Nomadi, un’integrazione lastricata di ostacoli

TIRRENO PISA, pagina III
A COLTANO TRA FUORILEGGE E VOGLIA DI INTEGRARSI
Il campo rom di Coltano è un pungolo mai del tutto metabolizzato dalla comunità pisana.
Un nervo scoperto che, al di là degli schieramenti ideologici pro o conto a prescindere, quando viene toccato può solo dividere.
L’operazione “Falange macedone” fornisce carburante a chi inquadra sempre e comunque il mondo rom in servizio permanente effettivo nell’ambiente del crimine. I numeri di chi delinque sono minoritari rispetto alla platea di domiciliati in un campo visibile dall’autostrada che porta a Livorno. Ma è in quell’insediamento che spesso fuggitivi o pendolari di furti e rapine trovano riparo e protezione. La maggioranza silenziosa chi vuole integrarsi non è stata dimenticata dall’ amministrazione e dalle associazioni che se ne prendono cura.
Il Comune investe ogni anno circa 300.000 euro in servizi di refezione, trasporto, disabilità, accompagnamento per scolarizzare circa 150 tra bimbi e bimbe rom. Nei mesi scorsi i carabinieri hanno denunciato decine di genitori perché non mandavano i loro figli a scuola. Retaggio antico e duro a morire quello della dispersione scolastica. E poi ci sono le 17 villette costruite e assegnate a famigli e rom. Altro fronte che divise l’opinione pubblica. Si stagliano quelle abitazioni lungo il nastro d’asfalto con le loro architetture da dimore residenziali, anche se in un contesto che di cittadino non ha niente. Accanto ci sono ancora le baracche. Che sono molte di più. Uno stacco che sa di contrasto capace di raccontare abitudini stratificate e tentativi di inserimento. Sono costate 760mila euro, due terzi finanziati dalla Regione e un terzo dal Comune. Erano i tempi del progetto “Città sottili” per favorire l’integrazione. In un appartamento appena consegnato la polizia trovò oro e gioielli, ritenuti frutto di ruberie, per 350mila euro. Una macchia d’olio nel percorso di inclusione. Così come un colpo all’innnagine di comunità ligia alle regole arrivò con la sentenza del marzo scorso. In Corte d’Assise furono condannati sei rom nel processo della “sposa bambina”. Nell’ottobre 2010, una ragazzina di origine kosovara che allora aveva 14 anni, raccontò di essere stata portata in Italia con l’inganno per essere data in sposa, secondo il rito rom, a un minorenne. I sei vennero assolti dai reato di violenza sessuale, tentata violenza e violenza sessuale di gruppo, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, tratta di persone e riduzione in schiavitù. Le condanne arrivarono, però, per il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina con pene dai 5 ai 6 anni. (p. b.)

Condividi questo articolo

Lascia un commento