Considerato che
- in risposta agli attacchi del 7 ottobre scorso, in cui Hamas e altri gruppi armati palestinesi hanno colpito obiettivi militari e civili nel sud di Israele, uccidendo circa 1.200 persone e prendendone in ostaggio circa 250, il governo israeliano ha sottoposto la Striscia di Gaza a una vasta operazione militare aerea e di terra, che ha ucciso indiscriminatamente più di 30.000 palestinesi, in larga maggioranza donne e bambini, cui si sommano almeno altre 10.000 persone rimaste probabilmente sotto le macerie, e provocato più di 70.000 feriti, tra cui moltissimi bambini rimasti senza famiglia e gravemente mutilati;
- almeno l’80% degli edifici della Striscia di Gaza risulta distrutto, per effetto di bombardamenti che hanno colpito in modo indiscriminato dense aree residenziali, campi profughi, scuole, università, moschee, chiese, ospedali, ma anche per effetto di demolizioni controllate da parte dell’esercito israeliano penetrato nel territorio, finalizzate a realizzare una “zona cuscinetto” (buffer zone) di decine di km2 nella fascia esterna nord-occidentale dell’attuale Striscia;
- almeno 1,7 milioni di persone, cioè la quasi totalità dei 2,3 milioni di abitanti che vivono nei 360 km2 della Striscia di Gaza senza possibilità di uscirne, sono stati costretti ad evacuare in condizioni di estrema precarietà, accampandosi in luoghi non sicuri nel tentativo, spesso vano, di sfuggire ai bombardamenti o perché le loro abitazioni sono state distrutte, concentrandosi nella zona meridionale di Rafah, su cui l’esercito israeliano minaccia da alcune settimane di estendere l’operazione militare di terra;
- il governo israeliano, inoltre, da più di 5 mesi ha sottoposto deliberatamente tutto il territorio della Striscia a un “assedio totale”, consistente nel blocco delle forniture di beni e servizi fondamentali, dall’elettricità all’accesso di viveri e materiale medico;
- la situazione igienico-sanitaria nella Striscia è drammatica, dal momento che la maggior parte degli ospedali ha smesso di funzionare, mentre quelli ancora funzionanti non hanno le risorse (medicine, anestetici, luce elettrica, ecc.) per poter curare adeguatamente i feriti e i pazienti, comprese alcune migliaia di donne in attesa di partorire;
la drastica riduzione degli aiuti umanitari, su cui già prima dell’escalation militare faceva affidamento più della metà della popolazione di Gaza, espone gli abitanti della Striscia alla fame e quelli più vulnerabili al rischio di morte per inedia; - il lancio di aiuti umanitari per via aerea o marittima, avviato o annunciato da alcuni paesi, è largamente insufficiente rispetto alle necessità della popolazione ridotta alla fame e in contraddizione, nel caso degli Stati Uniti, con il sostegno finanziario, militare e politico alla campagna militare israeliana;
- la penuria d’acqua potabile nella Striscia costringe molti abitanti a bere acqua di mare o acqua della falda, per il 90% contaminata, causando la proliferazione di malattie infettive soprattutto tra i bambini;
la sospensione dei finanziamenti all’UNRWA, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati Palestinesi, decisa da alcuni paesi occidentali tra cui l’Italia, costituisce un’ulteriore grave minaccia alla sopravvivenza della popolazione di Gaza, ma mette in gravi difficoltà anche i milioni di palestinesi che vivono nella diaspora dopo le espulsioni forzate del 1947-48 e del 1967; - la situazione dopo il 7 ottobre è molto critica nel Sud del Libano, dove sono frequenti gli scambi di missili tra l’esercito israeliano e i gruppi militari di Hezbollah, così come in Siria, più volte bersaglio di attacchi mirati da parte di Israele;
la situazione è molto critica anche nel Mar Rosso, dove il gruppo yemenita sciita degli Houthi ha iniziato a prendere di mira navi dirette verso Israele per fare pressione sul governo israeliano affinché interrompa la propria operazione militare su Gaza, provocando la diminuzione dei passaggi dal Canale di Suez e che ha visto come risposta il dispiegamento di una missione militare europea, cui partecipa anche l’Italia; - dopo una prima tregua umanitaria lo scorso dicembre, che ha consentito uno scambio di prigionieri tra i gruppi armati palestinesi e Israele, i colloqui per un nuovo e più duraturo cessate il fuoco, accompagnato da un nuovo scambio di prigionieri tra le parti, sono da tempo in una fase di stallo.
Ricordato che
- con l’ordinanza n. 192 del 26 gennaio 2024, la Corte Internazionale di Giustizia, massimo organo giurisdizionale del sistema delle Nazioni Unite, ha adottato misure cautelari nei confronti di Israele, accusato dal Sudafrica di violare la Convenzione per la prevenzione del genocidio del 1948;
- la Corte di Giustizia, respingendo la richiesta di Israele di archiviare il ricorso del Sudafrica, ha riconosciuto che i palestinesi costituiscono “un gruppo distintivo nazionale, etnico, razziale o religioso”, come tale protetto dall’Articolo II della Convenzione sul genocidio, ed ha ritenuto “plausibile” l’esistenza di un genocidio in corso a Gaza;
per prevenire il compiersi del genocidio, la Corte ha ordinato a Israele di impedire la commissione di vari atti proibiti dalla Convenzione (l’uccisione, le gravi lesioni all’integrità fisica o mentale, l’inflizione di condizioni di vita che determinano la distruzione fisica e di misure tese a prevenire le nascite all’interno del gruppo) e di adottare tutte le misure a sua disposizione per prevenire e punire l’istigazione di atti di genocidio contro i palestinesi;
la suddetta ordinanza impone a Israele di adottare immediate misure per consentire la fornitura di servizi di base e assistenza umanitaria in favore dei palestinesi, e misure efficaci per prevenire la distruzione e garantire la conservazione delle prove relative all’accusa di genocidio; - a fine febbraio i giudici della Corte internazionale di Giustizia hanno ascoltato gli interventi di oltre 52 Stati e saranno chiamati ad esprimere un parere non vincolante ma politicamente significativo “sulle conseguenze giuridiche della violazione del diritto ai palestinesi all’autodeterminazione, dell’occupazione, della colonizzazione e dell’annessione prolungata dei territori palestinesi dal 1967”, su richiesta dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.
Ritenuto che
- nonostante le chiare e tassative richieste contenute nell’ordinanza della Corte Internazionale di Giustizia, Israele non abbia ottemperato agli ordini ricevuti proseguendo la propria campagna militare contro l’intera Striscia di Gaza e l’assedio della popolazione, continuando a privarla dei mezzi più basilari di sussistenza;
gli attacchi del 7 ottobre, compiuti da Hamas e altri gruppi armati palestinesi, nella misura in cui hanno preso di mira deliberatamente non combattenti e obiettivi civili, abbiano violato il diritto internazionale umanitario, configurando crimini di guerra; - nella campagna militare avviata dopo il 7 ottobre, Israele ha ripetutamente violato i principi del diritto internazionale umanitario che impongono di usare la forza militare in modo proporzionato all’attacco ricevuto, distinguendo tra combattenti e non combattenti, limitando l’impatto sulla popolazione delle azioni militari, e risparmiando le strutture civili, in particolare gli ospedali, configurando altrettanti crimini di guerra;
- Israele viola da molti anni il diritto internazionale proseguendo nell’occupazione dei territori palestinesi della Cisgiordania, di Gaza e di Gerusalemme Est, contravvenendo a numerose disposizioni che vietano la costruzione di insediamenti stabili in territori occupati, l’esproprio o la distruzione di beni della popolazione occupata, e non applicando numerose Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza e dell’Assemblea delle Nazioni unite a riguardo;
- come rilevato dai rapporti della Relatrice Speciale ONU per i diritti nei Territori palestinesi occupati e di importanti organizzazioni non governative esperte in difesa dei diritti umani, come Amnesty International, nei Territori palestinesi occupati vige un regime di apartheid nella misura in cui israeliani e palestinesi sono sottoposti a due regimi giuridici separati, che vede i palestinesi assoggettati a un regime oppressivo e arbitrario di controlli di polizia e giurisdizione militare, con arresti e detenzioni illegittime, che non risparmia neanche i bambini;
- qualsiasi allontanamento, forzato o “volontario”, di palestinesi dalla Striscia di Gaza distrutta e resa invivibile dall’azione militare israeliana configurerebbe una inaccettabile pulizia etnica;
- il conflitto israelo-palestinese affonda le sue radici nella storia del nazionalismo, del sionismo, del colonialismo occidentale e della decolonizzazione in Medio Oriente, e nella nascita dello Stato di Israele nel 1948, accompagnata dall’espulsione forzata di più di 700.000 palestinesi dalle loro terre storiche, dalla negazione del diritto al ritorno in Palestina di questi e dei loro eredi e dalla mancata nascita di uno Stato palestinese;
- la lunga durata del conflitto, e la complessa situazione che si è determinata a seguito di ripetuti conflitti armati (1967, 1973), a causa della costante crescita di insediamenti israeliani illegali in Cisgiordania e a Gerusalemme Est, e del periodico ritorno della lotta armata da parte dei palestinesi, fa sì che la sua soluzione possa essere raggiunta soltanto rimuovendone le sue cause profonde, a partire dalla fine dell’occupazione israeliana e del connesso regime di apartheid;
- solo il riconoscimento del diritto all’autodeterminazione e del diritto al ritorno dei palestinesi, unito al riconoscimento di pari diritti e pari dignità per tutti coloro che vivono in Palestina, potrà condurre alla fine della resistenza armata e all’avvio di un processo di pace credibile e duraturo, che garantisca sicurezza a tutte le parti;
Rilevato che
- la stessa società civile israeliana si oppone in vario modo alla guerra al popolo palestinese portata avanti dal governo Netanyahu, che movimenti e partiti di opposizione in Israele chiedono il cessate il fuoco, che le famiglie stesse degli ostaggi ancora detenuti si oppongono alle operazioni militari e all’assedio in quanto mettono a repentaglio anche la vita stessa dei loro familiari, che vi sono movimenti di obiettori di coscienza israeliani che rifiutano di essere arruolati per andare a combattere a Gaza e di servire nel territorio occupato della Cisgiordania, ritenendo illegittime sia le azioni militari che l’occupazione, come ad esempio il movimento “Rompiamo il Silenzio” (Breaking the Silence) e “Voci contro la guerra” (Voices Against the War);
- cittadini di origine ebraica nel mondo, sia religiosi che non, chiedono a loro volta il cessate il fuoco, attraverso manifestazioni di piazza, interventi nelle università e in dibattiti pubblici, azioni dimostrative, soprattutto negli Stati Uniti e nel Regno Unito, come il movimento “Non in mio nome” (Not in my Name);
da mesi vi sono mobilitazioni in Italia e in tutto il mondo, dagli Stati Uniti all’Australia, contro il genocidio del popolo palestinese e per la fine dell’occupazione israeliana della Palestina, mobilitazioni che si stanno intensificando e stanno coinvolgendo, anche in Italia, fasce sempre più ampie dell’opinione pubblica, a partire dalle studentesse e dagli studenti delle scuole e delle università; - l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il Parlamento Europeo e il Parlamento Italiano hanno votato a larga maggioranza risoluzioni di vario tipo sul cessate il fuoco a Gaza;
molti sono gli Stati che si sono pronunciati a fianco del Sudafrica nel procedimento avviato presso la Corte Internazionale di Giustizia contro Israele per il mancato rispetto della Convenzione per la prevenzione del genocidio del 1948; - l’Italia è, a sua volta, firmataria della suddetta convenzione ed è quindi tenuta a rispettarla, evitando di compiere azioni di supporto alle operazioni militari di Israele, ma anche prendendo iniziative diplomatiche attive per fare pressione sul governo Israeliano per il cessate il fuoco permanente;
il governo italiano continua a sostenere, invece, lo Stato di Israele, compiendo atti che vanno in senso contrario a quelli previsti dalla Convenzione sulla prevenzione del genocidio, come ad esempio la vendita di armi, che è continuata anche dopo l’inizio delle operazioni militari, come risulta dalle statistiche ISTAT sul commercio estero del febbraio 2024; - la recente firma da parte di ENI di un contratto con Israele per l’esplorazione finalizzata allo sfruttamento delle riserve di gas naturale nelle acque al largo di Gaza, che rientrano nella Zona Economica Esclusiva della Palestina, configura una violazione del diritto internazionale umanitario e consuetudinario;
il recente bando di cooperazione scientifica tra Italia e Israele del MAECI non esclude lo sviluppo di tecnologie ad uso militare e configura una ulteriore implicazione del nostro paese nelle violazioni del diritto internazionale in corso in Palestina.
Auspicando che
- il Consiglio di Sicurezza adotti una risoluzione per il cessate il fuoco definitivo, superando l’attuale veto degli Stati Uniti;
- la comunità internazionale si faccia carico della ricostruzione della Striscia di Gaza e dell’immediato supporto alla popolazione, a partire dalla situazione sanitaria e psicofisica delle persone fragili, delle donne, dei bambini, dei malati e dei feriti;
- lo scambio di prigionieri si svolga fino alla liberazione di tutti gli israeliani catturati il 7 ottobre e di tutti i palestinesi arrestati senza convalida e per motivi politici in Cisgiordania, prima e dopo il 7 ottobre.
Il Consiglio Comunale di Pisa
Esprime forte preoccupazione per l’escalation militare, il massacro della popolazione e la distruzione di Gaza, che configurano un concreto rischio di genocidio del popolo palestinese e possono condurre all’allargamento del conflitto ad altri paesi dell’area, con conseguenze imprevedibili e incalcolabili per la pace e la sicurezza internazionali;
Contesta fermamente tutte le azioni mosse a danno delle popolazioni civili, in violazione del diritto internazionale e dei diritti umani;
Chiede che il governo italiano e le istituzioni europee si impegnino in tutte le sedi internazionali opportune, per ottenere nel più breve tempo possibile:
- – il riconoscimento di uno Stato Palestinese pienamente sovrano;
- – un immediato cessate il fuoco generale a Gaza, in Cisgiordania, in Israele;
- – il ripristino immediato dei fondi all’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi (UNRWA);
- – la fine immediata del blocco dei beni e dei servizi fondamentali (acqua potabile, luce, carburante, cibo, medicine in primis) inflitto alla popolazione civile di Gaza;
- – l’avvio di una trattativa internazionale per il rilascio di tutti gli ostaggi israeliani, a partire dai soggetti più vulnerabili, e il rilascio dei prigionieri palestinesi detenuti per motivi politici o irregolarmente nelle carceri israeliane;
- – la fine del blocco alla mobilità delle persone in entrata e uscita dalla Striscia di Gaza;
- – l’avvio di operazioni di solidarietà internazionale per la popolazione sfollata dentro Gaza, che ha visto la propria abitazione distrutta dai bombardamenti.
Chiede altresì che il governo italiano e le istituzioni europee si impegnino, in tutte le sedi internazionali opportune, per ottenere l’avvio di un vero negoziato di pacificazione, che garantisca al contempo:
- – la piena autodeterminazione del popolo palestinese e il riconoscimento dei suoi diritti;
- – la fine del regime di occupazione, colonizzazione e apartheid da parte di Israele, secondo le risoluzioni delle Nazioni Unite e le relazioni della Relatrice Speciale delle Nazioni Unite per i diritti umani nei Territori Occupati, nonché secondo le raccomandazioni delle principali organizzazioni internazionali per i diritti umani, da Amnesty International a Human Rights Watch;
- – la ricostruzione delle infrastrutture civili di Gaza;
- – l’abbandono del progetto di costruzione della “zona cuscinetto”, che di fatto sottrae parte della già scarsa terra coltivabile agli abitanti di Gaza, che vivono una situazione di forte pressione demografica;
- – l’abbandono del progetto di sfruttamento illegittimo dei giacimenti di gas a largo di Gaza da parte del governo israeliano;
- – la sicurezza della popolazione civile palestinese e israeliana;
- – il coinvolgimento attivo di donne e giovani israeliane/i e palestinesi nel processo di pace, attuando le Risoluzioni ONU 1325 e 2250 che intendono dare voce a nuovi attori sociali per uscire dalla spirale di violenza.
Francesco Auletta – Diritti in comune: Una città in comune – Unione Popolare