Addio alla Toscana rossa Persi i quartieri popolari. “Siamo la sinistra delle Ztl”

martedì
26 giugno 2018
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II candidato sconfitto a Siena: “Per Renzi c’è un’antipatia diffusa”
II sindaco di Pisa di centrodestra: “Noi ci occupiamo della sicurezza”
Addio alla Toscana rossa Persi i quartieri popolari “Siamo la sinistra delle Ztl”

LA STORIA

Per non parlare di casi pittoreschi come il comunistissimo municipio di Lamporecchio (dal 75,1% del Pci al 35% del Pd) o come Capalbio, paesino simbolo dell’intellettualità chic di sinistra, dove il4 marzo il Pd è risultato il terzo partito. Con questo commento del sindaco Pd: «Il partito ha dimostrato dipensare più ai disperati provenienti da oltre mare che ai nostri cittadini inseguiti da Equitalia…».

Quella sera, in una piazzetta di Siena a due passi dal Campo, accadde un evento quasi invisibile, che però fece capire lo spirito del tempo. Mancavano poche ore alla fine della campagna elettorale e da una loggia ottocentesca l’ex ministro Carlo Calenda parlava, parlava, parlava. Davanti a trecento senesi. Le facce tradivano condivisione ma le mani restavano immobili. Neppure mezzo applauso. Diffidenza. Oramai sedimentata, istintiva tra gli elettori di sinistra. Quando Calenda finì, dalla piazza si alzò un battimani lunghissimo, quasi toccante. Ma un applauso “tardivo”. Come lo sono state anche le gite in “zona Cesarini” di altri notabili democratici (Paolo Gentiloni e Walter Veltroni) che non hanno inciso in modo significativo sul risultato elettorale in Toscana, dal 1946 una regione rossa, proverbialmente off limits per i nemici politici e che invece il 24 giugno 2018 ha consegnato alla sinistra italiana una delle giornate più tristi nella storia del dopoguerra.

Anzitutto perché Siena era la Bologna toscana: per 70 anni nella città del Monte e della munifica Fondazione gli avversari non avevano toccato palla, anche se negli ultimi tre anni erano caduti quasi tutti i comuni toscani, Arezzo, Carrara, Grosseto, Pistoia e ora anche Pisa e Massa.

Una batosta che interpella la sinistra ma parla a tutto il Paese perle conseguenze che ne derivano sull’assetto politico. Ovviamente si sommano cause di lungo corso e altre più recenti. L’ex sindaco di Siena, un gentleman come Bruno Valentini lo dice così: «Renzi? Risulta un’antipatia diffusa. Non so spiegarlo, ma è un dato di fatto». Difficile dimostrare un nesso diretto, ma certo il fiotto dei municipi toscani è iniziato da quando il fiorentino Renzi ha preso il partito in mano. Un vecchio saggio come il socialista Valdo Spini nota: «Dopo le sconfitte in città come Livorno, Carrara e Pistoia un partito si sarebbe dovuto chiedere: ma che sta accadendo? Si è aspettato che passasse…».

La sinistra del centro storico Prima delle elezioni Politiche, tutti i sondaggi segnalavano l’ascesa della Lega in alcuni quartieri popolari, un tempo rossissimi. In assenza di una reazione, così è stato. Per esempio al Cep di Pisa: «Qui abbiamo vinto noi – spiega il nuovo sindaco di Pisa Michele Contiperché abbiamo interpretato il disagio dei ceti popolari per la sicurezza, mentre la sinistra ha prevalso nel centro storico, nella città universitaria». Certo, quello del Pd come partito del ceto medio stabilizzato è un trend nazionale, ma in Toscana sta accadendo qualcosa di specifico. Spiega il professor Mario Caciagli che sul declino della cultura “comunista” ha scritto un libro importante, “Addio alla provincia rossa”: «Nel dopoguerra le tre regioni rosse, Emilia, Toscana e Umbria erano quelle col maggior numero di mezzadri. Loro, per anni, non dimenticarono le umiliazioni subite da contadini e quello spirito tramandarono ai propri figli, che pure erano diventati piccoli imprenditori. Ora quella “scia rossa” non c’è più. I nipoti hanno altro per il capo».

Anche la struttura sociale è diventata meno favorevole alla sinistra. Spiega Alfonso Musci, braccio destro del presidente della Regione Enrico Rossi: «Per decenni il lavoro in Toscana è stato fonte di reddito ma anche di identità: lavoro, dopolavoro e famiglia erano un tutt’uno. Il modello toscano era molta manifattura, distretti, capitalismo famigliare. Dagli anni ’90 le nuove contrattualizzazionihanno aumentato l’insicurezza, la robotizzazione ha diradato occupazione operaia e accresciuta quella di ingegneri, ci si è disancorati da una cultura del lavoro. A Piombino duemila addetti ai quali mancano diversi anni per la pensione potranno essere riassunti col Jobs act, mentre i loro figli non lavorano».

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