Beni comuni I cittadini si uniscono per salvare dal degrado l’Italia dimenticata

mercoledì
20 giugno 2018
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DA TORINO A NAPOLI ESPLODE IL FENOMENO DELLA COGESTIONE DIRETTA

EMANUELA MINUCCI

Giardini ridotti a selve oscure. Ex scuderie elette a rifugio dibaby gang. Teatri e asili in cui il silenzio dell’abbandono è rottosolo dallo scricchiolio di vecchie persiane. Amabili resti di un’Italia in bilico tra il riconoscimento dell’Unesco e l’inagibilità. Ma ora l’urlo delle città auliche inghiottite dal degrado viene ascoltato. Dai cittadini che se ne prendono cura con la tenerezza che si riserva ai neonati e ora dalle istituzioni che, dopo la fase della diffidenza, delle denunce e degli sgomberi, puntano sulla cultura dei «beni comuni», favorendone l’adozione da parte degli stessi residenti. L’obiettivo è tutelarne storia e identità, ma anche trasformarli in luoghi di produzione culturale e interazione sociale, garantendone il futuro.

Sono beni comuni, ma attenzione al luogo, comune, di considerarli oggetto di volontariato urbano o di «bricolage civico» come spiega Christian Iaione, docente di Governance dei beni comuni alla Luiss: «La cittadinanza attiva richiede condivisione del potere per definire le politiche pubbliche e scegliere le disuguaglianze sociali da affrontare e risolvere». Un movimento sempre più diffuso che disegna una nuova mappa dell’Italia «autogestita da comunità locali che diventano imprenditrici civiche».

La società della cura

Il filo rosso della «società della cura» corre da Nord a Sud. Dalla Cavallerizza Reale di Torino all’Asilo Filangieri di Napoli, dai Chiostri di San Pietro di Reggio Emilia alla Fattoria senza padroni di Mondeggi, Firenze. E ottiene riconoscimenti giuridici. L’8 marzo la piccola, grande svolta: il Tar, chiamato a esprimersi sull’Isola di Poveglia che galleggia nella laguna di Venezia, ha dato torto al Demanio, che voleva cederla ai privati per ricavarne un grand hotel, e ragione ai cittadini che ne avevano chiesto l’adozione raccogliendo fondi su un dettagliato piano di uso civico.

Quel giorno c’è chi ha brindato a prosecco anche davanti all’ex Teatro Valle di Roma, occupato e rinato sino al 2014, quando fu sgomberato dopo infinite polemiche. La sua Fondazione (ideata dagli occupanti con il sostegno di centinaia di artisti e giuristi guidati da Stefano Rodotà) è diventata un modello anche all’estero.

«Dogman», il pioniere

Quei lunghi giorni di occupazione lucidano ancora gli occhi a Marcello Forte, il Dogman Palma d’Oro a Cannes. «Esperienza meravigliosa – racconta -. Io non sarò mai quello in smoking che posa sulla Croisette. La mia vita vera è ancora racchiusa nel Valle: il ricordo oggi mi commuove, in quegli spazi autogestiti si faceva cultura e si cresceva insieme».

L’energia di cui parla Marcellino (ai tempi del Valle gli amici lo chiamavano così) si percepisce entrando nel gioiello di mattoni della Cavallerizza di Torino, ex scuderie dichiarate patrimonio dell’umanità dall’Unesco. L’umanità che si è presa cura di questo posto magico è fatta di giovani come l’avvocato Giulia Druetta: «La Cavallerizza fu occupata il 23 maggio 2014, verso mezzanotte – spiega passeggiando in un giardino che prima era una giungla inaccessibile e ora pare uscito da una cartolina londinese -. L’obiettivo era bloccare la vendita ai privati ed esigere che questo patrimonio collettivo rimanesse ai cittadini».

Un mondo in movimento

Fin dai primi giorni all’ingresso delle ex scuderie venne appeso lo striscione «Cavallerizza è per tutti». E oggi questo spazio rappresenta un territorio di confine in cui arte, socialità e politica si intrecciano: a pochi metri da piazza Castello, un luogo quasi rurale, maestoso e in continuo fermento. Nel cortile c’è una X gialla, ormai diventata un’aiuola-panchina su cui siedono giovani musicisti e cantastorie, ma anche eleganti signore che si riposano dallo shopping ammirando le mura alfieriane del Maneggio. Guardando in alto si vede un nuovo striscione «Cavallerizza come museo Vivente – arte contro lo scempio». Sotto i portici s’incontrano attori che provano le performance, gruppi che discutono di arte e attivismo, laboratori sociali, di restauro e architettura. Ogni anno 500 artisti visivi allestiscono la mostra «Here» fra le meravigliose stanze délabré.

Il giurista Ugo Mattei negli ultimi dieci anni ha elaborato una teoria della prassi dei beni comuni. Ora, con decine di as

semblee,prima alla Cavallerizza e poi in tutta Italia, lavora a una Costituzione dei beni comuni. L’obiettivo è trasformare le occupazioni in esperienze di creazione di nuovo diritto. «I tempi sono finalmente maturi – spiega Mattei – per una codificazione formale che sappia riportare queste energie creative nel quadro di una nuova legalità: comunitaria, ecologica e davvero inclusiva».

Ex asilo laboratorio di cultura Un altro spazio in continua evoluzione grazie all’impegno dei cittadini è l’Asilo Filangieri di Napoli, ex sede del Forum delle Culture. Da spazio occupato (il benvenuto è un lenzuolo bianco con su scritto: «Liberiamo la cultura») ha ottenuto il riconoscimento ufficiale dell’amministrazione. Oggi risi producono spettacoli, si discute di politica, si organizzando reading letterari. «L’Asilo – racconta uno dei promotori, Giuseppe Micciarelli, ricercatore dell’Università di Napoli – è un centro interdipendente dove cittadini e gruppi, formali e informali, possono organizzare e condividere i loro progetti. In sette anni migliaia di iniziative, basate sul mutualismo».

L’età adulta

Il momento di maturità deibeni comuni contagia le istituzioni. L’Anci, che riunisce gli 8000 Comuni, sta pensando a una legge per inquadrarne il fenomeno. Si partirà dal regolamento messo a punto dal gruppo di ricerca torinese «Co-city» guidato da Mattei che prevede quattro tipologie di governo: patto di condivisione, uso temporaneo, uso civico, fondazione. La differenza fra questi diversi stadi è data dal tasso di autonomia di cui godono le comunità di cura.

Marcellino Forte, ilDogman cresciuto al Valle, ci spera: «Vorrei vedere riaprire quel teatro e far nascere il mio primo figlio: con lui e la sua mamma potremmo dedicarci a un bene comune, perché salvare pezzi di città ti regala un’energia unica».

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