Acqua pubblica: gli italiani hanno detto Sì, ma il Governo ha la memoria corta

Che fine ha fatto il referendum sull’acqua pubblica? Oggi sono 10 anni da quando gli italiani si sono recati alle urne per rispondere con due Sì e quasi all’unanimità (95,8%) ai quesiti referendari, decretando che l’acqua deve uscire dal mercato e non si può fare profitto sull’acqua. In questi 10 anni abbiamo avuto otto governi, ma nessuno si è azzardato a ripubblicizzare l’acqua.

E’ quindi importante oggi, celebrare il decimo anniversario di quel risultato storico. Siamo stati gli unici in Europa a chiedere un referendum sull’acqua e a vincerlo. Gli italiani non si sono lasciati ingannare, né dalla stampa, né dalle televisioni, né dai partiti schierati per la privatizzazione.

Questa conquista si è potuta realizzare grazie al lavoro capillare dei comitati che, con uno sforzo straordinario, si impegnarono ad informare i cittadini. Una delle iniziative più incisive fu la legge di iniziativa popolare, scritta dagli stessi comitati, che raccolse oltre 400mila firme. Questa fu l’anticamera della vittoria referendaria, raggiunta grazie alla capacità del movimento di fare rete, partendo dai comitati cittadini, dai coordinamenti regionali e dal Forum Italiano dei movimenti per l’acqua.

Ma, ad oggi, nonostante la storica vittoria del 2011, la politica è rimasta indifferente e non ha rispettato la decisione dei cittadini.

Inoltre ora dobbiamo confrontarci con il Recovery Plan di Draghi, che nella sostanza propone più privatizzazioni e meno democrazia. Il “governo dei migliori” e il Recovery Plan ci vengono propinati come la panacea del nostro paese che ci regalerà sviluppo e benessere. La realtà però ci racconta di un piano infarcito della stessa cultura liberista che ci ha condotto alla situazione attuale e che punta ancora alla privatizzazione dell’acqua.

Risulta decisamente peggiorativa, rispetto al passato, la cosiddetta riforma del settore idrico, che ora punta ad un sostanziale obbligo alla privatizzazione nel sud Italia, prevedendo addirittura la scadenza del 2022 per “un adeguamento alla disciplina nazionale ed europea”, che in realtà guarda alla costruzione di grandi soggetti gestori, sul modello delle società multiutility quotate in Borsa.

Se fosse confermato questo indirizzo, saremmo di fronte a un’impressionante accelerazione verso la privatizzazione a dispetto alla volontà popolare espressa chiaramente con il referendum del 2011.

D’altronde Draghi non ha mai nascosto la volontà di contraddire l’esito referendario visto che il 5 agosto 2011, in qualità di Governatore della Banca d’Italia firmò la lettera all’allora presidente del Consiglio Berlusconi in cui, tra le varie riforme strutturali, indicava come necessaria una strategia di riforme, inclusa la piena liberalizzazione dei servizi pubblici locali, da applicare in particolare alla fornitura di servizi locali attraverso privatizzazioni su larga scala.

L’attuale versione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) risulta in perfetta continuità con tali indicazioni e mantiene un’impostazione subalterna ad una logica privatistica, volta alla massimizzazione del profitto.
Per questo crediamo che sia necessario mobilitarsi, chiedendo la ripubblicizzazione del servizio idrico, così come previsto dalla legge per l’acqua pubblica, colpevolmente rimasta indiscussa da oltre due anni in Commissione Ambiente della Camera, oltre alla ristrutturazione delle reti idriche, al riassetto idrogeologico e alla messa in sicurezza del territorio.

Per questo ci uniamo ai comitati dell’acqua di tutta Italia, che oggi, 12 giugno, sono a Roma per manifestare e per accendere i riflettori sulla mancata applicazione del referendum da parte del governo italiano.

Una città in comune

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