Vittorio Taviani, il cinema italiano perde il suo poeta

lunedì
16 aprile 2018
Testata:
QN
Pagina:
1-20

TANTI CAPOLAVORI COL FRATELLO PAOLO

Il Presidente emerito Giorgio Napolitano è addolorato per la morte di Vittorio Taviani «La loro passione politica, democratica, che ho ben conosciuto, si è sempre espressa con discrezione e misura».

di GIOVANNI BOGANI

AVEVA la risata pronta, gli occhi vispi da ragazzo, Vittorio Taviani, scomparso ieri a Roma, portandosi via un altro pezzo di storia del cinema. Aveva 88 anni: non aveva mai smesso di essere gioioso, di scoppiare in risate fragorose; come se in fondo la vita potesse essere ancora un gioco. E poteva farlo: perché era un uomo innocente, onesto, limpido. Sempre pronto a schierare il suo cinema dalla parte dei giusti, degli innocenti, dei violentati dalla Storia.

Vittorio Taviani è morto. Quel cinema del quale parliamo, lo ha fatto per più di mezzo secolo insieme al fratello Paolo. Insieme: “PaoloeVittorioTaviani”. O “IfratelliTaviani”. Un unico mantra, il nome proprio di un cinema intenso, mai riconciliato né con il potere né con le mode, le forme del cinema di consumo. Li vedevi sempre insieme nelle foto, così come sempre insieme hanno firmato i loro film. Vittorio, dei due, era quello con il berretto scuro e i baffi bianchi: look un po’ antico, fra il Risorgimento e la Cina, fra l’Ottocento e la Rivoluzione culturale. E c’era, in fondo, un po’ di entrambi quei mondi nel suo cinema. C’erano il coraggio e la dignità.

CINQUE anni fa Vittorio e Paolo vinsero l’Orso d’oro a Berlino per “Cesare deve morire”. Ebbi il privilegio e la fortuna di essere il primo ad abbracciarlo. Aveva una gioia pura, quasi infantile, come se non se lo aspettasse. E in quel momento, di premi ne avevano vinti: la Palma d’oro a Cannes, infiniti David di Donatello e Nastri d’argento. Ma avevano deciso, a ottant’anni, di rimettersi in gioco come due esordienti e portare in scena Shakespeare nel carcere di Rebibbia, con i detenuti come attori. Filmando in bianco e nero. Venne fuori un film bellissimo, rivoluzionario, audace, giovane. Cinema d’avanguardia fatto da due ragazzi di 80 anni. Quel film fu anche l’occasione per rivelare il talento di uno dei detenuti, Salvatore Striano, fuoriclasse con grinta e cuore.

Ma “Cesare deve morire” non è che un esempio del cinema audace dei fratelli Taviani, che ha cambiato il nostro modo di vedere la vita e i film. Se siamo come siamo è anche merito loro. Vittorio era limpido. E limpido è anche il suo modo di girare: immagini nette. Anche quando sono simboliche hanno una evidenza da cinema russo anni ’20. Sembra dire, in ogni immagine, il pensiero che il cinema, qualsiasi cosa racconti, debba essere classico, pronto per l’eternità.

ERA NATO nel settembre del 1929, a San Miniato, provincia di Pisa. Anni di pieno fascismo: non doveva essere facile per il padre, avvocato, essere convinto antifascista. E infatti gli squadristi gli bruceranno la casa. Finisce la guerra con i suoi orrori (che i fratelli Taviani scolpiranno nella memoria di tutti col film “La notte di San Lorenzo”) e Vittorio si iscrive a Legge all’università; lì scopre l’impegno politico e il cinema, con il cineclub pisano, i registi russi, le avanguardie, l’emozione del Neorealismo. Nel 1954 inizia a girare documentari insieme al fratello Paolo e all’amico partigiano Valentino Orsini: collaboreranno anche con il grande genio del documentario Joris Ivens. Poi l’esordio nel lungometraggio con “Un uomo da bruciare”, nel 1962, interpretato da Gian Maria Volonté: la storia di un socialista siciliano ammazzato dalla mafia. Ed è il primo riconoscimento, il Premio della critica a Venezia. Nei “Sovversivi”, nel 1967, fanno esordire sullo schermo un bizzarro musicista animalesco di cui intuiscono il talento, e che si chiama Lucio Dalla; e girano, sempre con Volonté,

L’enorme successo internazionale arriva con la Palma d’oro a Cannes nel 1977 per “Padre padrone”. Poi un altro grande affresco storico, “La notte di San Lorenzo”, nel 1982, riflessione sull’orrore della guerra, punteggiato dalla musica di Nicola Piovani. Ed è il Gran Premio della giuria a Cannes, oltre a David e Nastri d’argento. Gli anni ’80 sono quelli di “Kaos” (1984), da Pirandello, in cui offrono il primo ruolo importante a Franco e Ciccio. Nel 1986 è il Leone d’oro alla carriera a celebrare i due fratelli, mentre è del 1988 il grande affresco storico di “Good Morning Babilonia”. Poi saranno “Il sole anche di notte”, “Fiorile”, “Le affinità elettive”. Nel 2007 raccontano il massacro degli armeni in Turchia con “La masseria delle allodole”.

E A 83 ANNI Vittorio vince l’Orso d’oro a Berlino per “Cesare deve morire”. Nel 2014 il il Decameron in “Maraviglioso Boccaccio”. E Vittorio dice: «Sono le donne la forza della società, il motore della speranza e della creatività». L’ultimo film, “Una questione privata”, con Luca Marinelli, non l’aveva potuto girare, debilitato come era. Ma le aveva pensato, immaginato, preparato con il fratello. Ovviamente, Paolo ha messo anche la sua firma nei titoli.

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