Ricordare la Resistenza, praticare l’antifascismo

La celebrazione del 25 aprile è diventata il bersaglio di Salvini e del suo partito. In alcuni Comuni amministrati dalla Lega la Liberazione dal nazifascismo verrà ignorata: se oggi un partito di governo mira alla liquidazione del momento fondante della Repubblica antifascista, l’attacco è iniziato molti anni fa. È con il primo governo Berlusconi, nel 1994, che Alleanza Nazionale e il suo segretario Gianfranco Fini hanno aperto la strada a una legittimazione e istituzionalizzazione dei nostalgici del fascismo di cui oggi viviamo le estreme conseguenze. Ogni azione di Casa Pound e Forza Nuova riceve protezione dalle forze di governo e risonanza dai mezzi di comunicazione, la retorica sulle foibe – ormai accettata come verità ufficiale – ha contribuito a far dimenticare la violenza fascista e l’oppressione esercitata dagli italiani contro i popoli slavi, il razzismo e l’omofobia sono diventati normalità nel nostro Paese.

 

«Mi chiedo – diceva nel lontano 1996 il neo-presidente della Camera dei Deputati, Luciano Violante – cosa debba fare quest’Italia perché la lotta di liberazione dal nazifascismo diventi davvero un valore nazionale e generale». Il discorso di insediamento di Violante tentava di fare i conti proprio con il fatto storico della salita al governo di un partito erede del Movimento Sociale Italiano. La domanda era legittima, ma la risposta fornita invece era completamente sbagliata: «occorre sforzarsi di capire, senza revisionismi falsificanti, i motivi per i quali migliaia di ragazzi e soprattutto di ragazze, quando tutto era perduto, si schierarono dalla parte di Salò e non dalla parte dei diritti e delle libertà».

 

Perché il significato storico della Resistenza diventasse un valore davvero nazionale, secondo Violante, non occorreva mettere al centro la Resistenza, cerebrarla per ricordarla e comprenderla. No, la ricetta del Presidente della Camera – e con lui della classe dirigente del Pds/Ds/Pd – andava in direzione completamente contraria: comprendere i motivi e i valori di chi diede la vita per il fascismo di Salò. «Questo sforzo – sosteneva Violante – aiuterebbe a cogliere la complessità del nostro Paese, a costruire la Liberazione come valore di tutti gli italiani, a determinare i confini di un sistema politico nel quale ci si riconosce per il semplice e fondamentale fatto di vivere in questo Paese, di battersi per il suo futuro, di amarlo, di volerlo più prospero e più sereno».

 

Anche Mussolini voleva un’Italia più prospera e più serena: per far questo i fascisti incendiarono le sedi socialiste e popolari, le Camere del Lavoro, i giornali di opposizione, uccisero militanti di base e parlamentari, instaurarono una dittatura violenta e sanguinaria. Oggi i nostalgici del fascismo prosperano grazie alla legittimazione politica che il centrosinistra ha voluto loro concedere da almeno un quarto di secolo. Se oggi il 25 aprile è in pericolo lo dobbiamo anche a Violante e ai suoi eredi, che a parole dicevano (e dicono) di voler difendere i valori della lotta di Liberazione, ma nella pratica facevano (e fanno) l’opposto.

La battaglia che invece appare sempre più necessaria è una battaglia di politica culturale, mettere al centro i motivi che portarono migliaia di giovani a combattere il fascismo e il nazismo, a rischiare la vita per far nascere una nuova Italia democratica. Dobbiamo ritrovare in sedi pubbliche un rapporto autentico con la Resistenza e il 25 aprile, rileggere gli scritti dei partigiani e le ricostruzioni storiche, camminare per i sentieri delle montagne in cui si rifugiarono e in cui morirono. Dobbiamo ripartire proprio dalla Festa della Liberazione, per riprendere il filo mai interrotto dell’eredità politica e culturale della parte migliore dell’Italia, per praticare in maniera più forte e convinta il nostro antifascismo.

Questo è il compito che siamo chiamati a svolgere. Solo così potremmo dire con convinzione: buon 25 aprile!

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