Le ruspe alla Bigattiera

Il Manifesto

Le ruspe alla Bigattiera
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Diriti negati. Più di cento persone cercano di non farsi sgomberare, nel campo che fu allestito dall’amministrazione comunale come “residenza temporanea” dei profughi dalla ex Jugoslavia.

La strada che porta al campo della Bigat­tiera è una pista di mon­ta­gne russe, sulle quali il fur­gone avanza len­ta­mente. I fari illu­mi­nano i cumuli di immon­di­zia nel sot­to­bo­sco della pineta, e poi la prima baracca di legno e lamiera. Quando si ferma il motore e si spen­gono le luci dell’auto, il mondo scom­pare. Non c’è ener­gia elet­trica, ed evi­den­te­mente oggi nes­suno ha com­prato la ben­zina per il gene­ra­tore. Più avanti un fuoco ali­men­tato ad aghi di pino illu­mina un gruppo di rom e di loro amici “gagè” (così chi è rom chiama chi non lo è). Si discute, come è tri­ste abi­tu­dine nel nostro paese, di sgom­beri, di diritti negati.
Sotto i pini, sul lito­rale pisano, abi­tano più di cento per­sone, appar­te­nenti a 28 nuclei fami­liari, con 38 bam­bini e bam­bine in età sco­lare. Sev­d­jie, Ramiza, Emsa, Emina, donne che por­tano sulla pro­pria pelle sto­rie di sof­fe­renza, donne che par­lano con l’accento toscano, gesti­co­lando, per spie­gare le avven­ture che le hanno por­tate a vivere in quell’oscurità. I loro figli sono nati a Pisa e della Mace­do­nia cono­scono a mala­pena il nome della capi­tale, mai vista, nep­pure in car­to­lina. Sì, per­ché nem­meno i geni­tori ci sono più tornati.
Molte di loro sono a Pisa già nel 2002, quando la con­fe­renza dei sin­daci della zona si inventa un ambi­zioso pro­gramma dal titolo “Le città sot­tili”, frutto di un’intuizione dell’assessore dies­sino Maca­luso. Con la col­la­bo­ra­zione della que­stura, ven­gono cen­siti i rom che abi­tano nel ter­ri­to­rio comu­nale per prov­ve­dere alla solu­zione del pro­blema abi­ta­tivo e per accom­pa­gnare adulti e bam­bini in un per­corso di inclu­sione: scuola, salute, lavoro, allog­gio. Qual­cuno però non è in città in quei giorni e rimane tagliato fuori per sem­pre dalla lista, come se i diritti dipen­des­sero dal giorno nel quale uno torna a casa.
Il pro­gramma prende comun­que forma. Nella fra­zione di Col­tano l’amministrazione comu­nale costrui­sce 17 alloggi, e decine di fami­glie sono aiu­tate con gli affitti. Gli scuo­la­bus accom­pa­gnano i bam­bini nelle scuole, gli ope­ra­tori aiu­tano i rom anal­fa­beti con le pra­ti­che sani­ta­rie e buro­cra­ti­che, la que­stura favo­ri­sce l’ottenimento dei docu­menti di sog­giorno. Le vie dei rom e dei “gagè” di Pisa sem­brano avvi­ci­narsi, le donne ini­ziano a sen­tirsi a casa loro. Non tutto va però per il verso giu­sto. Tro­vare lavoro è dif­fi­cile, e pagare l’affitto è impos­si­bile senza un lavoro. Pochi ita­liani affit­tano la casa ai rom, anche se il comune si offre come garante. Gli alloggi a dispo­si­zione sono quindi infe­riori alla necessità.
Nasce così il campo della Bigat­tiera, un ex cam­peg­gio di pro­prietà del Dema­nio. Il comune non sa dove met­tere alcune fami­glie sotto sfratto e le sistema – “tem­po­ra­nea­mente” – sotto la pineta. Nel 2008 poi l’amministrazione prende in affitto il ter­reno, allac­cia le utenze elet­tri­che e mette in fun­zione un auto­clave. Lo scuo­la­bus passa rego­lar­mente e la Bigat­tiera entra a far parte della stra­te­gia de “Le città sot­tili”, come solu­zione tran­si­to­ria in attesa di “repe­rire un’adeguata solu­zione abi­ta­tiva”, come dicono i docu­menti ufficiali.
La gente si costrui­sce barac­che di for­tuna, di legno e lamiera, e una capil­lare rete idrica di tubi di gomma che, dall’autoclave, porta in tutte le cucine. Molti rac­col­gono il ferro, svuo­tano can­tine, fanno lavo­retti. Poi il tempo passa e la giunta comu­nale cam­bia. Il Pd dimo­stra di avere al suo interno tutto e il con­tra­rio di tutto. Da Maca­luso e Fon­ta­nelli si passa a Cic­cone e Filip­pe­schi. Stesso par­tito, poli­ti­che oppo­ste. A tal punto che nel 2011 la giunta Filip­pe­schi decide che il campo va chiuso, uti­liz­zando una stra­te­gia di logo­ra­mento: se togliamo tutti i ser­vizi, se ren­diamo la vita impos­si­bile, la gente se ne andrà. Si comin­cia con i più deboli: i bam­bini. A otto­bre lo scuo­la­bus viene desti­nato ad altri ser­vizi, e a mag­gio 2012 l’elettricità viene stac­cata, e con essa l’autoclave. Si può vivere senza cor­rente elet­trica? I rom della Bigat­tiera dimo­strano che si può. Si vive male, si vive sem­pre peg­gio, ma si vive. Spe­rando magari che le anti­che pro­messe pos­sano avve­rarsi: una casa vera, un posto di lavoro, un futuro. Spe­rare non costa nulla e in que­sto i rom sono maestri.
Per for­tuna la città non è insen­si­bile, e si mobi­lita. Alcune asso­cia­zioni – Africa Insieme, Opera Nomadi, Pub­blica Assi­stenza, Asi­far, Pro­getto Rebel­dia e altre — rac­col­gono le firme su un appello. Par­titi di oppo­si­zione – la lista “Una città in Comune”, Rifon­da­zione, il M5S — e di mag­gio­ranza – Sel – si atti­vano in con­si­glio comu­nale. Ne deriva un odg che chiede il ripri­stino delle con­di­zioni minime per una vita digni­tosa, appro­vato all’unanimità il primo ago­sto 2013. Ma un anno dopo la situa­zione è iden­tica. Anzi peggiore.
Nelle ultime set­ti­mane le ruspe sono entrate nel campo per tirare giù le prime barac­che. Tra di esse quella che Sev­dje aveva costruito con tanti sacri­fici. Men­tre Nebia parla con­ci­tata: il comune l’ha con­vo­cata insieme ad altre fami­glie per risol­vere il suo pro­blema abi­ta­tivo. Ha dieci giorni per sce­gliere tra due pos­si­bi­lità: o si tra­sfe­ri­sce in Mace­do­nia, dove non cono­sce nes­suno, e aspetta i 200 euro di con­tri­buto al rim­pa­trio, o affida i figli ai ser­vizi sociali e poi cerca un affitto a prezzo di mer­cato. Stai tran­quilla, Nebia, poi te li ridanno, i figli. Sono i rom che rubano i bam­bini, non i gagè. O no?

Luca Randazzo

PISA, 27.12.2014

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