La nostra posizione sul Protocollo per un fronte comune dell’antifascismo

A inizio anno è stato firmato a Pisa un documento di contrasto al fascismo, promosso dall’Anpi provinciale, che vede insieme ai sindaci di Pisa e Pontedera i soggetti tradizionalmente vicini alla sfera istituzionale locale: associazioni (Aned, Acli, Arci, Uisp), i sindacati confederali, gruppi studenteschi (Sinistra per… pur coinvolta nell’iniziativa ha deciso all’ultimo di non firmare, ma su questo torneremo dopo).

L’Anpi è riuscita a mettere insieme alcuni referenti sociali della maggioranza politica al governo in città (anche se sappiamo bene che al loro interno la situazione è ben più composita e variegata) per impegnare le istituzioni – in sinergia con i firmatari – in un ampio ventaglio di compiti: dalla repressione normativa (applicare le leggi in vigore contro il fascismo), all’intervento culturale (promuovere un osservatorio sul neofascismo, fare una campagna di informazione, sostenere la formazione storica nelle scuole), alla mobilitazione sociale (una grande manifestazione di massa, il coinvolgimento del tessuto democratico), fino addirittura all’intervento sul disagio sociale ed economico.
Sono tutte proposte utili e importanti, e ci auguriamo francamente che l’elenco di iniziative contenute nel Protocollo possa realizzarsi. Sarebbe una base da cui partire per promuovere un senso di cittadinanza adeguato a una Repubblica antifascista.

Tuttavia nutriamo alcuni dubbi sull’operazione, dubbi che vogliamo rendere pubblici per stimolare i soggetti associativi firmatari (in primis l’Anpi) a un momento di confronto, per una riflessione collettiva sull’antifascismo.
Il primo dubbio riguarda i rapporti tra antifascismo e PD. Oggi si sente il bisogno da parte di alcuni esponenti del PD di mettere un argine ai soggetti politici che si rifanno esplicitamente al fascismo e al nazismo, anche se non tutti nello stesso PD la vedono allo stesso modo: nel partito di Renzi frequentare esponenti di Casa Pound e sdoganare Mussolini e i vari gerarchi del fascismo pare essere diventato un modo per dimostrarsi moderni e privi di pregiudizi (si rimanda su questo all’inchiesta dei collettivi Wu Ming e Nicoletta Bourbaki).

In ogni caso, anche chi sinceramente nel PD si sta impegnando per frenare l’affermarsi dei neofascismi difficilmente nomina il discorso di insediamento da presidente della Camera di Luciano Violante, nel 1996, in cui invitava a capire le ragioni dei «vinti di ieri», per tracciare «i confini di un sistema politico nel quale ci si riconosce per il semplice e fondamentale fatto di vivere in questo paese, di battersi per il suo futuro, di amarlo, di volerlo più prospero e più sereno. Dopo, poi, all’interno di quel sistema comunemente condiviso, potranno esservi tutte le legittime distinzioni e contrapposizioni». Violante nel definire i fascisti come i «vinti di ieri» dimenticava l’impunità di cui godettero i fascisti nel dopoguerra (al contrario di molti partigiani su cui si abbatté la mano pesante dei giudici) e la continuità a livello di potere di cui poterono godere (in spregio ai progetti di rivoluzione sociale che pure la Resistenza portava con sé). Ma, soprattutto, nell’accogliere gli eredi di quella parte politica nel sistema politico, tracciando come unica discriminante di appartenenza il voler più prospero e più sereno il paese (!!!), buttava alle ortiche la pregiudiziale antifascista. Da più di venti anni quelle parole hanno consolidato posizioni e prassi politiche, hanno consentito di creare uno spazio di legittimità a soggetti come Forza Nuova e Casa Pound. Riteniamo che chi oggi all’interno del PD voglia davvero recuperare l’antifascismo debba riconsiderare profondamente le responsabilità del suo partito.

Non si tratta solo di avere la colpa di essere stati troppo morbidi e aperti verso gli eredi del fascismo. Il PD non si è dimostrato il più sicuro garante della carta costituzionale: dalla modifica dell’articolo 81 con cui si è vanificato tutto l’impianto sociale e progressivo della Costituzionale al tentativo di stravolgere lo stesso ordinamento statale con il referendum del 4 dicembre, sono evidenti le distanze del gruppo dirigente del PD dai valori dell’antifascismo contenuti nella Costituzione. Antifascismo che nella nostra carta costituzionale vuol dire in primo luogo riconoscere «pari dignità sociale» a tutti i cittadini e creare le condizioni perché si realizzi «l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese». Il PD ha realizzato politiche che stanno agli antipodi di questi principi: dalla precarizzazione estrema del lavoro, iniziata da Tiziano Treu e completata con il Job’s Act, fino all’adesione incondizionata alle politiche di austerity e al Patto di stabilità interno che condanna i Comuni a non poter investire sui territori. Facciamo nostre le parole con cui l’economista Emiliano Brancaccio ha affrontato di recente l’argomento sulle pagine di «Micromega»: «Se ti dichiari antifascista, non puoi essere un ‘deflazionista’ che invoca nuove ondate di austerity e di privatizzazioni, sostiene le deregolamentazioni del lavoro e promuove la gara al ribasso dei salari e dei prezzi, perché proprio queste politiche favoriscono l’avanzata delle destre estreme».

Il secondo dubbio riguarda il rapporto tra antifascismo e la giunta Filippeschi. Sappiamo bene come oggi il fascismo si nutra dell’intolleranza contro gli immigrati, cavalcata pure da molti partiti. Nel clima generale di manipolazione politica della tragedia dei rifugiati, le formazioni neofasciste e nostalgiche del regime si sentono in diritto di alzare la testa e fomentare il fanatismo e l’odio. Contro questi tentativi non si può rispondere con lo sgombero dei campi rom, con la chiusura dei centri di accoglienza, con la repressione degli spazi sociali, con i daspo urbani del Decreto Minniti, con la criminalizzazione dei venditori ambulanti o dei parcheggiatori. Antifascismo vuol dire allargare gli spazi di partecipazione e democrazia: la Giunta Filippeschi si è contraddistinta in questi anni per una ottusa chiusura di questi spazi, per il rifiuto del dialogo, per l’incapacità di vedere oltre i corridoi dei palazzi del potere. Sono anche questi i motivi che hanno spinto l’associazione studentesca Sinistra Per… a non sottoscrivere il Protocollo. Una scelta legittima e che condividiamo.

Le criticità che abbiamo evidenziato non si limitano a puntare il dito su alcune contraddizioni di minor rilievo: riteniamo che le posizioni e le politiche sostenute dal PD negli ultimi 20 anni portino una responsabilità enorme nel diffondersi delle destre oggi in Italia. Questa è la nostra posizione, che porteremo nel corteo antifascista del 27 gennaio, con l’augurio che si possa aprire anche a livello locale un reale confronto sull’antifascismo di cui oggi il paese ha più che mai bisogno. Un antifascismo concreto e consapevole, che sappia guardare agli errori del passato per costruire un futuro aperto e inclusivo.

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