Breve storia della Piazza del Duomo, vista da Porta Nuova

L’apertura di Porta Nuova sotto Cosimo I (1537-1574) contribuì in modo sostanziale al processo di ridefinizione della Piazza del Duomo: si creò un preesistente ma poco frequentato asse viario, alternativo a quello che nel Medioevo era il transito privilegiato, la Porta del Leone, risalente alla metà del XII secolo e ormai caduto in disuso. Il nuovo asse era funzionale alla realizzazione di un sistema prospettico che comprendeva i quattro monumenti medievali, gli edifici adiacenti al confine meridionale della piazza e, sullo sfondo, il nuovo Palazzo Arcivescovile, trovando nella Porta Nuova un punto di vista privilegiato.

A conferma dell’importanza assunta dal nuovo ingresso alla città, fu qui edificata la Casa della Dogana, sede del corpo di guardia dei gabellieri che controllavano i transiti e riscuotevano le imposte. Negli stessi anni, l’area ad ovest del Battistero, occupata da alcuni edifici in rovina, venne destinata ad orto: vi si costruì la Casa dell’ortolano e un alto muro parallelo alle mura. Quel muro definiva ad ovest il nuovo confine della piazza e a sud valorizzava il nuovo asse viario di Porta Nuova, rettificandone l’andamento rispetto al tracciato di un muro preesistente.

Sul versante opposto, la Torre fu inserita in un sistema di costruzioni perfettamente integrato scenograficamente: una balaustra semicircolare in marmo celava lo sprofondamento della base del Campanile, mentre tra questo e l’attuale Museo dell’Opera fu eretta la Chiesa di San Ranierino (1577) e, affiancata a quest’ultima, fu edificata la Casa dei curati. Al di là del Campanile, un altro edificio con pianta ad elle, la Casa dei Canonici, chiudeva la quinta verso la Casa dell’Opera, con un muro collegato alla balaustra della Torre. Anche il confine orientale della piazza fu così delineato, ma il terribile incendio della Cattedrale nel 1595 chiuse il secolo nel peggiore dei modi.

Gli anni successivi videro un’ampia campagna di restauri all’interno e all’esterno del Duomo, mentre lo spazio circostante rimase per lo più inalterato. Nel corso del XVIII, in controtendenza rispetto alla crescita demografica registrata in città, si registrò un precipitoso abbandono degli isolati a ridosso della piazza. L’originaria natura acquitrinosa del suolo, aggravata dai miasmi provocati dalle sepolture dei cadaveri accanto allo Spedale di Santa Chiara, crearono una situazione di emergenza sanitaria, cui si cercò di fronteggiare con una laboriosa opera di bonifica che continuerà anche nel secolo successivo. Con una controversa decisione, nel 1746 si spostò la zona di inumazione dei cadaveri in prossimità della Porta del Leone, chiusa da tempo, e tra le mura e il Camposanto fu costruita un’abitazione a due piani ad uso del becchino.

Fu allora che si pensò di regolarizzare il prato e a delimitarlo con pioli, per evitare che le carrozze lasciassero via Nuova e rimanessero bloccate nel manto erboso. Intanto cresceva in tutta Europa l’interesse verso il passato medievale e la riscoperta del Medioevo di lì a poco assunse un valore di adesione sentimentale e di esperienza formativa. La piazza divenne tappa obbligata per viaggiatori e artisti che ne ammiravano e studiavano le pietre, le architetture, gli affreschi di Camposanto. La volontà di ricostruire fedelmente quell’epoca e di accogliere il viaggiatore in uno spazio che ponesse “in più pittorica e seducente composizione il gruppo delle quattro insigni fabbriche” si tradusse nel tentativo di ricondurre la piazza al suo presunto assetto originario: si avviarono così imponenti campagne di restauro con integrazioni e rifacimenti in stile, e si abbatterono tutti gli edifici che si erano aggiunti nel corso del tempo ai monumenti medievali. Il Rinascimento era visto sempre più come un’indebita intromissione di gusto “greve e barocco” mentre il Medioevo rappresentava il vero “Risorgimento delle arti”.

Si isolarono gli edifici principali, cancellando ogni traccia di tutto ciò che poteva disturbare la percezione monumentale della piazza. Si procedette anzitutto a liberare lo spazio tra il Battistero e le Mura: si eliminarono la Casa dell’ortolano (1829) con annesso orto e frutteto e l’alto muro di recinzione, si abbattè la Casa del becchino (1863), e sul lato opposto della piazza si isolò la Torre, demolendo la balaustra cinquecentesca e il muro dell’orto che la cingeva sul retro, poi gli edifici che segnavano il confine orientale della Piazza (la Casa del Capitolo, la Casa dei curati e la Chiesa di San Ranierino). Il Campanile fu ulteriormente esaltato nella sua “meravigliosa pendenza” dalla creazione di una nuova strada, Via Torelli, che lo raggiunge dal retro offrendone un’inedita visuale.

Quando nel 1883 William Dean Howells, scrittore e critico letterario americano, tornò a Pisa dopo circa vent’anni dalla prima volta, descrisse la piazza del Duomo come “una zona esclusiva di mercato” in cui i monumenti apparivano come di piatti apparecchiati sulla tavola ad uso e consumo dei turisti. Scrive con grande efficacia: “il Duomo un grande e magnifico pudding, il battistero una gigantesca charlotte russe, il camposanto una squisita struttura di zucchero, la torre pendente una colonna di gelato che da una parte si è disciolto nell’acqua uscendo dallo stampo”.

Numeri crescenti di turisti da allora hanno attraversato Porta Nuova e nel 1916 si decise di abbattere anche la cinquecentesca e ormai inutile Casa della Dogana, ultimo residuo di un uso funzionale della piazza. Nel corso dei secoli XIX e XX gli edifici d’uso sono stati così relegati dietro le quinte, difatti magazzini, depositi e laboratori di restauro si trovano ancora oggi sul retro del Palazzo dell’Opera. È questo uno dei punti di forza di quello che nel 1987 è diventato un sito Unesco con una propria “buffer zone”, area di rispetto con relativo piano di gestione. Evidentemente la presenza delle bancarelle è esclusa all’interno della piazza e Porta Nuova è uno degli ingressi privilegiati. Ecco perché quell’accesso alla città è così importante e perché quel punto di vista sui quattro celebri monumenti va ripristinato al più presto.

 

Lorenzo Carletti

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