Amazon: in arrivo a Pisa un colosso dello sfruttamento

E’ notizia di questi giorni che Amazon, il colosso mondiale dell’e-commerce, aprirà un deposito nella zona di Montacchiello, nel comune di Pisa. Alcuni lavori sono già cominciati: l’area interessata, di proprietà della Forti Holding, è di circa 30 mila metri quadrati, un’area quindi molto vasta per un magazzino il cui bacino di utenza, comprendente le province di Pisa, Livorno, Lucca, Massa, La Spezia e la zona di Empoli, è calcolato intorno a 2,5 milioni di persone.

La notizia è arrivata a mezzo stampa, mentre negli ambienti comunali, che dovrebbero rilasciare a breve il permesso a costruire, trapela poco o nulla. A nostre precise richieste di informativa, l’Ufficio urbanistica ci ha risposto che al momento “non risultano depositate pratiche relative ad un possibile insediamento di Amazon in Ospedaletto”. I lavori in corso nella zona interessata, sempre a detta dell’Ufficio, sono in capo alla Ditta Forti Sviluppo Immobiliare, per opere di urbanizzazione.

Nei fatti, in una area in cui sono presenti migliaia di metri cubi abbandonati e vuoti, anche a causa della crisi, si costruisce, senza mai aver fatto un monitoraggio di quanto non è utilizzato, un nuovo mega scatolone alla faccia del consumo di suolo e della sostenibilità ambientale.

L’apertura sarebbe prevista nell’estate 2020 e le assunzioni sarebbero 200. Ma di quale tipo di lavoro parliamo? Non possiamo tacere e sorvolare, infatti, sul modello di organizzazione del lavoro che Amazon ha sdoganato in tutto il mondo.

Un’organizzazione del lavoro fatta di ritmi stressanti e di un controllo giornaliero costante. In nome della produttività e del profitto, le persone che vi lavorano si trovano, ogni giorno, a smistare 15/20 mila pacchi e a percorrere dai 10 ai 20 chilometri, in spazi grandi fino a 12 campi di calcio. Costretti a non parlare con nessuno durante l’orario di lavoro e a giustificarsi se vanno in bagno più di una volta nello stesso turno. Il tutto costantemente monitorato dal “Grande Fratello” aziendale: chi fa i pacchi è monitorato perché loggato a un computer, mentre chi va a prenderli usa uno scanner su cui si registra con il suo nome. Insomma, è come avere al polso un braccialetto elettronico. Ma del resto i manager devono poter calcolare con precisione i tempi di lavoro, perché se non si ha il “passo Amazon” si viene immediatamente affiancati da un responsabile che detta i tempi corretti per rientrare negli standard.

E’ bene quindi essere chiari: l’organizzazione del lavoro dentro Amazon, basata sullo sfruttamento di lavoratori e lavoratrici, a cui vengono sottratti anche i diritti più elementari, a fronte di profitti che nel quarto trimestre del 2019, sono saliti dell’8%, raggiungendo 3,27 miliardi di dollari – anche grazie alla possibilità ex lege di pagare per imposte meno del 3% dei ricavi allo Stato italiano -, è l’esempio più noto e lampante di quel modello. Un modello dannoso anche per il nostro pianeta, in piena emergenza climatica: ogni pacchetto viene trasportato fino a destinazione da un furgone che brucia combustibili fossili.

Un modello che non può dunque non avere ripercussioni negative sull’economia locale e pertanto il Comune di Pisa non può fare finta di niente e non valutare questi aspetti, quando un colosso come Amazon prova ad insediarsi all’interno del territorio comunale.

Diritti in comune: Una città in comune – Rifondazione Comunista – Pisa Possibile

Condividi questo articolo

Lascia un commento