Paternità e politica. Piccole riflessioni necessarie e non sufficienti

Care e cari,

oggi per la prima volta, da quando sono stato eletto nel maggio del 2013, non sarò presente a una seduta del Consiglio Comunale. Prendo questa occasione come espediente per comunicarvi qualcosa che va oltre un’assenza casuale e per condividere una difficoltà che, come me, affligge milioni di uomini e donne in Italia.

Sono in attesa di diventare papà e con la mia compagna abbiamo deciso di vivere l’esperienza della nascita imminente nella città dove lei vive e lavora, quindi da qualche giorno sono fuori Pisa.

Da mesi vivo la condizione di pendolare, cercando di conciliare il lavoro, la politica e la cura della mia nuova famiglia. Riesco ad affrontare la precarietà di vita e reddito solo grazie all’aiuto, al sostegno e all’appoggio della mia compagna, dei miei genitori, dei compagni e delle compagne con cui nel 2013 abbiamo iniziato il percorso di Una città in Comune.

Il nostro Paese non contempla tutele e diritti per le generazioni che vivono di contratti di lavoro non convenzionali, la crisi e la precarietà sempre più ci pongono di fronte all’aut aut tra genitorialità e lavoro, né le nuove leggi danno un reale supporto per sgravare le madri dal sovraccarico delle incombenze legate alla cura dei piccoli. Queste  dedicano in media ai loro figli 4 ore e 45 minuti al giorno, mentre i padri italiani soltanto 38 minuti.

Sappiamo quanto la realtà sia drammaticamente grave per le donne, vittime della discriminazione orizzontale e verticale nel lavoro, delle dimissioni in bianco, dei ricatti e dei faticosi compromessi a cui siamo tanto avvezzi da non farci, quasi, più caso. Ma l’ingiustizia è profonda anche verso l’universo maschile, perché nessuna legge permette ai padri di condividere, nel vero senso della parola, le responsabilità connesse alla nascita di un figlio. La situazione si complica ancora di più se il tentativo di conciliazione coinvolge oltre alla famiglia e al lavoro anche l’impegno sociale e la militanza politica.

L’impossibilità di portare avanti uno sviluppo completo della propria persona viene spesso vissuta in modo solitario, mentre con questa lettera vorrei mettere in evidenza il suo carattere squisitamente politico. La frustrazione e la fatica a costruire un futuro fatto di famiglia e insieme impegno per la collettività non deve ricadere sul singolo individuo come una propria insufficienza, carenza, inadeguatezza. E’ un meccanismo perverso e devastante che isola e colpevolizza. Da soli non c’è una via d’uscita per affrontare tutto ciò.

In questi mesi insieme con la coalizione che mi ha eletto abbiamo affrontato il “problema” di una mia parziale assenza da Pisa e tramite una suddivisione degli impegni stiamo trovando tutte e tutti insieme la strada per cercare modi e forme per conciliare positivamente vita, lavoro e politica. Questa è la mia personale soluzione al problema, ma occorrono invece politiche pubbliche sistematiche a favore della conciliazione. Credo che questo piccolo esempio sia la strada giusta da percorrere, anche se il sistema che abbiamo davanti cerca in tutti i modi di rendere impossibile tutto questo.

Le difficoltà che sto testimoniando, la cosiddetta antipolitica e un sistema sempre più classista hanno l’unico effetto di espellere i giovani e le giovani, i precari e le  precarie, i disoccupati e le disoccupate, le intermittenti e gli intermittenti, dalla possibilità di fare politica, dentro e fuori le istituzioni. I tempi e i ritmi della politica e della dinamica istituzionale, l’assenza di strumenti e di risorse anche economiche stanno lasciano ai margini pezzi interi di società dal diritto a rappresentare e autorappresentarsi. Oggi va nelle istituzioni chi ha un lavoro “garantito” o ha una rendita: il resto siamo solo eccezioni. In questi tre anni mi sono reso conto che fare il consigliere comunale implica molto tempo ed energia: occorre studiare tantissimo, leggere, documentarsi, battere la città metro per metro, ascoltare e ascoltare, stare nei quartieri: se sei un consigliere di opposizione il tuo lavoro deve essere doppio, dato che sei stato eletto per un ruolo di vigilanza e controllo. Ancora di più dopo la riforma che ha stabilito l’elezione diretta del sindaco, che ha portato a svuotare il ruolo e le funzioni del Consiglio Comunale, trasferendo tutte le decisioni dagli eletti alla Giunta e ostacolando le minoranze ad avere un pieno accesso alle informazioni. In questi tre anni, Marco Ricci ed io, insieme alle tante e tanti che lavorano con noi dentro la nostra coalizione, ce l’abbiamo messa tutta. Ma questo impegno non può e non deve essere un atto volontaristico né un privilegio per “chi se lo può permettere”. Io, come Marco, mi permetto di parlare anche a nome suo e spero che non me ne voglia, non ce lo possiamo permettere, ma abbiamo deciso di iniziare e proseguire il cammino istituzionale non per spirito di sacrificio ma come scelta politica, condivisa da una parte della città che nel 2013 ci ha votato e da quella, più grande, che oggi guarda a noi con stima.

Negli scorsi giorni un giornalista mi ha telefonato e mi ha detto: “è vero che ti dimetti da consigliere comunale?”. E io: “perché dovrei?”. E lui: “gira questa voce, perché stai diventando padre”. E io: “non sapevo che non si potesse essere padri e consiglieri comunali”. Credo che questa conversazione esemplifichi bene ciò che mi preme.

Nelle prossime settimane sarò meno presente a Pisa e agli appuntamenti istituzionali, ma questo non impedirà in alcun modo alla coalizione di Una città in Comune – Rifondazione Comunista di portare avanti le nostre battaglie a Palazzo Gambacorti e in città. Anzi, ne sono certo, questa esperienza darà nuova forza e slancio al mio e nostro impegno nella lotta per la difesa e l’estensione dei diritti di tutte e tutti.

 

Ciccio Auletta, consigliere comunale Una città in comune-Rifondazione Comunista

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