Un protocollo d’intesa per non applicare il Jobs Act negli appalti pubblici

Le lavoratrici e i lavoratori in appalto sono tra i più vulnerabili nel mercato del lavoro attuale. A parità di mansioni vengono spesso pagati meno dei colleghi assunti direttamente; subiscono l’estrema precarietà dei periodici rinnovi dell’appalto; nel passaggio da un appalto all’altro rischiano di perdere il posto o i diritti acquisiti in termini di condizioni contrattuali e livelli salariali; la loro salute e la loro sicurezza sono meno controllate; i loro settori sono tra quelli più esposti alla penetrazione dell’illegalità e della criminalità organizzata.
La diffusione del lavoro in appalto è andata di pari passo con il ricorso sistematico, da parte del settore privato ma anche della pubblica amministrazione, alle esternalizzazioni dei servizi. La pratica del cosiddetto “massimo ribasso d’asta” ha operato in molti casi, comprimendo in maniera inaccettabile il costo del lavoro e imponendo ritmi di lavoro insostenibili, per stare dentro l’offerta più competitiva. Negli enti locali, il ricorso sempre più ampio alle esternalizzazioni e ai lavori in appalto è stato determinato dalle difficoltà finanziarie causate dalla riduzione lineare dei trasferimenti statali e dall’applicazione del patto di stabilità interno, producendo effetti negativi sui servizi offerti oltre che sulle condizioni di lavoro. Nella stragrande maggioranza dei casi, le lavoratrici ed i lavoratori degli appalti pubblici hanno svolto continuativamente le proprie mansioni nello stesso ente per moltissimi anni, configurandosi di fatto come organici all’ente stesso, contribuendo in maniera sostanziale alla sua funzionalità.
Su questo pezzo di mondo del lavoro, già estremamente precario, dal marzo 2015 si è abbattuto il Jobs Act: a conclusione dell’appalto, i lavoratori possono venire di fatto licenziati e poi riassunti, in assenza di clausole sociali, col nuovo “contratto a tutele crescenti” ovvero per i primi anni senza la tutela contro i licenziamenti senza giusta causa, prima tutelati dall’articolo 18 per quanto fortemente indebolito dalla “riforma Fornero”. Inoltre, il nuovo Codice degli appalti considera facoltativa l’adozione delle cosiddette “clausole sociali” ovvero di quegli accordi che dovrebbero garantire continuità occupazione e livelli acquisiti di reddito nei cambi d’appalto.
A fronte di questa situazione, il nostro gruppo intende farsi promotore di una mozione in Consiglio Comunale per aumentare il livello di diritti e di tutele dei lavoratori e delle lavoratrici negli appalti pubblici, del Comune e di altri enti del territorio. Per questa ragione avanziamo tre proposte concrete, su cui chiediamo alla maggioranza e alle altre opposizioni di misurarsi: 1. avviare un monitoraggio costante sugli appalti dei servizi in scadenza per prevenire possibili esuberi e/o situazioni di crisi; 2. avviare una valutazione complessiva degli appalti dei servizi in atto, dal punto di vista della qualità dell’occupazione e del servizio offerto, così come dei costi totali, come premessa per la possibile re-internalizzazione dei servizi stessi; 3. elaborare un protocollo di intesa che, tramite la cooperazione tra i diversi soggetti istituzionali, stabilisca forme di programmazione e complementarietà dei servizi tali da salvaguardare e, ove possibile, incrementare i posti di lavoro e i livelli salariali, estendendo e rinforzando la cosiddetta “clausola sociale”, evitando la pratica del massimo ribasso nelle gare d’appalto anche là dove consentita dalla legge e prevedendo esplicitamente la non applicazione del contratto di lavoro a tutele  crescenti (Jobs Act) nei cambi d’appalto.
Una città in comune
Partito della Rifondazione Comunista

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