25 aprile, una festa per la liberazione

Sono tanti i motivi per ricordare e festeggiare il 25 aprile di 72 anni fa, quando i partigiani scesero dalle montagne per riprendersi le “belle città date al nemico”, per riprendersi un paese sconvolto dalla guerra e dal fascismo, con in cuore la volontà di costruire un’Italia più giusta e democratica, finalmente libera.

Purtroppo non sono motivi lieti, perché quel nemico che aveva preso le “belle città” non è sconfitto. Fascismi vecchi e nuovi oggi spirano sempre più forti nel mondo, spesso rievocando quegli stessi simboli e riferimenti che distrussero l’Europa più di settanta anni fa. L’Anpi sta promuovendo una campagna per sensibilizzare le amministrazioni comunali contro la propaganda neofascista che si nasconde nei souvenir e nell’oggettistica in vendita nelle bancarelle. È un’iniziativa utile per non abbassare la guardia e continuare a riconoscere in quella cultura politica un pericolo per la democrazia e la libertà.

Ma i fascismi oggi vestono anche panni civili, si fanno chiamare populismi, si giustificano appellandosi alla pancia degli elettori, e intanto costruiscono lager e innalzano muri. La destra xenofoba è la portatrice di una cultura dell’intolleranza e della chiusura che in forma meno netta – ma non meno pericolosa – è dilagata anche in altri schieramenti. La deriva securitaria e repressiva contro i diritti dei migranti promossa dall’attuale governo ne è la prova, l’ultima in ordine di tempo. Un’ulteriore privazione di diritti di alcuni che si traduce in conseguenze negative per l’intera società: l’aumento dell’emarginazione non può che portare a un mondo peggiore, meno giusto.

La cultura politica dei decreti Minniti Orlando indica il ripristino dei CIE e le espulsioni come soluzione al problema dei profughi. La nostra cultura politica indica invece nella guerra la matrice di una tragedia che colpisce in primo luogo i profughi. Il 25 aprile è anche una festa di liberazione dai conflitti armati: il superamento di una cultura della guerra è contenuto chiaramente nell’articolo 11 della nostra Costituzione. Il mondo di oggi vede un proliferarsi delle guerre, “una guerra mondiale a pezzetti” come l’ha di recente definita Alex Zanotelli. E la Repubblica Italiana, nata dalla Resistenza, è purtroppo in prima linea con la sua industria bellica e le sue missioni militari. Questa deriva bellicista è una delle cause maggiori di sofferenza nel mondo: la pace non si raggiunge con le armi e con le missioni umanitarie in divisa.

Per questo riteniamo profondamente sbagliata la scelta del Comune di Pisa di promuovere la “Giornata della solidarietà”, in cui si spaccia la cultura militare per una cultura di pace, si abituano i bambini e le bambine a pensare che sia giusto inviare soldati a giro per il mondo. Un mondo di pace si costruisce in un altro modo, e questo modo è contenuto nel 25 aprile e nella nostra Costituzione. Allargare la sfera dei diritti, combattere le ingiustizie sociali, rifiutare la guerra. Sono principi che vogliamo ricordare nel giorno della liberazione, perché sono ancora validi.

Questo 25 aprile, poi, c’è un altro motivo per parlare di liberazione, stavolta un motivo lieto: la liberazione di Gabriele Del Grande, avvenuta dopo due settimane di reclusione immotivata in un CIE turco. Gabriele è stato arrestato mentre lavorava per un progetto dal titolo “Un partigiano mi disse”: oggi, 25 aprile, siamo felici che Gabriele sia libero di raccontarci cosa gli disse quel partigiano.

Una città in comune

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