di fondare il paese sotto il segno della pace a quella di oggi di lottare con tutte le forze affinché la pace si mantenga nel mondo.
La guerra che sta sconvolgendo l’Ucraina e che coinvolge tutte e tutti noi, non solo sta distruggendo vite umane e il territorio di quel paese, ma ha messo in crisi il già instabile equilibrio mondiale. Di fronte all’attualità il sentimento più immediato è di sentirsi spettatori frustrati e impotenti. È proprio questo paradigma che dobbiamo continuare a ribaltare: come già nei mesi scorsi, non dobbiamo smettere di manifestare per chiedere a gran voce, come in tutto il mondo avviene – e di cui l’ultima importante espressione è stata la marcia Assisi – Perugia di ieri -, che si trovi una soluzione diplomatica e di pace e per la solidarietà internazionalista tra i popoli.
Due atteggiamenti in particolare ci preoccupano: da una parte l’attacco frontale che sta subendo l’Anpi e il suo presidente Pagliarulo per aver preso posizione pro pace, dall’altra l’appiattimento storico della vicenda della Resistenza italiana su quella dell’attuale resistenza ucraina.
Riteniamo inaccettabile che sulla stampa e nel dibattito pubblico ci sia chi sfrutta l’occasione per dare contro all’associazione dei partigiani, ponendo in discussione la sua stessa legittimità. L’esistenza dell’Anpi non può essere messa in dubbio e il suo percorso non può morire con i partigiani e le partigiane del passato: quei valori e quella memoria storica devono invece essere tramandati alle generazioni successive. Appoggiamo con fermezza la posizione del fronte pacifista dell’Anpi e su questo vogliamo essere più chiari che mai: siamo contrari all’invio di armi in Ucraina perché non vogliamo che l’Italia si faccia promotrice di guerra, bensì di pace, elemento per noi fondante.
Siamo coscienti che in questo quadro c’è un invasore e un popolazione che sta subendo un pesantissimo attacco e che rischia la sua indipendenza, denunciamo e condanniamo l’aggressione ingiustificata ed ingiustificabile da parte della Russia in aperta violazione del diritto internazionale, ma non vogliamo che su questo punto si facciano troppo comode semplificazioni. La resistenza ucraina è una risposta a tale invasione che si basa su fattori di carattere nazionalpatriottico, mentre la Resistenza italiana si è sviluppata in un contesto e su motivazioni diverse che non permettono l’equiparazione dei due eventi.
La Resistenza in Italia è stato un fenomeno complesso in cui una generazione di giovani, con il supporto di antifascisti di lungo corso, si è opposta al regime e alla cultura fascista sotto i quali era cresciuta, creando le condizioni per una lotta che non fosse solo patriottica e di liberazione dal fascismo e dall’invasore nazista, ma anche una lotta di classe e una guerra civile. Come ha spiegato Claudio Pavone, è l’intreccio di queste tre caratteristiche che ci permette di comprendere meglio quel movimento così eterogeneo e non lineare che fu la Resistenza, scelta morale dei singoli e collettiva, terreno di incontro fra un antifascismo spontaneo basato sulle condizioni esistenziali e un antifascismo più prettamente politico, e che prese avvio dopo vent’anni di regime, di limitazione delle libertà, di anni di violenza come pratica politica e di mantenimento del potere. A portare questa massa di giovani a scegliere la strada della lotta armata (e più in generale della opposizione al nazifascismo in tutte le sue forme) furono una serie di fattori paralleli, in cui il conflitto mondiale permeato sul territorio, lo scatenarsi della guerra civile, e le conseguenze materiali della guerra sulla vita delle persone fecero da forte spinta propulsiva: bombardamenti, distruzioni, fame, perdite di vite umane e in campo militare, rastrellamenti e rappresaglie.
Riteniamo, quindi, che l’equiparazione tra la Resistenza italiana e quella ucraina, che sempre più spesso viene promossa, non sia sostenibile e anzi sia nociva alla narrazione di entrambi i fenomeni e possa portare a interpretazioni fuorvianti.
Crediamo sia fondamentale festeggiare la giornata di oggi con tutta la consapevolezza del portato storico che assume su di sé: torniamo a parlare di Resistenza senza la retorica che spesso accompagna le celebrazioni istituzionali, leggiamo le parole di chi quella lotta l’ha vissuta e l’ha poi voluta raccontare, torniamo a cantare quelle canzoni che ci ricordano qual è l’eredità che con tanto sacrificio ci è stata tramandata ed è per noi di grande esempio morale e politico.
È nei momenti bui come quello che stiamo vivendo che, a partire dalle macerie, dalle sofferenze e da quella che può sembrare una battaglia disperata, risulta essenziale e vitale non smettere di lottare per la pace, e con convinzione e intelligenza immaginare insieme un altro mondo possibile, gettando lo sguardo oltre il ristretto orizzonte.
Buon 25 aprile!
Una città in comune