Risposte di Ciccio Auletta alle domande poste ai candidati a sindaco dal DESAT, Distretto Economia Solidale Alt(r)o Tirreno

1. Alla luce del recente rapporto sul Benessere Equo e Solidale 2013 (BES) di Cnel e Istat (http://www.istat.it/it/archivio/84348), quali provvedimenti propone a favore del “ben-essere” e del “ben-vivere” dei cittadini pisani e delle cittadine pisane, garantendo eticità, equità, solidarietà, nonviolenza, salute e tutela degli ecosistemi?

Il rapporto sul Benessere Equo e Solidale 2013 (BES) ricordato sopra è un altro tassello in un importante dibattito che rileva come non possono essere il prodotto interno lordo e i tassi di crescita gli unici indicatori del benessere e delle performance di una società, di una nazione, di una comunità.

Il fatto che l’ISTAT e il CNEL abbiano deciso di investire sulla raccolta di dati e la costruzione di numerosi indicatori di benessere è un fatto importante ed estremamente positivo. Dobbiamo cominciare a valutare chi prende le decisioni a tutti i livelli, e quindi anche nel Comune, in base ad una serie di valutazioni non solo economiche. Purtroppo i dati sono aggregati a livello regionale e quindi non danno spunti chiari sulla realtà pisana. Vanno però nella giusta direzione, quella di evitare strane aggregazioni tra problematiche diverse che sono per loro natura incommensurabili, come invece avviene ancora in molti studi economici. Per fare un solo esempio, il libro ‘Città italiane in cerca di qualità’ di Colombo e altri (2012), dove Pisa risulta prima città italiana per qualità della vita, citato per questo dall’amministrazione uscente in campagna elettorale, stima attraverso il prezzo delle case e i salari, il valore monetario che i cittadini danno a vari servizi e condizioni ambientali. Noi crediamo che il livello di ben-essere e di ben-vivere non possano essere valutati in termini monetari e quindi attraverso la stima di prezzi impliciti.

Per questa ragione le proposte programmatiche che abbiamo presentato tendono a incidere direttamente sul ben-essere e ben-vivere di chi la città la vive. In questo programma definiamo un’altra idea di città in cui si pone la cooperazione, la solidarietà, la democrazia dal basso e un rinnovato welfare municipale come principi fondanti di un nuovo “comune”. La tutela del diritto alla cittadinanza e la difesa della giustizia sociale, una battaglia per i beni comuni che riparta dall’applicazione dei risultati del referendum sull’acqua pubblica e si estenda a scuole, università e biblioteche, la lotta al consumo del territorio, ai grandi interessi immobiliari e finanziari, agli intrecci distorti fra macchina comunale e aziende partecipate, l’opposizione alla mercificazione dell’ambiente, la promozione di una cultura della pace, non sono solo slogan, ma vogliamo che diventino pratiche quotidiane anche dell’amministrazione comunale.

La lista ‘una città in comune’ ritiene che la promozione di criteri etici, sociali ed ambientali debba imperniare i compiti della nuova amministrazione. Per questo il Comune deve proporsi come primo consumatore critico, innanzitutto attraverso la predisposizione di un manuale integrato per il rispetto dei suddetti criteri nei consumi diretti della pubblica amministrazione, ma anche nella produzione di beni e servizi dati in gestione ad altri soggetti.

Siamo convinti che anche sul tema dell’equità e della lotta all’esclusione sociale il Comune debba invertire la rotta rispetto all’indirizzo della giunta precedente. In questo senso proponiamo il bilanciamento delle tariffe e delle imposte locali in base alla situazione reddituale, patrimoniale e lavorativa; l’introduzione di aliquote progressive nell’addizionale IRPEF e di una soglia di esenzione. Un nuovo sistema integrato di tariffe che dia tutele alle classi sociali più in difficoltà. Un maggior risparmio delle famiglie meno abbienti, incoraggia i consumi con ricadute positive sull’occupazione e promuove l’inclusione sociale riducendo i fenomeni di marginalità.

Riguardo alla lotta all’esclusione sociale proponiamo di orientare i servizi per aumentare l’autonomia delle persone a rischio riorganizzando la presa in carico delle persone in difficoltà che ora sono destinatarie di meri interventi assistenziali integrando le prestazioni sociali con le politiche attive del lavoro, della casa, dell’educazione in progetti integrati e individualizzati coordinati dall’assistente sociale. Per fare questo, il sistema della cooperazione di tipo B (inserimenti lavorativi) deve essere rafforzato. L’amministrazione deve assegnare una parte dei servizi alla cooperazione sociale privilegiando le realtà che coniugano la solidiarietà con le scelte etiche ed ecologiche.

Equità e solidarietà passano anche dal diritto alla casa. A Pisa ogni anno vengono eseguiti centinaia di sfratti, mentre nella vigente graduatoria comunale per l’assegnazione di case popolari vi sono 1.130 famiglie e circa mille hanno fatto richiesta di un contributo per potere pagare l’affitto di libero mercato che a Pisa. Non è sufficiente aumentare il numero delle case popolari, occorre utilizzare il rilevante numero di abitazioni private sfitte senza giustificato motivo. A tale scopo non basta penalizzare fiscalmente i proprietari di abitazioni sfitte, ma occorre favorire i proprietari, con aliquote IMU agevolate, affinché concedano i loro immobili al Comune tramite il potenziamento dell’Agenzia Casa, finanziata con parte delle entrate provenienti dall’IMU, per farli da questa sublocare alle famiglie bisognose di casa indigenti, facendo pagare un canone sociale compatibile coi redditi familiari percepiti. Tuttavia se i proprietari di grandi patrimoni abitativi sfitti (enti pubblici, banche, assicurazioni o privati) non avessero intenzione di concedere “spontaneamente” (beneficiando delle agevolazioni fiscali concesse) le loro abitazioni tenute vuote senza motivo, il Sindaco deve ricorrere alla requisizione in uso (prevista anche dall’art. 835 del Codice Civile) per fare fronte all’emergenza abitativa esistente e per rispettare la “funzione sociale” che l’art. 42 della Costituzione attribuisce alla proprietà privata.

Riguardo alla salute, il Comune deve assicurare la fruizione dei diritti senza aspettare che solo il cittadino informato vada a reclamarli. Questo progetto si realizza attraverso una rilevazione integrata  dei bisogni di salute che tenga conto anche dell’analisi delle disuguaglianze e che rilevi anche i  determinanti della salute  (esempio dati sull’ambiente, sull’istruzione, sul reddito, ecc.) e una ridefinizione dei servizi orientandoli al  superamento delle disuguaglianze dell’accesso al sistema sanitario con il potenziamento di interventi comunitari proattivi.

Il Comune deve inoltre rivolgere un’attenzione particolare alla costruzione della pace a Pisa che deve passare innanzitutto dal rifiuto di un modello culturale fondato sulla delega e sull’accondiscendenza passiva allo status quo. È necessario dare a tutti coloro che abitano la città strumenti per percepire la violenza diretta ma anche quella culturale e strutturale insita ad esempio in un sistema istituzionale, e rifiutarne la legittimazione acritica, immaginando soluzioni e alternative nonviolente. Questa operazione è quanto mai necessaria a Pisa, città tradizionalmente caratterizzata da una forte presenza militare, che ne influenza tuttora lo sviluppo territoriale ed umano.

Ci proponiamo per questo di costituire un Assessorato alla Pace, ai Beni Comuni e alla Partecipazione, di formare la polizia municipale di Pisa alla gestione creativa e nonviolenta delle situazioni di tensione, di costruire un programma di “alfabetizzazione” alla gestione nonviolenta dei conflitti per bambini e ragazzi, di potenziare l’attuale polo di studi sulla pace presso l’Università di Pisa.

Riguardo alla tutela degli ecosistemi siamo convinti che si debba lavorare all’interno dell’area vasta pisana in collaborazione con gli altri comuni. La piana dell’Arno tra Pisa e Pontedera è ormai un susseguirsi di nuovi insediamenti, senza una vera e percepibile soluzione di continuità. Alla stessa sorte sta andando incontro la piana che divide Pisa dal Monte Pisano, con lo spettro di perdere per sempre, oltre alla bellezza paesaggistica, la possibilità di utilizzare le terre per altri scopi, per primo quello a cui sono naturalmente destinate, il mantenimento dell’ecosistema e la produzione agricola.

Un primo lavoro che riteniamo necessario è quello di documentare con precisione il consumo di suolo nel Comune di Pisa, e metterlo in relazione a quello dei territori limitrofi. Questa discussione dovrebbe essere avviata con la redazione del Piano Strutturale d’Area, innovazione urbanistica potenzialmente interessante ma che risulta essere una scatola vuota. Fino a oggi è stato uno strumento costruito intorno a scelte già prese (una su tutte l’inutile Tangenziale Nord Est, disastrosa per il territorio). Per riuscire a far questo siamo convinti che sarà necessario e indispensabile rinunciare ad alcuni progetti, e per questo proponiamo da subito misure cautelative come la moratoria sulle nuove costruzioni e il vincolo sulle aree agricole dando una maggiore priorità proprio alla salvaguardia del territorio.

Il Comune si renderà promotore di politiche pubbliche volte a favorire la diffusione di un’agricoltura locale, su piccola scala, praticata con metodi produttivi agroecologici, attenta al mantenimento della biodiversità rurale e naturale e della fertilità del suolo. In particolare privilegiando l’accesso alla terra per nuovi produttori locali ecosostenibili, favorendo i mercati contadini, diffondendo la cultura dell’autoproduzione del cibo e la nascita di orti urbani e sociali, sviluppando sistemi di apprendimento per bambini ed adulti sulle questioni del cibo. Le collettività devono avere il diritto a mantenere ed elaborare le proprie capacità di produrre i propri alimenti di base nel rispetto della diversità e tradizioni culturali. Oggi già alcuni stati, specialmente del Sud del Mondo, hanno inserito il concetto di sovranità alimentare nella loro costituzione.

Un’altra scommessa importante sarà quella di rendere maggiormente fruibile, sempre in chiave del turismo sostenibile, la fascia retrostante del litorale, considerando anche i gravi problemi di erosione che ancora oggi non sono stati arrestati e che rischiano di diminuire l’attrattività di un turismo esclusivamente balneare. Aumentare l’offerta alternativa può essere strategico per mantenere un afflusso turistico anche negli anni a venire. La qualità ambientale è infatti il punto di forza del Litorale Pisano, che presenta: una importante biodiversità marina, essendo inserito nel Santuario dei Cetacei e contiguo alla Riserva Marina delle Secche della Meloria; un’area boscata di centinaia di ettari a ridosso dei tre centri di Marina di Pisa, Tirrenia, Calambrone, S. Rossore in gran parte all’interno del SIC “Selva Pisana” e dell’omonima Riserva della biosfera; un’importante sistema dunale che costituisce un habitat che altrove è stato distrutto per oltre il 90%. Le dune di Tirrenia e Calambrone, le più alte del Parco, ospitano paesaggi e specie di notevole interesse scientifico e estetico. Anche se parzialmente compromesso dalla massiccia presenza di stabilimenti balneari, questo patrimonio, ormai raro nel resto dell’Europa mediterranea, può diventare, se adeguatamente gestito, una risorsa per prolungare la durata della stagione turistica, incrementare il turismo verde e naturalistico e il turismo scolastico, accrescendo le occasioni di permanenza, in una collaborazione fra Comune, Parco e Università. Per far questo occorre creare un Centro Informativo sul mare, a Tirrenia o a Marina di Pisa; incrementare la rete ciclabile e i sentieri; favorire la mobilità treno-bici con le stazioni di Pisa e di Tombolo; realizzare percorsi didattici e Orto Botanico delle dune.

In cambio, le concessioni sugli arenili e nelle aree retrostanti, che dovranno essere riviste per gli obblighi imposti dalle direttive comunitarie, dovranno essere riequilibrate rispetto agli spazi per la libera fruizione, garantire a tutti il libero accesso al mare anche questo un bene comune sempre più a rischio, e al loro interno dovranno essere mantenute aree naturali di collegamento evitando di spianare spiagge e dune, in modo da favorire la presenza delle specie di flora e fauna locale.

2. Quali strumenti pensa siano utili per sostenere i sistemi economici locali? Quale ruolo per le imprese sociali? Come incentivare i campi delle energie rinnovabili, della mobilità, della logistica e del turismo sostenibili, dell’ agricoltura ecologica?

 

L’amministrazione uscente ha creduto di sostenere l’economia locale attraverso le concessioni edilizie e il sostegno alla grande distribuzione, aderendo così a una visione dello sviluppo economico liberista e conservatrice. Dare spazio e garanzie ai grandi capitali che investendo sull’area dovrebbero produrre ricadute positive anche sul locale – il cosiddetto trickle-down. Un meccanismo che ha sempre redistribuito pochissima ricchezza, permettendo l’accumulo di enormi capitali nelle mani di pochi attraverso la rendita e producendo parallelamente enormi costi sociali, e quindi una perdita di ricchezza per il territorio ormai insostenibile. Noi ci opponiamo fermamente a questa visione dello sviluppo economico, convinti che si possono ottenere grandi vantaggi sociali ed economici promuovendo le piccole attività economiche locali, con un’attenzione particolare alle condizioni del lavoro e della sostenibilità.

Anche in questo senso ci opponiamo a uno sfruttamento senza criterio delle aree pubbliche e private a favore delle multinazionali che ambiscono ad appropriarsi di un’ulteriore fetta di mercato a discapito delle aziende locali. Ne sono esempi lampanti, lo sbarco nell’area dei Navicelli – area destinata alla nautica – di Ikea e il proliferare di negozi monomarca legati alle grandi multinazionali europee e internazionali. Ripartire dal locale permette di riportare le reti diffuse sul territorio a essere un elemento qualificante nel sostegno alle attività economiche, aprendo alla possibilità di offrire prodotti a costi sostenibili e di qualità. Crediamo inoltre che il Comune debba decidere preventivamente quali sono i criteri per accogliere nuovi insediamenti produttivi, inserendo valori improntati alla tutela dei diritti del lavoro e al rispetto dell’ambiente.

A tal proposito, siamo convinti che nel predisporre il Piano Strutturale dell’Area Pisana si debba tenere conto in modo integrato sia delle ricadute lavorative che della valutazione di impatto ambientale complessivo in rapporto a quello sociale ed economico. Attraverso questi criteri sarà possibile individuare i settori nei quali investire per portare nuove opportunità lavoro nei territori, favorendo l’apertura di attività produttive legate a settori ad alto contenuto tecnologico, capaci di incidere sul terreno del risparmio energetico, delle nuove energie, del recupero, riutilizzo e riciclo dei materiali. Il comune dovrà inoltre Favorire il riutilizzo delle aree industriali e artigianali dimesse, secondo i principi stabiliti dall’art. 42 della nostra Costituzione, trasformandole in centri di produzione, artigianale o di co-working.

La nostra proposta di uno stop alle alienazioni degli immobili e dei terreni comunali si muove in questa direzione. Costruiremo percorsi per assegnare questi spazi a usi abitativi e per attività economiche a fini sociali. Per prima cosa proponiamo il censimento e la pubblicazione di tutte le proprietà pubbliche totalmente o parzialmente inutilizzate, e la definizione dei criteri di valore sociale per le attività economiche inserite nel percorso (condizioni di lavoro, compatibilità ambientale, contesto sociale). Il patrimonio pubblico può diventare un volano per una transizione sostenibile e la rivitalizzazione della città e del territorio. Innovare i processi produttivi sperimentando anche nuove forme di lavoro come il coworking per mettere in comune e combattere direttamente impoverimento e precarietà.

Per rilanciare il commercio e l’artigianato proponiamo, inoltre di istituire una Carta che promuova acquisti trasparenti e locali, che mettano in rete esercizi di prossimità, dando sconti, per contrastare evasione e caro vita. Queste reti saranno in grado di recuperare e promuovere i vecchi mestieri contribuendo al riuso e alla riparazione con un impatto positivo sulla riduzione dei rifiuti.

Partendo dai terreni comunali, si devono prevedere forme di assegnazione a soggetti singoli e associati che producano colture di qualità, valorizzando le produzioni locali e biologiche, inserendo percorsi sociali e cooperativi per incentivare un’attività agricola di prossimità. Si tratta di stabilire nuove forme di gestione del patrimonio agricolo dismesso in chiave produttiva ma anche sociale e culturale, sulla base degli esempi offerti dalle esperienze di orti e giardini condivisi, del ritorno dei giovani verso l’agricoltura di qualità e biologica, dei gruppi di acquisto e delle esperienze di servizi educativi e sociali in campo agricolo.

Da non tralasciare l’importanza dell’accesso e dell’uso pubblico delle aree agricole anche come spazi verdi e luoghi di uso e produzione culturale. Questa integrazione su suolo agricolo di pratiche produttive e di servizi alla città e alla cittadinanza, trasforma i terreni periurbani in un luogo per la sperimentazione di nuove forme di imprenditoria sociale, in grado di contribuire alla riduzione della disoccupazione e alla implementazione dei servizi.

Dobbiamo inoltre prevedere una riflessione di area vasta e di concerto con i Comuni limitrofi per costruire un vincolo di destinazione sui terreni agricoli. Tali terreni, pubblici e privati, presentano, dal punto di vista della potenzialità produttiva agricola, una realtà del tutto particolare e contraddittoria, stretta da una parte dalle opportunità offerte dagli sbocchi di mercato della città, dall’altra dall’inibizione dovuta all’alto valore fondiario dei terreni che costituisce una potente “rendita di posizione” e dunque con il rischio costante di essere utilizzati a fini edificatori.

 

Le città sono i luoghi dove si consuma una buona fetta (più di un terzo) dell’energia prodotta dal paese. Come indicano ormai tutte le politiche comunitarie e non solo, la riqualificazione dell’edificato in chiave di risparmio energetico deve essere una priorità. Deve essere colta l’occasione per ridare qualità, bellezza e benessere nei luoghi del vivere quotidiano. Anche in questo campo l’amministrazione uscente ha realizzato alcune cose, come l’allegato energetico al Regolamento Edilizio, ma senza riuscire a dare quella svolta necessaria. Non si possono realizzare documenti e poi chiuderli nei cassetti: vanno vissuti, messi in pratica per primo dal pubblico per dare l’esempio, comunicati alla cittadinanza. Non solo, devono essere riorganizzati gli uffici in funzione dei nuovi obiettivi, ad esempio seguire anche la progettazione degli interventi più significativi realizzati in città. Questo non è stato fatto, nemmeno quando esplicitamente richiesto come nel caso del Piano d’Azione per l’Energia Sostenibile (PAES) che pure il Comune di Pisa ha approvato.

La sfida è quindi quella di migliorare radicalmente la qualità edilizia dell’esistente, riducendo drasticamente il fabbisogno di energia, e aumentando la quota di autoproduzione tramite le fonti rinnovabili. Questo obiettivo si potrà raggiungere solo monitorando i risultati degli attuali strumenti (Regolamento Edilizio) e modificandoli in base alle migliori esperienze ormai consolidate del nostro paese. Promuovere iniziative congiunte con i professionisti del settore e gli operatori del settore edile deve essere al centro dell’agenda, mentre organizzare fiere una tantum e poco significative non ha ricadute concrete sulla città. In particolare concentrandosi sulle peculiarità del nostro abitato: Pisa può diventare un laboratorio dell’innovazione nel campo delle ristrutturazioni efficienti degli edifici storici.

 

Pensiamo a una città ricca di grandi e piccole aree verdi, tematizzate con diverse funzioni per renderle vive, e per poterle gestire al meglio: aree sportive, giochi, orti sociali, strutture per la didattica ambientale, fattorie urbane. Ci sono molte esperienze realizzate, in Italia e in Europa, dobbiamo portarle anche nella nostra città attraverso la realizzazione di un piano urbano delle aree verdi.

La manutenzione e la cura autogestita dai cittadini dovrà essere un altro strumento importante per risparmiare sui costi ma soprattutto per stimolare la responsabilità e la cura dei propri luoghi da parte di tutti. Proponiamo la promozione di percorsi partecipativi, di quartiere e di città, per la progettazione, le gestione e la piccola manutenzione delle aree verdi esistenti, a cominciare dal Parco di Cisanello, patrimonio verde conquistato dalle battaglie dei cittadini e delle associazioni e che dovrà essere progettato a partire dalle loro esigenze. Prendendo spunto da altre esperienze, come quella di Rivalta di Torino, verrà realizzato un albo del volontariato civico, in modo da dare tutele assicurative e mezzi a coloro che si impegnano nella cura degli spazi comuni.

Le periferie avranno bisogno di un’attenzione particolare proprio sulla qualità dei luoghi, perché in questi anni sono state abbandonate al loro ruolo di porte di accesso della città, e hanno sofferto l’aumento esponenziale del quotidiano pendolarismo automobilistico, strette tra i comuni limitrofi e il centro inaccessibile. In particolare riprogettare le principali arterie di accesso alla città in modo che non dividano in due i quartieri, ma siano realmente attraversabili da tutti. Ogni periferia dovrà avere un percorso di collegamento con il resto della città dedicato alla mobilità sostenibile.

Il litorale pisano, dalla foce del fiume Arno a quella dello Scolmatore, i suoi tre centri abitati, la pineta, gli arenili, fino addirittura al mare, con lo sciagurato progetto del rigassificatore off-shore, sono stati visti e governati in questi anni solo in chiave turistica e produttiva. Basti pensare al cantiere per il porto turistico di Bocca d’Arno, progetto di per sé avulso dall’abitato di Marina e dal suo ambiente, gestito ignorando completamente i problemi e le ricadute sulla comunità locale, fino a provocare allagamenti e danni ingenti.

Se il turismo è senz’altro una vocazione importante per questa parte del nostro territorio, deve essere improntato alla qualità dei luoghi e degli insediamenti abitativi, non al turismo che consuma e lascia poco sul territorio. Per far questo è importante che si cominci a stabilire nuovamente quel legame con il resto della città, tutelando al contempo le peculiarità naturalistiche e paesaggistiche. Uno strumento fondamentale per questo scopo è quello di riconnettere i centri abitati tramite il mezzo pubblico, riportando in vita, in chiave moderna, quella infrastruttura tanto cara ai pisani: la tramvia Pisa-Marina-Tirrenia-Calambrone, con l’obiettivo di ricongiungere a questa linea anche la città di Livorno, elemento fondamentale per rendere più sostenibile economicamente l’opera e per alleggerire ulteriormente dal traffico automobilistico. Questo potrebbe portare nuova vita sul litorale anche fuori dalla stagione estiva, e rendere più agevole la vita dei suoi abitanti, senza pesare eccessivamente sull’ambiente. Anche da un punto di vista del turismo questo rappresenta un’occasione importante per aumentarne la fruibilità, sia di lungo che di breve periodo. Riteniamo che alla realizzazione dell’opera debbano contribuire anche tutti quei soggetti privati che hanno costruito nuovi insediamenti lungo la direttrice Pisa-Litorale (P. Mare, La Vettola, S. Piero, Marina, Tirrenia, Calambrone) e che hanno aggravato il problema del traffico, in uno spirito di giusta collaborazione e condivisione degli oneri.

Rilanciare il turismo significa rilanciare il tessuto cittadino, in termini anche di reale rilancio delle attività e del lavoro a esse connesso, dove l’attenzione all’informazione e alla comunicazione verso il turista deve essere più curata, dove la “ricchezza” nasce da arte e cultura non commercializzate, e accessibili a tutti, che invitino il turista a rimanere più a lungo. A ciò è strettamente connessa un’adeguata offerta culturale che metta a sistema tutto l’esistente sia in città che fuori.

L’amministrazione comunale si deve impegnare a sensibilizzare le strutture ricettive e i gestori dei luoghi di interesse turistico ad attivare percorsi di eco-sostenibilità, avviando un processo che porti Pisa e i suoi dintorni ad attrarre un turismo di qualità, sostenibile, ecologico, accessibile e piacevole per tutti.

Tutti i gli obiettivi sopra espressi saranno realizzati grazie anche al coinvolgimento della rete locale di realtà produttive che esprimano i valori e gli scopi si sostenibilità, equità, rispetto dei diritti dei lavoratori. A tal proposito una menzione particolare va fatta riguardo alle imprese sociali che da anni sono attive sul territorio cittadino, la cui attività economica ha per oggetto la produzione e lo scambio di beni e servizi di utilità sociale e di interesse generale. Il sostegno a queste realtà ed il loro coinvolgimento dei processi produttivi, permette di migliorare i servizi offerti dall’amministrazione e di agire politiche attente non solo all’accumulo di capitali, ma anche alla funzione sociale che anche il sistema produttivo deve avere. Il sostegno a questi percorsi passa anche da strumenti di finanza etica che discutiamo nella domanda 7.

3. Quali politiche intende promuovere per la sostenibilità dei trasporti?

 

Si tratta di proporre un cambio drastico di priorità. Prima marciapiedi, piste ciclabili e trasporto pubblico. Poi le auto. Per i primi due capitoli la cosa più urgente ci sembra quello di rendere veramente fruibile ciò che già c’è: un piano straordinario di manutenzione dei marciapiedi e delle piste ciclabili esistenti. Perché abbiano sempre dimensioni idonee, non finiscano nel nulla, gli attraversamenti siano tutelati. Per far questo proponiamo una ricognizione generale e l’individuazione degli interventi mediante la consultazione con cittadini e associazioni. Poi sarà importante completare le ciclabili di penetrazione periferia-centro, che dovranno costituire delle vere e proprie arterie ciclabili.

Per quanto riguarda il trasporto pubblico il nostro obiettivo è la gratuità, ma nell’immediato proponiamo: di rimettere in discussione a livello regionale le politiche che stanno mettendo in crisi le compagnie di trasporto pubblico (compagnia unica), rafforzando invece il coordinamento tra i Comuni dell’area pisana, con cui attualmente “c’è guerra sul tema”; l’aumento delle frequenze negli orari di punta, in particolare delle linee extraurbane: comuni limitrofi, parcheggi scambiatori, che devono diventare dei luoghi di scambio con la bici (bike sharing, parcheggi chiusi, ecc.). Aumento delle esclusioni dalle tariffe per le fasce “deboli”: si riduce la conflittualità a bordo (fasce deboli che non hanno il biglietto), si risparmia sul controllo e l’emissione dei biglietti, si aumenta l’utilizzo “non previsto”. Aumentano anche i gettiti pubblicitari (per il maggior utilizzo). Il trasporto pubblico “pesante” si deve concentrare sulle grandi direttrici e sul collegamento con i comuni limitrofi, per la città privilegiare: bici, pedoni, e implementare trasporto pubblico a chiamata, specifico per alcune categorie svantaggiate.

Privilegiare il ferro, statisticamente più efficace e più “attraente”. Ma al contempo evitare spese folli come il progetto di busvia attuale stazione-ospedale (1 ponte nuovo, tre sottopassi, sovrappassi, ecc.). Vanno imposti dei risultati ai Mobility manager che per legge devono essere presenti nelle grandi aziende: Università, AOUP, ecc. devono pensare e contribuire alla mobilità dei loro dipendenti. Il Car pooling va incentivato, diffondendo i siti di scambio e creandone anche uno istituzionale (se utile), ma non può essere imposto, in alcune situazioni è impossibile. Car sharing va incoraggiato e favorito, ma non lo può pagare il comune, deve rimanere un’iniziativa privata. La mobilità elettrica non è una priorità: è sicuramente utile, diminuisce l’inquinamento (soprattutto acustico) ma sposta altrove il problema attraverso le emissioni climalteranti. In una città come Pisa, le bici devono avere la priorità assoluta.

4. Come si posiziona sulla dibattuta questione del ‘People Mover’?

 

69 milioni di euro per coprire un chilometro in linea d’aria. Applicando il criterio della sobrietà sarebbe assurdo. Questo è il primo motivo per il quale siamo fermamente contrari al People Mover. Un’opera faraonica di scarso impatto sulla città che non risolve i problemi del quartiere di San Marco-San Giusto.

Nei piani, come ormai siamo abituati a sentirci dire, il progetto è a costo zero per la collettività, 27 milioni di euro dall’Unione Europea, 42 dalla Leitner di Vipiteno (provincia di Bolzano) che ha vinto il bando per la realizzazione dell’opera. La stessa azienda dovrebbe rientrare dall’investimento attraverso la concessione della gestione del traffico passeggero per i prossimi 30 anni.

Come abbiamo imparato però il project financing è rischioso. Nell’operazione Sesta Porta ad esempio, il Comune è stato costretto a stanziare 8.220.000 euro per pagare la nuova sede della Sepi. Anche il prezzo del biglietto ad oggi previsto a 2,5 euro per corsa pone forti dubbi sulla sostenibilità dell’operazione. Passeggeri che spendono meno di 7 euro per andare a Firenze dovrebbero pagarne 2,5 per andare alla Stazione di Pisa. Inoltre, questo intervento non riunifica il quartiere San Marco-San Giusto diviso dalla ferrovia.

Dobbiamo riconoscere che l’amministrazione uscente è stata capace di presentare e vincere progetti europei (fondi PIUSS in particolare) portando risorse sul territorio. Crediamo che il vero errore siano stati i progetti presentati che mirano ad aumentare le rendite di posizione di grandi aziende (la SAT in questo caso) invece che migliorare la qualità della vita.

Come abbiamo scritto nel programma vogliamo aumentare la qualità del mezzo pubblico investendo in progettazione di nuovi linee tramviarie, come la Pisa-Tirrenia-Calambrone: le priorità su cui concentrare l’attenzione e la progettualità, in ricerca dei finanziamenti regionali e comunitari devono essere quelle di garantire il diritto alla mobilità a quante più persone possibili, anche agendo per gradi. Il contrario cioè, di quanto fatto con il People Mover, “utile” solo alla competizione tra aeroporti nell’attirare i vettori aerei internazionali, che ha attirato ingenti investimenti regionali e europei, ma che non risolverà alcun problema alla mobilità locale, e che non sarà proseguibile in altre direzioni, visto il sistema di trazione del tutto particolare, e la cui sostenibilità finanziaria, come si diceva, è tutta da verificare.

 

Potevamo e dovevamo ottenere finanziamenti europei per rafforzare la mobilità sostenibile, per realizzare veri interventi nelle periferie, per effettuare interventi che aumentano l’inclusione sociale. E’ questo che ci proponiamo di cambiare. Trovare fondi per investire direttamente sulla qualità della vita di tutte le persone che vivono in questa città.

5. Come giudica i provvedimenti presi dalla giunta uscente espressi nella delibera 33 del 19 marzo 2013 con oggetto: Creazione di uno spaccio locale di filiera corta presso la stazione Leopolda? Ritiene praticabile quel tipo di esperienza per un piccolo agricoltore?

 

La proposta è insostenibile per un piccolo-medio agricoltore. Facendo un calcolo approssimativo si chiede ad un produttore di pagare da subito una quota di ingresso alla bottega di 300 euro più un canone di affitto affitto annuo superiore ai 1.000 euro, più il 20% su tutte le entrate. Inoltre, i prezzi dovrebbero essere uguali a quelli alla fattoria senza considerare dunque gli aumenti dei costi per il trasporto e per il lavoro. Non è questo il modo con cui si può incentivare la filiera corta. Ed infatti la bottega, che avrebbe dovuto inaugurare all’inizio di maggio, è chiusa, nonostante la convenzione sia stata approvata a marzo come si ricorda nella domanda. Le responsabilità dell’amministrazione nella gestione di questa vicenda sono gravi. Prima di tutto chiedere 18.000 euro di affitto per lo spazio, e in più assegnare direttamente ad un soggetto lo spazio senza valutare se quella proposta avrebbe permesso di rispettare gli obiettivi del bando, ovvero sostenere attraverso la creazione di uno spaccio locale la filiera corta.

Vale la pena ricordare che per questo progetto il comune ha ottenuto 50.000 euro di finanziamento dalla Regione. Proponiamo quindi che il Comune riduca fino al 95% il canone di affitto per il gestore, liberando così risorse per ridurre i canoni richiesti ai produttori. Il comune deve inoltre, rivedere le regole per l’assegnazione, tenendo conto di criteri etici, sociali e ambientali. Se il gestore attuale non è in grado di fare una proposta che sia davvero in grado di favorire la diffusione della filiera corta, il comune deve procedere ad affidare lo spazio ad un altro soggetto.

Questo esempio è l’emblema della mancanza di trasparenza da parte del comune nei rapporti con le associazioni, continuando ad alternare bandi ad hoc per l’assegnazione di spazi e servizi, e assegnazioni dirette. Quando ci troveremo ad amministrare la città, le regole saranno uguali per tutti e saranno trasparenti. Inoltre il Comune deve immediatamente smettere di fare cassa sulle associazioni chiedendo affitti insostenibili e ridando contributi sempre sulla base di criteri e modalità poco trasparenti. Non è così che si promuove l’associazionismo che a Pisa è un fenomeno di dimensioni rilevanti e che ha un ruolo fondamentale per la vitalità e la vivibilità della città. Allo stesso modo la promozione della filiera corta dovrà necessariamente essere preceduta da un’interlocuzione con i produttori direttamente interessati al fine di comprenderne a pieno le esigenze e predisporre gli adeguati strumenti di sostegno.

6. Quali politiche intende adottare per lo sviluppo della filiera corta nonché per la riduzione dei rifiuti e degli sprechi di cibo, anche in riferimento alle mense scolastiche?

 

Siamo convinti che il territorio di Pisa, ricco di maestranze e tradizione, debba ritrovare percorsi di filiera corta e produzione locale in grado di riattivare il tessuto connettivo del lavoro. Ciò può essere fatto facendo anzitutto leva sulle reti dal basso, sui movimenti e sulle associazioni che da anni operano nel territorio. Siamo convinti che i processi di filiera corta creino un volano sul territorio provinciale e regionale in quanto, anche quando non utilizzano direttamente prodotti locali, si rivolgono comunque ad aziende di distribuzione poste sul territorio toscano.

La filiera corta deve essere sostenuta partendo da un piano di rilancio dell’agricoltura locale. Partendo dai terreni comunali, si devono prevedere forme di assegnazione a soggetti singoli e associati che producano colture di qualità, valorizzando le produzioni locali e biologiche, inserendo percorsi sociali e cooperativi per incentivare un’attività agricola di prossimità. Si tratta di stabilire nuove forme di gestione del patrimonio agricolo dismesso in chiave produttiva ma anche sociale e culturale, sulla base degli esempi offerti dalle esperienze di orti e giardini condivisi, del ritorno dei giovani verso l’agricoltura di qualità e biologica, dei gruppi di acquisto e delle esperienze di servizi educativi e sociali in campo agricolo. Il controllo del rispetto dei criteri e il miglioramento delle pratiche coinvolgerà i quartieri, creando così una continua partecipazione alla diffusione di pratiche virtuose. In questo contesto le vecchie sedi delle circoscrizioni possono giocare un ruolo cruciale, diventando veri presidi territoriali delle pratiche di altraeconomia, aperte ai cittadini, alle iniziative e al confronto.

Il Comune dovrà giocare un ruolo di rilievo nella promozione della filiera corta. Proponiamo che il Comune adotti l’utilizzo di Denominazioni Comunali d’Origine (DECO) in modo da identificare e favorire prodotti e produzioni locali. La Denominazione Comunale lega in maniera stretta un prodotto o una produzione al luogo di origine storico. Riguardo al rapporto produzione, distribuzione e consumo di cibo, il Comune deve rafforzare la collaborazione con le esperienze e le realtà innovative presenti sul territorio ed in particolare con il Laboratorio di Studi Rurali Sismondi che già negli ultimi anni svolge un ruolo attivo con la Provincia di Pisa nel progetto denominato “Piano del Cibo” e con gli organi che già lavorano su questi temi come la Commissione Mensa di Pisa.

Il ruolo attivo dei comitati dei genitori e le politiche del comune in merito agli sprechi di cibo nelle mense scolastiche hanno raggiunto dei risultati importanti. Sono state applicate le linee guida ministeriali (LARN). Il Comune deve riuscire in un monitoraggio quotidiano per migliorare l’applicazione di questi criteri. Dobbiamo però riconoscere i progressi avvenuti, sia sul lato degli sprechi che del miglioramento qualitativo.

L’introduzione di prodotti biologici e locali nelle mense scolastiche può essere incentivato attraverso la costituzione di una rete di produttori locali che si impegnino a fornire una produzione sufficiente per i circa cinquemila pasti quotidiani. Nonostante i miglioramenti, devono essere monitorati i risultati della gestione unica del servizio di refezione, in termini di vantaggi economici reali, ma anche delle condizioni di lavoro del personale all’azienda concessionaria (Elior Ristorazione).

La riduzione della produzione dei rifiuti deve essere un obiettivo centrale della prossima amministrazione. La chiusura dell’inceneritore non più rimandabile, il passaggio alla TARES, gli obiettivi in termini di raccolta differenziata chiamano ad un forte ripensamento della produzione e dello smaltimento dei rifiuti.

È necessario prima di tutto fare una scelta coerente che non può prescindere dall’individuazione di un unico sistema di raccolta che per noi non può essere che quello domiciliare. La raccolta porta a porta deve essere estesa a tutti i cittadini, facendo pagare quanto viene effettivamente prodotto. Ma non basta: è necessario anche progettare le merci in modo che siano facilmente riciclabili, avere sul territorio impianti di recupero moderni ed efficienti, diminuire la produzione di rifiuti incentivando il recupero e modi diversi di consumo: sì all’acqua di rubinetto, sì alla vendita di prodotti alla spina e con meno imballaggi, sì al vuoto a rendere, sì al riuso di beni ancora utilizzabili.

Solo così possiamo finalmente liberarci di inceneritori e discariche, dal loro consumo di suolo e dal loro inquinamento, ma non solo: si libereranno risorse economiche in grado di creare nuovi posti di lavoro ad alto contenuto tecnologico nell’industria del recupero e della progettazione di nuovi materiali e merci. Il recupero di materiali di buona qualità, possibile solo con la raccolta porta a porta, è infatti anche economicamente conveniente.

La strategia “rifiuti zero” non è campata per aria o semplicemente visionaria, è l’unico modo realistico per accogliere le sfide dell’Unione Europea: diminuzione della produzione di CO2, garantire un uso efficiente delle risorse, diminuire il consumo di suolo, tutelare la salute dei cittadini, l’ambiente e la biodiversità, creare lavoro qualificato.

Per questo oggi chiediamo che il piano interprovinciale dei rifiuti preveda non la “ristrutturazione” dell’inceneritore, ma la sua chiusura definitiva e l’adozione della strategia “rifiuti zero”. L’inceneritore di Pisa è un impianto obsoleto che necessita di lavori importanti se vuole continuare a essere operativo. Ma gli inceneritori necessitano di continua alimentazione di rifiuti e impediscono di fatto la loro diminuzione. Sono quindi il più forte disincentivo alla strategia “rifiuti zero”.

Una nuova politica sui rifiuti dovrà parlare di ribaltamento delle priorità, di stop agli inceneritori e alle loro emissioni, ma anche di riuso, di scambio, di riciclo, imparando tanto dalle esperienze dei Gruppi di Acquisto Solidale, cercando di estenderle a tutta la popolazione.

7. E per una filiera corta anche sul risparmio e gli strumenti finanziari? Cioè quali politiche di incentivazione di proposte che sperimentino strumenti di finanza etica e che vadano a beneficio di attività economiche presenti nel territorio perseguendo obiettivi armonici con l’economia solidale?

Una ricaduta pesante della crisi finanziaria sull’economia reale è la difficoltà (e la quasi impossibilità) di accedere al credito per piccole imprese in particolare per i nuovi progetti o per quelli in difficoltà. Anche nel campo del credito l’amministrazione comunale può svolgere un ruolo di coordinamento innovativo, teso a sostenere le esperienze che rispondono a criteri di sostenibilità e solidarietà. Inoltre la proposta di utilizzo del patrimonio pubblico per attività economiche con valore sociale contribuirà a ridurre i prezzi dei fondi aumentando l’offerta di spazi.

Nella consapevolezza che uno dei maggiori problemi legati alla possibilità di aprire nuovi esercizi commerciali è legato al costo elevatissimo dei fondi commerciali, pensiamo sia opportuno costruire percorsi di sostegno, fondi rotativi, attraverso i quali il Comune fa da garante, stanziando un fondo di partenza, a chi non è bancabile, ossia a quei soggetti che le banche reputano non possano offrire sufficienti garanzie, e vuole avviare un’attività, inserendo anche in questo caso clausole volte all’alto valore sociale, ambientale, alla filiera corta e al recupero di antichi mestieri.

Alcuni esempi di questo tipo sono già presenti sul nostro territorio. La convenzione stipulata tra Caritas, enti pubblici e Banca Etica prevede un fondo di garanzia per il sostegno economico collegato a programmi di natura socio-assistenziale che viene triplicato dalla banca. Proponiamo che queste forme di accesso al credito siano estese a programmi per la creazione o il sostegno di micro e piccole imprese per finanziamenti di piccoli importi, privilegiando quelle di carattere sociale e di economia solidale.

All’interno dei vincoli dell’art. 3 della L. 244/07, riteniamo che il comune debba ristabilire la sua partecipazione simbolica all’interno di Banca Popolare Etica, proprio per sottolineare il ruolo necessario nella produzione di servizi finanziari etici che questa realtà sostiene sul territorio. Non a caso, l’associazione ‘Pisa in Comune’ che sostiene le attività della nostra lista ha deciso di attivare il conto corrente per le sottoscrizioni alla lista presso Banca Etica.

8. Quali strumenti e risorse intende mettere a disposizione dei GAS e dei movimenti che ruotano attorno all’economia solidale, per incrementarne le potenzialità e allargarne il bacino di utenza?

 

Le pratiche sperimentate e sviluppare dai Gruppi di Acquisto Solidale rappresentano un patrimonio di esperienze alle quali ci siamo ispirati nella stesura del programma, anche confrontandoci con tradizioni che non avevano una forte sensibilità a questi temi. Abbiamo cominciato a costruire una visione comune per una transizione equa e sostenibile della nostra città. E continueremo a farlo anche dopo le elezioni, confrontandoci direttamente con i GAS, e tutte le reti che vorranno partecipare a questo confronto. Come abbiamo detto più volte la nostra incursione eretica nella competizione elettorale ha senso solo se continuerà a produrre una partecipazione sempre più larga nei prossimi anni.

Nelle nostre esperienze all’interno delle associazioni cittadine abbiamo imparato quanto sia importante il valore dell’autonomia, dell’autogestione. Sostenere e supportare queste iniziative come ci impegniamo a fare concretamente non significherà mai ridurre gli spazi di autonomia. Per questo crediamo che il primo intervento fondamentale è quello di mettere a disposizione spazi per la distribuzione dei prodotti di filiera corta della rete, ma anche per le attività legate al riuso, al riciclo, alla riparazione degli oggetti, alle iniziative culturali legate alle pratiche di sostenibilità. Mettere a disposizione palestre per praticare l’economia solidale.

Va in questa direzione la nostra proposta di riaprire i locali delle ex-circoscrizioni alla cittadinanza, istituendo centri di reale partecipazione interni ai quartieri. Per poter riavvicinare i cittadini alla gestione della città, per incoraggiarli a frequentare i luoghi di tutti, pensiamo che per prima cosa sia importante riportarci funzioni concrete, che aiutino i cittadini ad affrontare i problemi della vita quotidiana. Nel percorso che sarà avviato da subito, relativo all’individuazione della migliore forma di gestione condivisa degli spazi e dei percorsi decisionali, fino ad arrivare ai bilanci partecipativi, pensiamo di iniziare da restituire ai cittadini spazi di fruizione pubblica e comune. Con questo scopo i Centri di Città, operando di concerto con le altre realtà sociali presenti nei quartieri (circoli), saranno a disposizione per attività autogestite come: supporto nella distribuzione dei beni acquistati dai Gruppi di Acquisto Locale di quartiere; recapito di oggetti sempre funzionali ma non più utili al proprietario; luoghi in cui siano esposti tutti i progetti promossi dall’amministrazione comunale su cui sia possibile chiedere informazioni; biblioteche dal basso, gestite da associazioni e gruppi di interesse. I locali saranno inoltre disponibili per iniziative ricreative e di socializzazione, culturali e politiche promosse da gruppi di cittadini. Tutto questo crediamo sia coerente con le prospettive dei Gruppi di Acquisto Solidale, che crediamo devono portare ad un ripensamento generale del modello di consumo nella nostra città.

 

Oltre agli spazi crediamo che il cambiamento degli stili di vita deve passare attraverso l’educazione. Le scuole giocano un ruolo centrale in questo contesto. Formazione che può diventare reale attraverso le visite guidate ai produttori e alle fattorie didattiche, a corsi organizzati assieme alle associazioni e alle reti che si mettono a disposizione di questi percorsi.

Il Comune dovrà infine promuovere ed incentivare l’utilizzo e la distribuzione di prodotti di filiera corta e biologici, di materiale riciclato in tutte le manifestazioni organizzate sul proprio territorio, sia direttamente che indirettamente, facendo anche in questo modo conoscere l’importanza dell’agricoltura di qualità, della tutela dell’ambiente, della riduzione della produzione dei rifiuti.

9. Conosce alcuni progetti attivati dal Distretto che, nonostante si sia giuridicamente costituito nel marzo scorso, opera da diversi anni sul territorio? Ad esempio, la Rete di Approccio Sostenibile alla Salute (RASAS) o quello della Comunità Agricola di Promozione Sociale (CAPS)? Come pensa di incentivare tali progetti o altri che perseguano simili obiettivi?

 

Conosciamo direttamente il progetto CAPS, in quanto due dei nostri candidati ne sono stati soci fondatori, e indirettamente il progetto RASAS. Crediamo che siano da sperimentare ed incentivare le forme associative che mirano alla creazione di rapporti economici basati sulla solidarietà e sulla condivisione di obiettivi comuni tra produttori e consumatori/utenti, e che sono così capaci di rompere gli schemi “tradizionali” del rapporto di mercato. All’interno della CAPS si va dunque oltre il concetto di produttore e consumatore, e oltre la mercificazione dell’agricoltura.

Il piccolo produttore agricolo, che diviene esso stesso un socio della CAPS e un suo dipendente, è così escluso dal ricatto degli intermediari e dal rischio d’impresa dovuto alla variabilità climatica. Questi progetti consentono di recuperare terreni agricoli e competenze contadine.

Dall’altro lato gli altri soci ottengono una parte dei prodotti mettendo, oltre ad una quota sociale mensile, una piccola parte del proprio tempo a disposizione dei campi. E’ un modo per imparare e trasmettere l’esperienza del contadino, ma anche di capire in prima persona le difficoltà della produzione agricola. Si formano così relazioni e si accresce il capitale sociale della comunità.

L’esperienza concreta ha dimostrato come sia difficile trovare terreni disponibili adatti alla produzione agricola, crediamo che le nostre proposte di assegnare i terreni agricoli comunali per attività a fini sociali possa semplificare e incentivare progetti come questo. Non solo, anche l’idea di vincolare le aree agricole può ridurre significativamente il costo dei terreni, e incentivare i privati a non lasciare campi incolti. Dare una nuova centralità alla produzione agricola locale, vuol dire rilanciare un settore importante per il territorio, ma anche sperimentare nuove forme associative che determinano, come nel progetto CAPS, un miglioramento evidente delle condizioni di lavoro.

In base alle esigenze, si possono pensare anche forme di sostegno finanziarie. Il Comune potrebbe chiedere alle Comunità Agricole di Produzione Sociale di farsi promotrici di percorsi di formazione con le scuole in cambio di un sostegno finanziario che possa aiutare almeno inizialmente il fiorire di questo tipo di progetti. Come sappiamo la CAPS si sta già muovendo nella direzione di sviluppare progetti con le scuole, come abbiamo sottolineato più volte in queste risposte, la diffusione di forme di economie solidali deve passare anche dai percorsi formativi delle ragazze e dei ragazzi.

Riconosciamo il valore della rete per l’approccio sostenibile alla salute, che mette in rete operatori di svariate discipline e fruitori dei servizi cercando di assicurare l’accesso alla salute. Anche il Comune deve svolgere un ruolo proattivo nelle politiche sanitarie, monitorando i bisogni e assicurando il diritto alla salute a tutti. Riguardo alla libertà di accesso alle cure, riteniamo che purtroppo oggi esiste un limite di accesso in base al reddito, per cui da un lato il SSN deve garantire il diritto alla salute, dall’altro, questo tipo di esperienze potrebbero fornire attraverso lo svolgimento delle proprie attività informazioni utili per migliorare effettivamente il servizio sanitario. Il Comune dovrà promuovere l’organizzazione di momenti di incontro e discussione tra la RASAS, la popolazione e gli operatori istituzionali. Le ex-circoscrizione che proponiamo siano aperte a tutti e un vero presidio di partecipazione ed economia solidale nei quartieri possono diventare il luogo ideale anche per sperimentare forme di confronto e di indirizzo degli interventi.

10. Qual’è la sua posizione nei confronti della relazione con gli animali non umani? Come si pone, in generale verso lo sfruttamento e la sofferenza degli animali non umani definiti “da reddito” o di altri gruppo animali utilizzati dall’uomo per varie finalità (per esempio circhi, sperimentazione animale, allevamenti di animali domestici in aree protette, caccia…)?

Tenendo presente una visione pluralista noi affermiamo che, come tutti gli esseri viventi, anche gli animali non umani, in quanto esseri senzienti, debbano avere i loro diritti tutelati e condurre una vita dignitosa. Tutti siamo a conoscenza che gli animali da reddito negli allevamenti intensivi sono costretti ad una vita di sofferenza insopportabile; noi crediamo che anche questi animali abbiano diritto ad essere trattati in modo degno fino al giorno della loro morte per cui caldeggiamo la proliferazione di allevamenti estensivi dove gli animali possano vivere in condizioni dignitose e di benessere. La logica del mercato, naturalmente, favorisce gli allevamenti intensivi dove gli animali vengono spesso fatti crescere più velocemente di quanto sarebbe in natura, somministrando ormoni (es. i polli di allevamento), dove vengono somministrati quantità massicce di antibiotici e persino psicofarmaci. Noi crediamo che l’educazione ad una corretta alimentazione sia essenziale per cambiare queste logiche: meglio mangiare meno carne, se proprio non se ne può fare a meno, che mangiare carne avvelenata da farmaci e ormoni e proveniente da animali che hanno condotto una vita di sofferenza.

Gli allevamenti intensivi sono anche insostenibili da un punto di vista ambientale e tendono ad aumentare i prezzi di cereali ed altri beni di prima necessità con conseguenze drammatiche in termini di equità tra Nord e Sud del mondo.

Crediamo che il modo attraverso tendere alla riduzione del consumo di carne sia quello dell’educazione scolastica. Come abbiamo già ricordato, la cultura del cibo può essere uno strumento importante nel cambiamento degli stili di consumo, e può indurre una riduzione del consumo di carne con una conseguente sostituzione di proteine vegetali per quelle animali. La Commissione Mensa sta già facendo un lavoro importante per mettere in pratica questi temi che riguardano l’etica, la sostenibilità e l’equità, riducendo il numero dei piatti a base di carne.

Diverso è il discorso per gli allevamenti di animali da pelliccia. In Italia esistono ancora allevamenti di questo tipo di visoni e cincillà. Crediamo fortemente che questi allevamenti vadano chiusi definitivamente riconvertendo le aziende in altro tipo di attività.

Per la tutela della dignità e del benessere degli animali affermiamo il divieto assoluto dell’utilizzo di animali di qualsiasi tipo (e soprattutto cuccioli) in circhi, mostre itineranti e fiere. Se pur contrari alla vendita di animali in negozi e bancarelle delle fiere locali chiediamo che vengano rispettate rigidamente le leggi che tutelano gli animali in vendita secondo cui dovrebbero essere rispettate le dimensioni delle gabbie e le ore di esposizione. Non è più possibile vedere cuccioli di cane di gatto o di qualsiasi altra specie esposti a qualsiasi ora del giorno anche a temperature elevatissime e senza nessun riparo!

Siamo contrari alla caccia, quello che chiediamo è però il rigido rispetto delle leggi in materia con particolare attenzione alle specie protette, ai migratori alle distanze dalle abitazioni. Vogliamo che mai più si verifichino episodi come l’uccisione degli Ibis eremita di San Vincenzo la cui perdita è stato un danno irreparabile per la comunità scientifica e per il mondo intero. Crediamo che vadano aumentate le pene sanzionatorie a danno dei bracconieri e di chi elimina specie rare e protette o usa metodi di cattura crudeli come reti, tagliole e trappole.

Abbiamo forti dubbi sulla necessità e validità della sperimentazione animale e la consideriamo eticamente problematica. In ogni caso affermiamo che debbano essere effettuati rigorosi controlli in base alle leggi vigenti, sia dei protocolli di sperimentazione, sia del mantenimento degli animali negli stabulari, sia sulle giustificazioni che spingono tale sperimentazione.

Finalmente l’UE ha vietato la sperimentazione sugli animali dei prodotti cosmetici, sperimentazione che ha inflitto fino ad ora agli animali inutili sofferenze e dall’11 marzo nei 27 Paesi dell’Unione europea è entrato in vigore il divieto di vendita dei prodotti cosmetici testati sugli animali. Crediamo che anche l’Industria farmaceutica, così come l’industria cosmetica debba intraprendere, dove possibile, un cammino di innovazione verso nuove forme di sperimentazione che non prevedano più l’uso di animali.

 

Anche nelle aree urbane, la tutela degli animali deve diventare una delle questioni da affrontare. In città mancano diverse strutture che potrebbero facilitare i cittadini e i turisti possessori di cani: sarebbe opportuno creare in ogni quartiere aree attrezzate per la sgambatura dei cani, corredate di fontanella per l’acqua e distributore di sacchetti per la raccolta delle deiezioni dei cani. L’amministrazione si può fare inoltre promotrice della messa a sistema dei servizi che già oggi esistono, cercando di aumentarli verso un servizio di Ambulanza Veterinaria disponibile 24h per poter soccorrere gli animali feriti e ammalati, una sala operatoria al Canile Municipale che sia funzionante.

 

 

 

 

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