Volontari e beni culturali. Tomaso Montanari: “Un documento da stracciare”

mercoledì 9 aprile 2014, Pagina Q

Volontari e beni culturali. Tomaso Montanari: “Un documento da stracciare”

Questo pomeriggio le associazioni di professionisti dei beni culturali incontreranno gli assessori Andrea Serfogli e Dario Danti. Oggetto dell’incontro la contestata intesa che affida agli Amici dei Musei e dei Monumenti di Pisa il compito di creare una squadra specializzata di volontari per la tutela del patrimonio storico artistico.
Mentre a Pisa si cerca di depennare l’intesa, la Direttrice regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Toscana Isabela Lapi, che nel corso dell’incontro in Prefettura aveva auspicato che quello pisano diventasse un modello a livello regionale e nazionale, il 6 maggio, sarà a Milano per partecipare a Volontariato per i Beni Culturali e Pubblica Amministrazione: Condividere, Programmare, Organizzare. Isabella Lapi farà il punto su Beni Culturali e volontariato, lo scenario toscano: c’è da aspettarsi quindi che questa possa essere la prima occasione per diffondere e promuovere l’intesa partorita a Pisa.
Abbiamo chiesto a Tomaso Montanari, professore associato di Storia dell’arte moderna all’ Università degli studi di Napoli ‘Federico II’, autore di libri come Le pietre e il popolo e strenuo difensore dell’articolo 9 della Costituzione italiana, cosa pensa dell’intesa firmata in Prefettura.
Professor Montanari, lei porta avanti con forza il concetto di un patrimonio culturale come parte fondante del nostro esser cittadini, e ribadisce l’assunto contenuto nella Costituzione che affida allo Stato il dovere di tutelare e diffondere la conoscenza di questo patrimonio. Come storico dell’arte come vede questa intesa e la prospettiva di impiegare squadre di volontari “specializzati” a tutela del patrimonio storico artistico?
Penso che sia un errore. Le buone intenzioni dei promotori rischiano di andare a lastricare la via infernale del definitivo disimpegno pubblico nella manutenzione del patrimonio. E questo è grave, ingiusto, sbagliato. Viviamo in un mondo iperprofessionalizzato, e sforniamo ogni anno centinaia di ottimi laureati capaci di esercitare una tutela professionale: perché l’unico ambito in cui elevare il dilettantismo a sistema deve essere questo, peraltro delicatissimo? E quando toccherà alla scuola, che faremo: la sostituiremo con gruppi di precettori dilettanti?
Esistono, che lei sappia, iniziative simili in Italia?
Che io sappia, per fortuna no. Ma il vento del privato e la retorica del volontariato (penso al Fai) ci riporta ad un clima da antico regime, in cui non esiste più un diritto costituzionale al patrimonio garantito dalla Costituzione, ma gentiluomini e dame della carità che graziosamente ci permettono di goderne. Finché lo vorranno.
Parte del dibattito, e dell’opposizione all’intesa, ruota intorno all’espressione “minuta manutenzione”, contenuta nel documento. Se gli Amici dei Musei la interpretano come un attività mirata a eliminare erbacce, rifiuti abbandonati e alla segnalazione delle criticità, dall’altro le associazioni di professionisti ritengono che quella parola possa essere fuorviante. Sottolineando soprattutto che esistono professionisti formati per operare sul patrimonio storico artistico che non possono in alcun modo essere sostituiti. Qual è la sua opinione in proposito?
Nel documento io leggo che i volontari dovrebbero porre rimedio «ai danni causati dal maltempo» e all’«usura delle strutture». Questo è impensabile e inaudito. Sono stupito dalla passiva accettazione da parte della Soprintendenza, che sta officiando il proprio funerale, che lo capisca o meno.
Può esserci una “felice” e utile integrazione fra volontariato e professionalità nel campo dei beni culturali?
Se uno Stato forte fa fino in fondo la sua parte, si può costruire un rapporto sano con le energie private, rigorosamente non profit e ben dirette da chi ha le competenze scientifiche. Ma non ci può essere una supplenza del pubblico: il privato non può essere un bricolage con cui si tampona la diserzione del pubblico.
Intese come questa, quindi, rischiano in qualche modo di costituire un ulteriore alibi per il disimpegno del pubblico nel campo della cultura e della tutela del nostro patrimonio?
Certo: ne sono il frutto, sono un alibi, e una premessa perché la cosa peggiori. È un pessimo segnale: bisogna avere il coraggio di stracciare questo documento e ritornare a lavorare seriamente perché lo Stato funzioni. Sembra che ci siamo dimenticati che dipende solo da noi, perché lo Stato, diceva Piero Calamandrei, siamo noi.

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