Progetto Caserme: stato dell’arte dell’accordo di programma e possibile revisione o scioglimento dello stesso

Questo argomento, presentato tre anni fa, quando ancora l’Accordo di Programma era dato per valido ed efficace, viene discusso nel momento in cui è stata presentata una nuova bozza di accordo.

È ormai evidente e ufficializzato come il progetto caserme così come era stato pensato nel 2001 e programmato nel 2007 sia definitivamente fallito: gli unici che non se ne sono resi conto fino ad oggi sono gli stessi che propongono oggi di rimodularlo.

Già a ottobre del 2008 l’associazionismo pisano, in particolare Legambiente Pisa e Rebeldìa, avevano posto i propri dubbi. Sia sul merito del progetto che sulla sua irrealizzabilità.

Da allora almeno per tutto il precedente mandato di questa amministrazione (2008-2013) il progetto è rimasto in stallo. E l’allora e tutt’oggi sindaco Filippeschi non ha fatto altro se non rimpallare responsabilità, rifiutando di accettare le evidenze, ma provando a scaricare le colpe sul ministero della difesa.

Sebbene qualche dubbio ci fosse anche all’interno della maggioranza.

Lo stesso Ass. Cerri in un Consiglio Comunale del 2011 dichiarava:

“con la crisi economica e la riduzione delle possibilità di credito, l’operazione dal punto di vista finanziario per come era stata pensata risulta impossibile, in quanto non à pensabile trovare uno o più imprenditori disposti ad anticipare settanta milioni di euro per poi nel tempo rientrare nell’investimento””

Ciononostante, era tanto cieca la fede in questo progetto che nel programma di mandato presentato per le elezioni del 2013 si legge:

“Per i progetti già oggetto di previsioni urbanistiche definite e già in corso di realizzazione, quali quello del recupero delle tre vecchie caserme e della realizzazione di una nuova caserma per il VI Reggimento di Manovra e “Sesta Porta” si prevede l’iniziativa più incisiva verso il governo, a tutela degli interessi collettivi, per il mantenimento e lo sviluppo degli accordi stipulati dai Ministeri coinvolti o da istituzioni che sono loro emanazioni,”

e

“Iniziativa nei confronti del governo nazionale per una sostanziale accelerazione del “Progetto Caserme”con la previsione di una nuova caserma unica a Ospedaletto e il recupero a fini residenziali, pubblici e a servizi delle tre caserme: “Curtatone e Montanara” di via Bruno; “Artale” di via Derna – via Roma; “Bechi Luserna” sulla strada statale Aurelia”.

Proprio ribandendo quel punto il Sindaco filippeschi e la maggioranza hanno bocciato a Marzo del 2015 la Mozione di iniziativa popolare “Protocollo Caserme e riutilizzo a fini sociali e culturali dell’ex-Caserma Curtatone Montanara”.

Allora c’erano dei soldi, 1 milione e mezzo investiti nella progettazione che non dovevano essere in alcun modo persi, e c’era un accordo con il Ministero della difesa da rispettare e c’era un programma di mandato da portare avanti. Per questo veniva bocciata una mozione popolare che chiedeva di sciogliere il vecchio accordo e aprire la discussione sul futuro delle aree ora occupate, militarizzate e quasi totalmente abbandonate.

Oggi che finalmente si apre la discussione in consiglio comunale, è già pronta una nuova bozza di programma che mette palesemente in evidenza quanto fossero strumentali le motivazioni di allora.

Il nuovo accordo sostituisce integralmente quello vecchio, che finalmente è mostrato non essere imprescindibile. Nel nuovo accordo si rinuncia a qualsiasi rivalsa sulle spese effettuate, che quindi non sono più da recuperare ad ogni costo: la quota che dovrebbe essere corrisposta al Comune da parte del Demanio infatti, non è un recupero di quei fondi, ma un preciso strumento previsto dalla legge.

Nel nuovo accordo non c’è più una nuova caserma a Ospedaletto, non c’è più il recupero della Bechi Luserna, non ci sono più i fini pubblici nell’operazione di recupero delle altre 2 caserme, ma rimane solo il residenziale. Un’operazione immobiliare.

Per affrontare la discussione in Consiglio Comunale, finalmente ribadiamo, è importante tornare agli inizi del 2014, quando anche il Tribunale Amministrativo, nota come “a distanza di sei anni, non c’è stata alcuna  esecuzione” e che “l’Accordo di Programma è ormai privo di efficacia”.

Lo nota il TAR ma in città lo notano tutti, in particolare è proprio in quesi mesi che il Municipio dei Beni Comuni occupa l’ex distretto Militare e regala a alla città gli unici 2 mesi di vita della caserma negli ultimi 20 anni ( a parte i parcheggiatori abusivi ovviamente) e avvia un processo di partecipazione e di riprogettazione dell’area che dura un’anno e riporta proprio alla mozione popolare citata prima.

I primi ad aderire e immaginare un futuro diverso per l’area sono gli abitanti del quartiere san Martino che chiedono con una petizione depositata in comune nel marzo del 2014 “auspichiamo che sia intrapreso, in tempi rapidi, un dialogo con il Sindaco, la Giunta, il Consiglio, per esplorare possibili modalità di gestione partecipata dell’ex distretto: confidiamo nel fatto che l’incontro e il confronto tra differenti punti di vista espressi con reciproco rispetto da persone provenienti da percorsi diversi e appartenenti ai più vari ambienti (sociali, culturali, professionali, politici, associativi, ecc.) possa essere fecondo ed essere orientato in una logica di “buon vivere”.”

Chiedono un dialogo con il sindaco che ad oggi (ottobre 2017) dopo 3 anni e mezzo ancora non è arrivato. Un confronto pubblico in cui collettivamente si potesse capire quali fossero i reali interessi collettivi da tutelare.

Un tassello fondamentale che manca ad oggi in questa discussione è quello che c’è, ovvero la progettazione partecipata del distretto indica una strada completamente diversa da quella che questa amministrazione vuole intraprendere.

E proprio a febbraio del 2014 che assume la carica il ministro Pinotti che ha dichiarato a più riprese alla stampa: “I beni militari, quando non servono più alle forze armate, devono essere messi a disposizione della collettività: sono una ricchezza per il Paese che non possiamo più lasciare inutilizzata e sono spazi vitali per le nostre città che non possiamo più vedere chiusi. Siamo a lavoro in tutte le città italiane dove ci sono beni militari che stiamo dismettendo”.

Non solo dichiarazioni, ma l’attivazione concreta di uno strumento tecnico per l’attuazione di tali propositi, quello del federalismo demaniale che negli ultimi anni ha dato il via decine di esperienze di recupero ad uso sociale delle caserme e che solo a Pisa è stato boicottato.

O meglio si è usato strumentalmente l’accordo di programma, che oggi viene sciolto, come elemento ostativo alla procedura di acquisizione in maniera gratuita dei beni.

Mettiamo in chiaro questo: nella nuova bozza si prevede che ministero della difesa consegni le caserme al Demanio. Ma anche senza una nuova bozza, con il semplice scioglimento dell’accordo, il ministero avrebbe dovuto restituire le caserme come emerge chiaramente dai verbali degli incontri tenutesi tra Comune e Difesa in prefettura alla fine del 2014.

Siamo d’accordo con un solo punto della nuova bozza, ovvero quello che dice che tra un anno sarà tutto finito. Ma il futuro delle aree è tutto da decidere e non può essere certo la pressione di un’acquirente a dover accelerare una discussione che ancora non è stata fatta.

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