Una guerra feroce contro lavoratori/lavoratrici

In questi mesi si sono moltiplicati i segnali di una vera e propria guerra non dichiarata, ma ormai esplicita, contro lavoratori e lavoratrici: nonostante, o forse proprio a causa, della pandemia, i già residui controlli sulla sicurezza e sulle forme di prevenzione e protezione sui luoghi di lavoro sono stati completamente abbandonati.

Si moltiplicano gli infortuni sul lavoro e malattie professionali, ma anche e soprattutto gli episodi di mortalità ipocritamente definiti “incidenti” o “morti bianche”, effetto di una irresponsabilità padronale che ricerca spasmodicamente di incrementare la produttività e i margini di profitto ricorrendo ad ogni mezzo e mettendo così in pericolo salute e sicurezza, fino alla stessa vita di lavoratori e lavoratrici.

Da anni ci chiedono responsabilità, sacrifici e accrescimento della produttività, ma è ormai palese la irresponsabilità aziendale e padronale, in nome della concorrenza e del mercato, a cui si va aggiungendo la violenza padronale contro manifestazioni, presidi, scioperi e blocchi stradali esercitati da lavoratori per poter dare voce alle proprie vertenze e richieste, altrimenti ignorate dal padronato e dai media. Soprattutto nella logistica, dove si vanno moltiplicando le manifestazioni contro le condizioni di lavoro e di sfruttamento sempre più onerose e insopportabili, si stanno verificando con sempre più frequenza aggressioni ai lavoratori in lotta da parte di scherani dei padroni, che attaccano con mattoni e travi i presidi (come avvenuto a Prato nei giorni scorsi) o cercano di forzare i blocchi dei camion che trasportano le merci per vanificare la lotta sindacale: nelle aziende è ormai diffuso il ricorso a guardie private in funzione anti sciopero, mentre nel Pubblico Impiego si applicano codici di comportamento aziendali che impongono ai dipendenti la fedeltà assoluta, costringendo perfino ad astenersi dal diritto di critica.

La libertà dei lavoratori di scioperare e mobilitarsi è sempre più osteggiata ed impedita con l’aiuto di squadracce, esterne alla stessa azienda, evidentemente al soldo delle aziende, che ricordano drammaticamente i metodi del fascismo: avviene sempre più spesso che lavoratori e sindacalisti siano assaliti e picchiati da questi prezzolati gruppi di repressione, e che operai finiscano al pronto soccorso. Non si può tacere la responsabilità morale e politica delle forze di destra e di centrosinistra che oggi sostengono Draghi nel governo di unità nazionale dopo aver promosso senza soluzione di continuità politiche neoliberiste a favore del profitto e contro i diritti del lavoro.

Nella mattina di venerdì è successo quello che nessuno di noi avrebbe mai voluto che accadesse. A Biandrate, nel novarese, durante un presidio presso la Lidl, un camionista ha forzato il picchetto investendo e uccidendo un lavoratore di 37 anni, Adil Belakhdim, lavoratore e sindacalista del Si Cobas, mentre esercitava un diritto, la mobilitazione e lo sciopero, l’unica arma per combattere le ingiustizie nei luoghi di lavoro. Non si può tacere di come si stia cercando di derubricare un’aggressione deliberata e assassina a “incidente stradale”: questo approccio chiama in causa le forze dell’ordine e la magistratura che paiono minimizzare la gravità dell’evento quasi a voler mascherare l’escalation di violenza che si sta sviluppando contro lavoratori e lavoratrici.

Dalle ricostruzioni, non si è trattato di un incidente, ma di un gesto intenzionale da parte dell’autista che ha volutamente forzato il blocco dei cancelli uccidendo Adil. È inquietante il salto di qualità nell’innalzamento della violenza che, giorno dopo giorno, sta aumentando contro il lavoratori che alzano la testa e aprono vertenze e lotte dure per conquistare diritti e salario. Quando si supera il già pesante clima istaurato dalla repressione poliziesca e si moltiplicano le azioni di violenza diretta contro i lavoratori, la tenuta democratica è realmente in pericolo: non si tratta più della peraltro fondamentale libertà formale, ma della sostanziale agibilità sindacale, sociale, politica. Quanto accade oggi potrebbe presto ripresentarsi dopo il ripristino dei licenziamenti collettivi e con la riforma del codice degli appalti con l’estensione della possibilità di subappalto fino al 50%, che abbasserà il costo del lavoro (cioè i salari) e ricatterà i lavoratori (aumentando l’orario di lavoro e riducendo le norme di sicurezza).

Rabbia e dolore si mescolano, in questo momento, per una morte assurda: non bastano più le parole di circostanza, le promesse vaghe e di principio, ma che non producono effetti e reazioni reali. Serve una risposta di tutto il mondo del lavoro, pubblico e privato, fino a uno sciopero generale contro la violenza ai danni dei lavoratori e delle lavoratrici.​ È veramente arrivato il momento di denunciare le responsabilità politico-istituzionali e governative, di ieri e di oggi, di destra e di centrosinistra, per lo smantellamento di diritti di lavoratori e lavoratrici che, assecondando le associazioni datoriali, hanno determinato il clima instauratosi nei posti di lavoro. In procinto di un massacro sociale annunciato per la fine del blocco dei licenziamenti, e con la prospettiva di rendere ancora più irresponsabili le mani padronali eliminando ogni vincolo contrattuale rispetto ai lavoratori, si rischia il collasso sociale.

È necessario avviare una mobilitazione permanente, attivare lo stato di agitazione in tutti i comparti e preparare uno sciopero generale contro la repressione e per la sicurezza: è compito delle organizzazioni sindacali superare divisioni ataviche​ costruendo​ le condizioni per raggiungere questi obiettivi; è altresì compito delle organizzazioni politiche incalzare amministrazioni locali e regionali e governo nazionale perché intervengano con determinazione a fermare la barbarie contro lavoratori e lavoratrici.

Una città in comune, PRC-Pisa, Confederazione COBAS-Pisa, CUB-Pisa, CARC-Pisa, Potere Al Popolo-Pisa

Condividi questo articolo

Lascia un commento