Appello: Servono interventi per garantire salute e diritti per i detenuti

A circa una settimana dall’entrata in vigore delle misure previste dal Governo per affrontare l’emergenza sanitaria nelle carceri, non si vedono risultati apprezzabili. Dall’istituto penitenziario “Don Bosco” di Pisa, dove sono presenti circa 250 detenuti (a fronte di una capienza di 205 persone) forse, se va tutto bene, usciranno 10 detenuti.

Aspettando di capire come in una condizione di sovraffollamento sia possibile praticare il “distanziamento sociale”, apprendiamo dalla stampa che tra il personale sanitario e della polizia penitenziaria vi sono diversi casi di contagio. Al problema del sovraffollamento si somma quindi, drammaticamente, quello della sicurezza sui luoghi di lavoro.

Un problema non affrontato dal Decreto “Cura Italia”: ha ragione il quotidiano “Avvenire” a giudicare il provvedimento del Governo sull’emergenza sanitaria nelle carceri come “sciaguratamente miope”.

La montagna giustizialista e pavida ha partorito il topolino: dei due articoli dedicati al carcere, uno affronta la situazione delle persone in semilibertà prevedendo una licenza premio e l’altro dispone la detenzione domiciliare per chi ha pene o residui inferiori ai diciotto mesi. Esattamente il dettato di una norma ancora in vigore, applicata nella prassi delle esecuzioni delle pene addirittura dal 2010. E così potranno avere la possibilità di scontare la pena fuori dal carcere al massimo 3000 persone su tutto il territorio nazionale, non di più.

In ogni caso, non è possibile prevedere con esattezza i numeri, perché sia le licenze premio che la detenzione domiciliare devono essere valutati e concessi dal Magistrato di Sorveglianza. A questi tempi vanno sommati quelli relativi alla decisione della magistratura, e le inevitabili difformità in termini di valutazione e di applicazione.

L’ultima chicca riguarda la sperimentazione del braccialetto elettronico per l’esecuzione di pene definitive. Il Dipartimento avrebbe tempo dieci giorni per definire il quantitativo di braccialetti da mettere a disposizione e per suggerire altri “strumenti tecnici” per controllare chi sconta la pena fuori. I braccialetti non ci sono: i pochi in circolazione servono per le custodie cautelari in arresti domiciliari di “persone particolarmente pericolose”.

Il mondo dei e delle giuristi/e, degli operatori e delle operatrici, del volontariato aveva chiesto ben altro.

In primo luogo, come ha detto in più luoghi Francesco Maisto, ex Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Bologna, molti potrebbero già avere le carte in regola per l’applicazione automatica di misure alternative e deflattive, grazie al lavoro di osservazione e valutazione disposto dalle equipe degli istituti. Mauro Palma, il Garante Nazionale ha dichiarato che “Oggi, 22.881 persone potrebbero avere la misura alternativa, perché hanno una pena che va al di sotto dei tre anni.”

Ma c’è ancora altro.

Cosa ne sarà delle persone che pur avendo i requisiti per la detenzione domiciliare non hanno un alloggio e quindi restano in carcere?

Cosa ne sarà delle persone detenute a rischio sanitario? Da rilevazioni recenti, risultano in aumento i casi di hiv e tubercolosi: quali sono le misure di prevenzione previste?

E cosa ne sarà delle persone recluse in generale, che hanno interrotto i rapporti con le famiglie e che, salvo che in pochi istituti illuminati, mai potranno contattare i propri cari ricorrendo agli strumenti digitali?

Intanto, la Commissione Europea per la Prevenzione della Tortura scrive:
“qualsiasi restrizione dei contatti col mondo esterno, incluse le visite, deve essere compensata con un maggiore accesso a telefonate e comunicazioni via internet” e chiede alle autorità penitenziarie di prestare particolare attenzione “ai bisogni dei detenuti più vulnerabili – anziani e persone con problemi di salute – e di fornire a tutti in questo periodo maggiore sostegno psicologico”.

E quando tutto sarà finito, ricordiamoci di tutto quello che possiamo fare, anche sul piano locale, per non arrivare più a questo stallo pericoloso, che viola i più elementari tra i diritti umani, quello della dignità della persona umana. Citiamo ancora Mauro Palma, che ha sollecitato i Comuni a dare risposte al bisogno di accoglienza da parte di chi è scarcerabile, ma non ha una casa.
Il Comune di Pisa nel 2017 aveva approvato un articolato Atto di Indirizzo sulla base della relazione del Garante dei diritti dei detenuti che descriveva la condizione delle persone detenute nella Casa Circondariale Don Bosco come “illecita e infelice”. Nulla, assolutamente nulla è stato fatto. Vogliamo ripartire da qui?

Primi firmatari

Una città in comune
Rifondazione Comunista
Pisa Possibile
Associazione Controluce
Casa della Donna – Pisa

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