Del chiostro di san Francesco non se ne dovrebbe occupare l’assessore alla Cultura?

“Fintantoché tutela e valorizzazione del patrimonio storico-artistico saranno concepite esclusivamente come una questione di “lavori pubblici”, anziché come un investimento culturale, il dissesto sarà difficile da nascondere”. Questo scrivevamo qualche settimana fa, a proposito dello stato d’abbandono in cui versa la chiesa di Santa Maria della Spina. Oggi siamo a rivolgere quelle stesse osservazioni ad Andrea Ferrante, che ha assunto le deleghe del dimissionario Danti, esclusa quella al “patrimonio”, di cui è titolare l’assessore ai Lavori Pubblici Serfogli.

Per questo motivo è stato quest’ultimo a presentarsi al sopralluogo di mercoledì 11 marzo al complesso di San Francesco, al termine del quale l’assessore ha rilasciato sconfortanti dichiarazioni alla stampa: un anno fa egli aveva fatto l’ultima promessa d’imminente inizio del restauro del complesso monastico, grazie al finanziamento della Fondazione Pisa che si era detta favorevole già nel 2011 (http://iltirreno.gelocal.it/pisa/cronaca/2014/02/06/news/san-francesco-per-il-restauro-servono-300mila-euro-1.8617042); oggi apprendiamo che quel progetto non è stato presentato in tempo alla Fondazione dall’altro proprietario del Complesso, la Soprintendenza, e che il Comune declina ogni responsabilità, mentre il chiostro, le cui colonne si stanno sgretolando a vista d’occhio, continua a degradarsi.

Va ricordato che proprio per il recupero del chiostro si era organizzata in Prefettura, il 3 febbraio 2014, la famigerata riunione che aveva deliberato l’affidamento ad un soggetto terzo (gli Amici dei Musei e Monumenti Pisani) la gestione dei finanziamenti del restauro. Nell’occasione gli enti proprietari – Soprintendenza e Comune – si dichiararono implicitamente incapaci e impotenti. Adesso lo ripete candidamente la stessa architetta Ciafaloni della Soprinendenza: a venir meno “è la manutenzione e la capacità di eseguire pronti interventi e procedere poi a una programmazione di lavori negli anni successivi” e aggiunge che “potrebbe essere positivo un passaggio del bene nelle mani del Comune, perché per le Fondazioni sarebbe molto più facile investire risorse”. Come dire: noi non riusciamo più a svolgere il nostro lavoro, vediamo se ci riesce il Comune.

Tutto questo nel silenzio dell’assessore alla Cultura, che dovrebbe invece governare situazioni come questa, vigilare affinché vengano rispettati i tempi entro cui presentare i progetti e discutere cosa fare dei beni (soprattutto se sono di sua proprietà) su cui si interviene.

 

Gruppo Cultura di “Una città in comune”

E-mail: cultura(at)unacittaincomune.it

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