Venerdì 20 ottobre è stato audito dalla seconda Commissione Consiliare il Garante comunale dei diritti dei detenuti. Il quadro della situazione che ha descritto è drammatico, cronico e in peggioramento, e conferma quanto già emerso dal report di Antigone del 2022 e quanto ci dicono costantemente le associazioni di volontariato che operano all’interno.
Il sovraffollamento (260 detenuti in un carcere che ne può contenere 197) ormai è una costante, così come la fatiscenza delle strutture: i detenuti a volte hanno meno di 3 m quadri a persona, in celle che, specie al piano terra, sono umide e malsane, molte con il gabinetto a vista.
La popolazione carceraria è sempre più giovane (la fascia d’età più presente è quella sotto i 30 anni), con diffusi problemi di dipendenze e di disagio psichico. A fronte di tutto ciò, il supporto del SerD è insufficiente e il servizio di aiuto psicologico si limita a 36 ore settimanali, delegando così la gestione delle criticità all’uso massiccio di farmaci, in un generale contesto di salute psichica pressoché negata.
L’articolo 27 della nostra Costituzione assegna alla pena uno scopo rieducativo. Ma come raggiungere questo obiettivo con un’Area educativa che ad ora conta 2 educatrici e una mediatrice culturale in una struttura in cui da regolamento dovrebbero esser presenti almeno 4 educatori/educatrici e dove le esigenze di mediazione culturale sono sempre più evidenti?
Ciò si traduce in una quasi totale assenza di percorsi formativi verso il mondo del lavoro (unica eccezione la scuola alberghiera) e in rarissime occasioni di inserimento lavorativo.
Molti detenuti avrebbero diritto ad accedere alle misure di esecuzione penale esterna, ma le carenze di organico e di fondi non permettono queste possibilità, se non grazie all’impegno delle realtà del terzo settore.
Ricordiamo che, dati alla mano, l’unico modo per combattere la recidiva ed evitare che chi esce dal carcere ci rientri a breve è passare per le misure di esecuzione penale esterna che devono reinserire la persona in società, soprattutto attraverso il lavoro.
Di questi problemi l’amministrazione comunale finge di dimenticare l’esistenza, come se quelle persone non fossero a tutti gli effetti abitanti pisani e come se un carcere funzionante non sia garanzia di una città più accogliente e sicura.
Gli ordini del giorno presentati dalla coalizione Diritti in Comune nel 2014 e 2017 votati a maggioranza son sempre stati disattesi e la richiesta che da 10 facciamo di costruzione di una pensilina esterna per proteggere da sole e pioggia i parenti dei detenuti in attesa dei colloqui ancora non ha realizzazione. Il comune non fornisce neppure un minimo supporto burocratico tramite l’ufficio Anagrafe, esigenza base di molti detenuti.
Ancora una volta ci troviamo a denunciare una situazione di violazione di diritti fondamentali e di colpevole dimenticanza di una parte di città che non possiamo ignorare.