Saremo a Roma il 9 luglio: ecco perché

Il 28/6 su “Il Manifesto è stato pubblicato “Le Città in comune sono un modello o un ostacolo?”, un appello lanciato da Sandro Medici, Fabio Alberti e Adriano Labbucci che propone per il 9 luglio un incontro a Roma delle liste di sinistra e delle comunità sociali  che le animano.

 

Noi “Città in Comune” lo siamo già dal 2013, la nostra lista di cittadinanza ha partecipato per la prima volta alle elezioni amministrative del comune di Pisa in coalizione con il Prc, prendendo contro ogni pronostico l’8% ed eleggendo così due consiglieri comunali.

 

Parteciperemo all’incontro di sabato, per portare alla discussione le potenzialità, i successi e le difficoltà della nostra esperienza locale. Un percorso, a dire il vero, che ha intercettato in questi anni tante e tanti, sin dalla scorsa stagione elettorale: esperienze sociali e liste di cittadinanza che in numerose città d’Italia da tre ormai siedono in Consiglio comunale, fanno opposizione senza balletti, producono atti ispettivi, avanzano proposte e stanno a fianco dei movimenti sociali.

 

Per non cedere alla tentazione di ripartire sempre da zero e per non cadere nel pericolo ben sottolineato dal documento di Medici, Alberti e Labbucci “che le realtà più consapevoli e dinamiche, quelle più legate alle pratiche sociali, quelle più intellettualmente esigenti, rischiano di essere schiacciate, se non disperse”, è opportuno ricordare che proprio a Pisa nel novembre del 2013, a seguito della tornata di elezioni amministrative, era nata la “Rete delle città in comune”. Era una rete che ha avuto diversi momenti di incontro nazionale; liste e movimenti di cittadinanza uniti per un’altra idea e un’altra pratica di città, che tanto per cominciare avevano tre punti fermi: disobbedienza al patto di stabilità, rigenerazione e valorizzazione sociale del patrimonio immobiliare in disuso, difesa dei beni comuni e dei servizi pubblici.

 

Pisa, Firenze, Ancona, L’Aquila, Brescia, Brindisi, Messina, Feltre, Imperia, Roma (con le esperienze di Repubblica Romana e Sinistra per Roma), Siena, Gioiosa Ionica, avevano iniziato a condividere e confrontarsi sulle buone pratiche amministrative, provando a creare forme di cooperazione, cercando risposte plurali ma collettive alla crisi economica, sociale e democratica che colpisce sempre più le nostre città e i suoi abitanti, stretti tra i tagli agli enti locali e i vincoli feroci del patto di stabilità. Non era la nascita di un nuovo partito né la chiamata alle armi gridata da personaggi politici di spicco: medie e piccole realtà locali si mettevano “in comune” per costruire anticorpi, processi creativi e forme di resistenza collettiva al diritto alla città negato alle cittadine e ai cittadini dalle politiche di austerità e speculazione.

 

Già tre anni fa eravamo convinti che occorreva ripartire dalla crescita progetti municipali alternativi e connetterli l’uno con l’altro, perché questo era lo spazio politico per programmi “in comune”, e  non quello delle alleanze di centro-sinistra o degli ‘accrocchi’ elettorali privi di anima e immaginazione.
A distanza di tre anni e tenendo a mente quel percorso, se riprendiamo la domanda posta nell’appello proposto da Medici, Alberti e Labbucci (le città in comune sono oggi un modello o un ostacolo?), non possiamo non rispondere senza ipocrisia e giri di parole. Molti di coloro che oggi annunciano di voler ripartire dalle città e dalle municipalità percepirono, tre anni fa, quella esperienza come un ostacolo per le proprie strategie nazionali, spesso intrise di opportunismi e tatticismi, e sempre più prive di qualsiasi discussione sui contenuti. Per quella Rete e per il lavoro quotidiano che a Pisa portiamo avanti, i programmi non sono una variabile dipendente dalla propria collocazione in consiglio comunale, per cui se si governano le città con il Pd si vota di fatto a favore dei piani di alienazione del patrimonio pubblico, si sgomberano gli spazi sociali o i campi rom, si esternalizzano gli asili nido, e se si è invece all’opposizione si grida allo scandalo.

 

Tutto ciò non ha nulla a che vedere con il minoritarismo, riguarda invece l’eterna lotta, da un lato, tra l’autonomia e l’audacia politica, dall’altra tra la subalternità e il tatticismo. Ma riguarda anche l’accrescersi di una consapevolezza e di una pratica faticosa e antica, e tuttavia centrale, per riacquistare credibilità e peso tra cittadini e cittadine: il ruolo di controllo, di denuncia e di proposta alternativa svolta da una opposizione che non si piega ai ricatti delle compatibilità e dei poteri forti.

 

L’eresia amministrativa delle Città in comune per noi ha senso se è quotidianità dentro e fuori le istituzioni e non un tentativo costruito a tavolino, e quindi già di per sé fallimentare,  per “ricomporre la sinistra”.

 

In quest’ottica e per questo rispondiamo positivamente all’appello che è stato lanciato, abbiamo voglia e urgenza di crescere, di restare in ascolto e collegamento tra compagne e compagni, cittadine e cittadini, di attivare una rete di pratiche di monitoraggio e controproposta rispetto alle politiche locali: contatti, scambi di saperi, radicamento nel territorio al fianco dei movimenti, presenza concreta nelle vertenze conflittuali sui temi dei servizi, della casa, dell’ambiente, del lavoro, dei diritti.

 

‘Le Città In Comune’ esisteranno, se esistono nei territori come insieme concreto di persone, bisogni, desideri: strumento di ascolto e condivisione tra comunità sociali, movimenti, collettivi e liste di cittadinanza già nate o lievemente abbozzate; ‘cassetta degli attrezzi’ di pratiche di resistenza e controproposta pronte all’uso; spazio politico di elaborazione e azione, plurale e sempre in progress ma coeso nei chiari intenti e nei valori comuni.

 

Se invece saranno concepite come vessillo da sbandierare o come tentativo di conciliare ceti politici in disaccordo, saranno solo l’ennesimo disastro della sinistra italiana.

 

Ciccio Auletta e Marco Ricci, consiglieri comunali Una città in comune Pisa

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