Una lettera aperta al Terzo Settore pisano – di Maria Rosaria Lacatena

Sono un’operatrice sociale, e lavoro in questa città da circa vent’anni.

Ho collaborato con  le Amministrazioni Floriani e Fontanelli, ed ho assistito a molti cambiamenti.

Il tempo presente è segnato dalla crisi: chi si occupa di politiche sociali deve fare i conti con l’azzeramento delle risorse nazionali e con una grande sofferenza dei bilanci locali ( il Fondo Nazionale per le Politiche Sociali è passato da 929,3 milioni del 2008 a 44.6  del  2013).

Tempi duri, su questo non c’è dubbio.

Bene hanno fatto i Comuni della Zona Pisana  a compiere un atto di responsabilità e ad aumentare la quota capitaria per finanziare la rete dei servizi socio sanitari. Noi di “una città in comune” siamo ragionevoli e sappiamo che queste decisioni marcano la differenza tra un governo locale di centro sinistra e uno di destra.

Però, però… può la sola crisi giustificare una regressione culturale come l’abbiamo vista a Pisa in questi anni? Io sono convinta di no.

Durante la costruzione del programma e nelle discussioni pubbliche di questi giorni, sono emersi due nodi significativi, che indicano in modo chiaro la direzione involutiva delle politiche di cittadinanza di questo comune, e sono fortemente connessi.

In primo luogo, con la stagione dei tagli, sono stati azzerati i luoghi di ascolto e di partecipazione: noi crediamo che proprio in una fase regressiva rispetto alle risorse, le esperienze di confronto fra cittadinanza attiva e governo locale debbano essere potenziate e valorizzate. Come si può infatti, dimensionare nuovamente il sistema dei servizi senza rilevare in modo puntuale i bisogni di salute della comunità e fissare obiettivi coerenti, condivisi e partecipati?

In secondo luogo, l’assenza del confronto largo con la comunità ha prodotto una cultura di chiusura da parte dell’amministrazione, che ha rafforzato la percezione di insicurezza della cittadinanza, usandola  come metodo di costruzione del consenso.

Ci viene da pensare ad una lunga lettera aperta alle istituzioni pisane, in cui circa 180 operatori del terzo settore mettevano in relazione i tagli del 2009 con un modello di sicurezza “fatto di tagli al sociale e investimento nel presidio poliziesco del territorio”. E, più avanti: “La diffusa percezione dell’insicurezza è il principale indicatore di un malessere sociale, complesso e multiforme che va accolto, orientato e ricomposto all’interno di uno spazio pubblico”.

Chiediamo scusa agli operatori se li citiamo senza averli consultati. E’ che troviamo molto più interessante ricordare quel documento piuttosto che elaborazioni sicuramente più recenti, ma assai carenti di concretezza e prospettive.

E allora, chiediamo al terzo settore che si esprima, che si riprenda il proprio competente diritto di critica. Cosa ne pensano gli operatori che lavorano in strada, di un sindaco che di prassi interviene sui giornali per rivendicare la politica degli sgomberi e delle ordinanze?

Cosa si pensa di chi inteloquisce col Governo unicamente per chiedere più forze dell’ordine e  non usa la sua funzione istituzionale per denuciare la situazione drammatica delle risorse,  dimenticando che gli operatori delle cooperative  percepiscono stipendi del 30% più bassi rispetto ai loro colleghi del pubblico impiego?

Noi siamo coinvinti che si possa fare di più: quel laboratorio di innovazione e di coraggio che a Pisa ricordiamo tutti, è stato prima di tutto agito e voluto politicamente.

In quel tempo, pur in costanza dei tagli di Tremonti,  le risorse sono state trovate, banalmente perchè sono state caparbiamente cercate.

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