25 aprile: la normalità era il problema, riprendiamoci il futuro

Suona ironico il richiamo a una festa in giorni in cui sentiamo di avere così poco da festeggiare. Le ragioni per non vedere nella festa dei motivi di festa sono molte. In questo tempo eccezionale, completamente inusuale e fuori dai binari ordinari della vita a cui siamo abituati, celebrare il 25 aprile non è facile. Anche per questo i neofascisti e la destra nostalgica stanno provando l’ennesima operazione revisionista, cercando intenzionalmente e spudoratamente di travisare il significato di questa data.

È ancora più importante recuperare i significati e i contenuti nei valori autentici della celebrazione della Liberazione che possano parlare alla realtà d’oggi. Sono tanti anche i motivi per continuare a fare festa, anche nel 2020 anno del coronavirus. Il primo motivo è di ordine politico generale: per immaginare una riorganizzazione della società più giusta e vicina ai bisogni delle persone non possiamo prescindere dalle fondamenta costituzionali della nostra Repubblica, fondamenta gettate con la Resistenza e la lotta di Liberazione. Il lavoro come diritto e come elemento primario per il progresso della società, l’iniziativa economica che «non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana», la salute e la cultura come diritti fondamentali di tutti e tutte. Da questa tavola di valori dobbiamo ripartire: è necessario inventare nuove forme di lotta e nuove modalità di realizzazione, ma gli obiettivi a cui giungere sono già lì, scritti nella Costituzione italiana.

Un secondo motivo è di ordine psicologico, emotivo: di Liberazione sentiamo il bisogno. Siamo tutti isolati, le nostre «belle città date al nemico» sono vuote, spoglie, ognuno è chiuso nella propria dimensione domestica, gli incontri nelle rapide uscite sono spesso sfuggenti, colpevolizzati. C’è un enorme desiderio di poter tornare in strada, abbracciarci, dire che l’emergenza è finita. Ma così non è, né sarà ancora per molto tempo, nonostante gli allentamenti che verranno. Allora la Liberazione dobbiamo conservarla come obiettivo di lungo termine, come conquista da raggiungere con pazienza e intelligenza, senza perdere l’immagine di un domani in cui la libera socialità sarà finalmente di nuovo una cosa normale.

Ci sono poi altri motivi, di cui uno in particolare che emerge dal confronto storico. Nel 1943, 77 anni fa, il desiderio popolare di farla finita con la guerra e con il fascismo, espresso a chiare lettere con gli scioperi del marzo, portò il Gran Consiglio del Fascismo a decretare la fine di Mussolini e la consegna dei poteri al re, e quindi a Badoglio. Il 25 luglio si aprì la fase cosiddetta dei 45 giorni, in cui all’insegna della più ferma continuità istituzionale e politica gli apparati di potere tentarono di traghettare il paese dal fascismo al postfascismo, confermando la natura autoritaria e violenta dello Stato. La situazione era ormai talmente precipitata e compromessa che il tentativo non riuscì: la guerra voluta dal fascismo impediva ormai soluzioni di comodo, lo sviluppo del movimento resistenziale fu fondamentale nel marcare un cambio di passo nella vita politica italiana. L’anti-fascismo è stato la base per ricostruire il nostro paese, non il semplice post-fascismo.

Oggi abbiamo individuato i veri problemi della tragedia che sta sconvolgendo l’Italia nel liberismo sfrenato, nelle privatizzazioni alla sanità, nel taglio selvaggio ai servizi pubblici essenziali, nella svalutazione sistematica del ruolo fondamentale svolto dai dipendenti statali, ma anche in un rapporto tra uomo e ambiente dominato dalla logica predatoria ed estrattiva: cosa pensiamo di fare per un domani più giusto? Vogliamo che sia dominato da una semplice logica del post- ovvero “voltiamo pagina e ricominciamo a fare come prima”, o possiamo finalmente immaginarci un futuro arricchito da una logica dell’anti-, rompendo e ribaltando quell’organizzazione sociale ed economica che così tanti disastri sta provocando?

Il 25 aprile 1945 è stato un giorno carico di aspettative per un domani nuovo, migliore, non calato dall’alto né già prevedibile: abbiamo bisogno oggi di quella stessa energia, di quella stessa voglia di riprendere in mano il nostro destino, con lo sforzo e l’impegno di tutti e tutte, per tornare insieme a camminare e cantare per le strade.
Buon 25 aprile

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