una città in comune incontra i lavoratori dei Cantieri di Pisa

Sono trascorsi già due anni dal 27 aprile 2011, quando i lavoratori dei Cantieri Navali di Pisa hanno avviato una presenza costante all’interno del loro luogo di lavoro per difenderlo e provare a garantire se stessi e le loro famiglie. Oggi siamo andati ad incontrarli per portare loro il nostro sostegno e la nostra solidarietà.

La situazione che ci siamo trovati di fronte ci è apparsa subito disarmante. Siamo stati accolti benevolmente da tre lavoratori che presidiavano i cantieri. A. ha risposto alle nostre domande non riuscendo sempre a nascondere le emozioni che lo attraversavano mentre parlava. Un misto di rabbia e rassegnazione che mi ha preso e non se ne voleva più andare.

Dal 2011 le cose per loro sono andate solo peggiorando: le possibilità di vendita dei cantieri a nuovi proprietari sono sfumate una dopo l’altra. Fa rabbia pensare che questo è anche colpa della Navicelli spa (e cioè degli enti locali, perché la Navicelli è una società a capitale pubblico). Sono loro infatti che nel 2010 hanno rinnovato (per 15 anni e senza gara) la concessione demaniale a una società che non svolge più attività produttive in darsena, tanto che la concessione la subappalta proprio ai Cantieri che invece non possono lavorare senza. Solo che l’imprenditore Sostegni per il subappalto chiede ai Cantieri 800.000 euro l’anno, mentre ne paga solo 300.000 alla Navicelli.

I lavoratori, che in questi anni hanno presidiato senza sosta lo stabilimento, si sono visti portare via le barche che giacevano incomplete nei capannoni. A detta del liquidatore, l’armatore proprietario aveva tutto il diritto di farlo, senza permettere loro di portare a termine il lavoro iniziato.

Si leggeva negli occhi dell’operaio tutta la disperazione di avere maestranza e competenze per poter lavorare ma non essere in grado di mettere a frutto le proprie capacità, mi sono immaginata quanta frustrazione nel passare giornate intere a non far niente, quando a pochi passi di distanza, chiuso in un capannone, giace il frutto del tuo lavoro. E’ come avere un figlio e non poterlo aiutare nel momento del bisogno.

Peggio ancora, tutta la fatica che hai impiegato per costruire un oggetto bello e delicato come una barca, non verrà riconosciuta, perché qualcun altro finirà il tuo lavoro e si prenderà il merito…e i soldi.

Tutto questo trapelava dalle parole concitate di A., e a noi non rimaneva che constatare il totale abbandono nel quale sono stati lasciati questi lavoratori.

Alcuni di loro sono andati via, hanno cercato altrove, con o senza successo. Però molti sono rimasti in attesa nella speranza che le promesse fatte portassero a qualche risultato, gli restituissero il lavoro che tanto amano e che sanno fare così bene.

Tutto intorno a noi c’erano erbacce alte e un diffuso senso d’incuria. Ed era difficile pensare che quel luogo fosse stato in passato uno dei fiori all’occhiello della cantieristica pisana.

A giugno finiranno i soldi della Cassaintegrazione in deroga, e per le oltre 20 famiglie che attendono una risposta sarà troppo tardi…

L’assenza assoluta delle istituzioni si respirava non solo nel loro assordante silenzio su questa drammatica vicenda, ma anche sulla loro incapacità di sostenere questi lavoratori in un percorso di riqualificazione e di rimotivazione, soprattutto nella consapevolezza che le strade per arrivare ad una riapertura dello stabilimento saranno ancora lunghe e complesse, senza la certezza di un esito positivo della vertenza.

Tornando a casa ripensavo al mio lavoro, a quanto mi impegno per costruire opportunità per i giovani che si affacciano al mercato del lavoro: ma quale futuro gli offriamo, quali certezze?

Se l’ente pubblico non è in grado di garantire chi il lavoro ce l’ha, anche quando è altamente qualificato, come quello dei lavoratori dei cantieri navali, quali sono le prospettive che può offrire ai propri giovani?

Domande alle quali continuo a voler dare una risposta, e che diventano ancora più urgenti alla luce di queste vicende.

Chiara Criscuoli (candidata con la lista “una città in comune”)

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